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Archè l'argonauta, pillole di Radiogenesi (sistema casalingo)


Le Fantome

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Quando Arché era piccola, le venne insegnata una vecchia filastrocca per bambini: la filastrocca su Thule.

"La magnifica Thule, 

dove il sole non splende, e la notte è perenne,

la sublime Thule, 

dove la neve cade e il gelo ogni cosa pervade,

l'irraggiungibile Thule,

oltre le luci del nord, dove anche gli angeli temono di andare,

[...]"

Così recitava il ritornello. Fu in quella tenera età, quando molti bambini imparano a malapena a zappare la terra, che Arché decise che era destinata ad altro: lei avrebbe raggiunto Thule. Ora, potreste chiedervi come si possa raggiungere un luogo di fantasia. Il punto è che Thule non è un luogo di fantasia: è un luogo che esiste realmente oltre il circolo polare artico. Si dice che sia una città di marmo ricoperta dai ghiacci polari, dove si trovano i segreti sull'atomo e la verità su tutta la storia dell'uomo.

Ovviamente, molti ritengono che a Thule non vi sia nulla di particolare: chi mai nasconderebbe dei segreti tanto importanti in un luogo tanto freddo e lontano?

Arché però era di parere opposto, e non era la sola: nella città-cadavere di Venere coraggiosi uomini avevano deciso che sarebbero partiti alla ricerca di Thule. Fra loro vi era un certo Argo, un ragazzo burbero e misantropo che aveva rivelato alla bambina dell'imminente spedizione che sarebbe partita alla ricerca di informazioni sulla sublime Thule.

Quando Arché si presentò nella sede dei compagni di Argo, da lei chiamati "argonauti", essi la cacciarono: era troppo fragile e minuta per unirsi a loro. La sua carne non sarebbe sopravvissuta ai veleni, alle intemperie e alle minacce della zona contaminata.

Arché, tuttavia, non si demoralizzò: le avevano detto che era troppo gracile? Si sarebbe irrobustita. Le avevano detto che era troppo minuta? Avrebbe fatto in modo che la sua altezza non fosse un problema. Era troppo debole? Si sarebbe allenata oltre ogni suo limite.

Ogni giorno, la bambina usciva a correre: dapprima con solo alcuni stracci, poi legandosi delle rocce alle gambe. Iniziò a sollevare pesi: cinque, dieci, venti, quaranta chili. Iniziò a fare flessioni, addominali, a prendere a calci e pugni un bersaglio, ad allenarsi con un bastone e con la fionda. Archè divenne ragazza e Argo un giovane uomo: erano passati anni, ma ancora lui e i suoi compagni non avevano trovato informazioni su Thule.

Arché aveva continuato ad allenarsi, oltre che nel corpo nello spirito: aveva iniziato a frequentare il tempio di Venere, dove aveva appreso i rudimenti di antiche arti marziali dal maestro locale. Non trascorreva giorno in cui Arché non si recasse nella stanza degli allenamenti e non logorasse i suoi muscoli e i suoi tendini a furia di esercitarsi nelle tecniche più disparate.

Non passava giorno senza che tornasse a casa stravolta, con il corpo grondante di sudore, le gambe tremolanti e braccia logore. In alcuni periodi, giunta allo stremo, era stata sul punto di mollare, di cedere, di smetterla con quella vita ascetica fatta di sacrifici continui e prostrazione fisica costante. Eppure, la volontà di Arché era più forte del suo corpo: alla fine, ogni mattina, al canto del gallo, tornava al tempio correndo con delle rocce legate alle caviglie.

Così, come dicevamo, Arché tornò dagli "argonauti", ma il loro capo, quando la vide, scosse la testa: ancora non la riteneva degna di unirsi ai suoi uomini. 

"Sfidami allora" replicò Arché, con lo sguardo carico di odio. Il capo di quegli uomini coraggiosi, che si erano ridotti di un terzo col passare degli anni, dopo un attimo di perplessità accettò la sfida.

Argo, in un angolo, rimase turbato dalla cosa. Si domandò se dovesse intervenire per dissuadere quel pericoloso scontro fisico.

L'uomo a capo di Argo era grosso: superava Arché di almeno una testa e aveva delle spalle large il doppio. Arché sottovalutò la sua velocità e, prima che potesse reagire, venne colpita al volto da un pugno che la fece cadere per terra.

"A quanto pare sei già caduta..." grugnì il violento, quasi compiaciuto: "...se fossi stato tuo nemico, ti avrei già ammazzato" aggiunse.

Arché sputò sangue, aveva il labbro spaccato e il setto nasale rotto. Tuttavia, si alzò in piedi, con lo sguardo carico di odio: un odio intimo, viscerale, palpabile.

"Tu non sei in grado di ammazzarmi" replicò la ragazza, stoica.

Il volto del bruto che l'aveva appena colpita si rabbuiò: "Arrenditi, donna" sbraitò, colpendola nuovamente al volto. 

Nuovamente Arché venne colpita in pieno. Tuttavia, questa volta incassò il pugno senza cadere, tremando appena. Quello stesso colpo che prima le aveva deturpato il volto, ora non le aveva che causato un grosso livido sullo zigomo destro. 

"Ma cosa..." il bruto aveva sentito un forte dolore alla mano, come se avesse provato a dare un pugno a una trave di legno. 

Argo sgranò gli occhi: com'era possibile che avesse incassato così bene il secondo pugno?

Arché sorrise beffarda, deglutendo un rivolo di sangue: "Avanti, colpiscimi ancora, miserabile"

"Crepa, strega!" urlò il bruto, punto nell'orgoglio. Si scagliò sulla ragazza con tutta la rabbia che aveva, e le tirò un devastante pugno con il braccio destro.

Un grido lancinante attraversò l'aria.

Non solo il terzo pugno non aveva fatto arretrare Arché di un millimetro e sembrava non averla neanche scalfita, ma il bruto si era spezzato le nocche della mano quando aveva colpito il volto della ragazza, cose se avesse dato un pugno a un blocco di marmo.

"Chi... chi sei tu...?" mormorò l'uomo, con le lacrime agli occhi mentre si sorreggeva la mano destra con la sinistra.

"Un’argonauta" rispose la ragazza, lapidaria. Poi, senza esitare oltre, colpì l'uomo al volto come lui aveva fatto poc'anzi. Il bruto cadde rovinosamente al suolo, privo di sensi, anch'esso con il setto nasale spezzato ed ematomi su tutta la faccia.

Argo aveva gli occhi sbarrati: non aveva mai visto qualcosa del genere.

"Te l’avevo detto che sarei diventata un’argonauta" disse Arché, ricambiando il suo sguardo: "Ora non mi potrai negare di far parte della tua squadra"

Il giovane uomo guardò il capo, riverso a terra: non avrebbe più avuto rispetto dopo quella rovinosa sconfitta. Forse adesso sarebbe stato nominato davvero lui capo di quella spedizione di uomini.

"Potevi rischiare di morire, ti ha rovinato la faccia..." si limitò a dire.

Arché, con ancora l'adrenalina in corpo, si tastò il volto: continuava a perdere sangue, doveva medicarsi.

"Non sarei morta, non è questo il mio destino" disse, mentre Argo le si avvicinava con delle bende e della pomata lenitiva e disinfettante.

"E quale sarebbe il tuo destino? Trovare Thule?" le chiese il giovane uomo, iniziando a medicarla.

Arché annuì: "Morirò santa cercando Thule, come la mia antenata" e sorrise spavalda.

Saint Seiya Perfect Shots on Twitter: "Cassios, my man  https://t.co/SJomeq6aIy" / Twitter

(Il bruto a capo della spedizione di uomini alla ricerca di Thule. Corrisponde abbastanza bene al bruto nell'immagine, Cassios de "I Cavalieri dello zodiaco")

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(La giovane Arché. Illustrazione originale del sottoscritto :D)

Menzioni particolari:
Si ringrazia la cara Licet_Insanire per avermi revisionato il testo ❤️

L'immagine di copertina è "L'enigma di un pomeriggio d'autunno", un quadro di Giorgio de Chirico.

Grazie per la lettura!

Modificato da Le Fantome

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