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Riflessioni sul Drago #21: Il Ritorno di Monty
Ecco, dato che prima o poi dovrò tirare fuori qualcosa, data la carenza a riguardo della 5E, non sarebbe male leggere cosa aveva da dire, magari salta fuori qualche spunto interessante.
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Mostri insulsi
Io vedo il manuale dei mostri come una bisaccia da cui attingere ciò che ti serve, per cui non vedo il problema se all'interno c'è qualcosa che non mi piace, semplicemente lo ignoro. Del resto è un manuale che è pieno di cose che mi piacciono ma ignoro comunque, perché non le ritengo adeguate all'ambientazione che sto presentando. Non mi piacciono le ambientazioni in cui c'è un calderone di ogni cosa (ogni riferimento è puramente casuale, o forse no), per cui uso sempre un sottoinsieme ristretto di quel che contiene. Il rugginofago però è un mostro a cui sono kegato, probabilmente per questioni affettive dato che mi capeggia sempre in mente la bellissima illustrazione di Elmore nella prima avventura del manuale Base del giocatore. Comunque non ha molto senso usarlo come rimedio a posteriori per aver concesso troppi oggetti, dato che agisce solo su materiali ferrosi non magici (in 5E, per lo meno, in BECMI poteva far fuori anche quelle).
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Ferite debilitanti su colpi mirati
Se ci pensi per renderti orbo non serve una ferita che centri esattamente l'occhio: in molti casi è una ferita che coinvolge l'occhio, come la classica tranvata di spada che lascia anche una bella cicatrice sul viso. Non limiterei per tipo di arma, al più potresti aumentare le possibilità con armi leggere e precise, ma sono complicazioni che potrebbero non andare bene se si vuole mantenere il gioco semplice. Secondo me la prima cosa che devi chiederti è perché vuoi introdurre questo tipo di danno. La vuoi come opzione nel combattimento? Allora devi stare molto attento perché se troppo conveniente verrà sempre usata, se non lo è non verrà mai usata, per non parlare delle conseguenze a lungo termine sui personaggi. Se invece ti serve per introdurre la possibilità che certe cose accadano (con le regola base un personaggio non potrà mai diventare guercio in combattimento, ma nella tua narrazione vuoi che sia possibile), allora limiterei questi effetti ai critici: tiro mirato + 20 naturale: mutilazione dove hai mirato. Senza tiro mirato, mutilazione casuale. Evitarei però che accada ogni volta che fai critico, altrimenti sarebbe all'ordine del giorno.
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I Mondi del Design #101: Difficili da Trasporre
Questo, se non sbaglio, è uno dei punti focali che riguardano l'ultima edizione di D&D e di cui si sono lamentati diversi autori che poi hanno lasciato la WoTC.
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Ferite debilitanti su colpi mirati
Mi sembra di capire che, per quanto opzionale, la regola sui tiri mirati che hai linkato sia ufficiale. Se è così e devi averci a che fare, c'è poco da fare. Se invece non ti importa dell'ufficialità puoi farci di tutto. Se vuoi discutrere di un'eventuale regola casalinga alternativa, si può fare. Concordo con i tuoi dubbi, la regola non è ben fatta se si ha lo scopo di introdurre un elemento di narrazione. Probabilmente quei limiti sono stati messi per evitare che, con la frequenza degli scontri tipica di PF2, ogni personaggio di basso livello finisca ben presto mutilato. Giusto un appunto sul "50%" dei PF del bersaglio. Non credo che la percentuale sia stata scelta per quantificare l'impatto sul corpo del bersaglio ma solo come soglia d'innesco, per evitare che un colpo comune possa mutilare un personaggio. Ad ogni modo non farei quel conto: in PF2, come in D&D 5E, i PF non indicano le ferite fisiche ma un insieme di cose che potremmo chiamare vitalità. Un attacco di paura per esempio può ridurre le capacità di azione di un personaggio e quindi essere quantificato come PF. In questo caso direi che un colpo che rende guercio un personaggio può tranquillamente metterlo KO, a livello narrativo mi immagino il personaggio prono, con la mano sull'occhio e in una pozza di sangue, incapace o quasi di combattere.
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Riflessioni sul Drago #19: La Battaglia delle Convention
Sistema abbastanza tradizionale, insomma. Del mio purtroppo non ricordo i dettagli, dovrei andare a frugare tra le scartoffie del periodo. Se non ricordo male c'erano pochi limiti per la memorizzazione (il mago teneva a mente una grande quantità di incantesimi) e il costo per un incantesimo di livello molto alto (nono?) arrivava intorno ai 50 PM. I punti magia erano più o meno calcolati perché al livello di introduzione di un nuovo livello di incantesimi si potesse lanciare uno (o pochi) incantesimi del massimo livello, lasciando però più avanzo possibile. Per esempio se un incantesimo di sesto livello costava, che so, 15 PM, il mago di dodicesimo aveva poco meno di una trentina di PM (non sempre però, soprattutto ai bassi livelli).
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Dungeon Letali #24: Spauracchi
mi sa che in questo caso il DM deve sperare che i giocatori non usino il retino...
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Riflessioni sul Drago #19: La Battaglia delle Convention
@firwood Vabbè, parliamone qui allora! Anche io non ho mai digerito il sistema vanciano e nel tempo ho esplorato vari sistemi di cui ovviamente non ricordo nulla. Da quel che ho capito tu fai una semplice conversione degli slot in punti magia, quindi se per esempio io lancio 4 incantesimi di 1°, 2 di 2° e uno di 3°, 4x1 + 2x2 + 3x1 = 4+4+3 = 11 PM, o qualcosa del genere, giusto? A me di questo genere di sistemi non piaceva il fatto che permettessero di lanciare molti incantesimi del massimo livello. La soluzione che avevo adottato faceva aumentare esponenzialmente il costo in Punti Magia degli incantesimi al salire di livello. Il "prezzo" di tale soluzione era che rendeva possibile lanciare un'enorme quantità di incantesimi dei livelli inferiori, e tutto sommato mi andava bene per l'idea di mago che avevo, anche se come dicevo in precedenza si sposava male con il funzionamento degli incantesimi delle vecchie edizioni di D&D il cui potere aumentava "gratuitamente" con il livello del personaggio.
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Riflessioni sul Drago #19: La Battaglia delle Convention
Il problema è che le caratteristiche calano abbastanza in fretta non appena si comincia a masticare incantesimi di un certo livello, lanciare magie diventa davvero logorante. Considerato poi che si è vincolati a specifiche scuole di magia (l'idea del sistema è che i maghi siano molto "settari" e usino gli incantesimi per cui hanno caratteristiche più adatte), spalmare le fatiche tra le varie caratteristiche non è un'opzione molto valida. Se ad uno piace complicarsi la vita (per esempio giocando in un'ambientazione dove la magia è rara, difficile e potente), è un sistema interessante. Non certo per giocare il classico D&D però, come dice firewood, diventa troppo complicato. Manca come dicevo un adattamento al livello. Si potrebbe creare un pool di punti magia esauriti i quali si comincia a consumare le caratteristiche, ma per essere in sintonia con il sistema dovrebbe essercene uno per ogni caratteristica, altrimenti si va a perdere il principio su cui è basata la regola. PS: anche io ho usato per molti anni un sistema di punti magia, ma ho trovato sempre molto difficile far quadrare le cose in D&D. In 5E diventa più facile perché gli incantesimi non migliorano con il livello del mago ma usando uno slot di più alto livello, il che li rende molto più adatti ad essere usati con i punti magia. Ma ti dirò, il sistema della 5E è già una sorta di ibrido tra quello vanciano e quello dei PM, quindi alla fine ho sentito molto meno l'esigenza di cambiare le cose e lo sto tenendo così com'è. Sarebbe interessante aprire una discussione sui punti magia, per confrontarci sui vari metodi.
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Riflessioni sul Drago #19: La Battaglia delle Convention
Ok, letto. Beh la classificazione non è dissimile a quelle delle scuole di magiache verranno usate in seguito. Il sistema di gestione invece cambia, con il "consumo" delle caratteristiche (con la caratteristica da utilizzare che cambia in base al tipo di incantesimo... sistema tutto sommato interessante per dare valore a tutte le caratteristiche), sia per l'acquisizione di nuovi incantesimi, basata su quelli già conosciuti e usati dello stesso tipo. Qualcosa di simile alle liste di GiRSA/RoleMaster. Il sistema pare un po' "statico", non si adatta all'avanzamento di livello, sia per il consumo delle caratteristiche che sulle possibilità di fallire un incantesimo. Credo ci voglia poco però ad adattarlo. Se piace, alla fine credo lo si possa utilizzare su un'ambientazione apposita dove si vuole che la magia funzioni in quel modo, mentre mi sembra più difficile che venga utilizzato come sistema di magia generico sostituendo quello di base.
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Guida all'interpretazione #4: Ci vuole un genio?
Secondo me non si concentra su certi tipi di storie, ma su un certo tipo di gioco. Che poi è anche mutato nel tempo: il combattimento tattico, sebbene ci sia sempre stato, ha acquisito maggiore importanza con il d20 system, che ha però il pregio di aver fatto un certo ordine nella cozzaglia eterogenea di regole precedenti. Quando dico che nella 5E le meccaniche sono a supporto ma non dominanti intendo dire che non sono pensate per fare le cose al posto del giocatore (vedi esempio che avevo fatto sopra) ma di creare un sistema a maglie larghe che gestisca la situazione in generale in quella parte del processo decisionale che va al di la delle cose gestibili dal giocatore. Ecco, qui mi trovi piuttosto d'accordo. Per come la vedo io, i tiri abilità servono solo per non assegnare dei successi automatici alle attività dei giocatori. Per capirci, se il giocatore dice di osservare bene l'ambiente circostante in cerca di nemici, o assegni un successo automatico (se ci sono li vede... questo può c apitare in caso di situazioni abbastanza banali ed evita il tiro di dado) o hai bisogno di un meccanismo che determini se l'attività intrapresa dal personaggio ha avuto successo o meno: qui entra in gioco il tiro di abilità. In 5E fanno eccezione i tiri passivi, che è una meccanica a se. Sarà che siamo un po' vecchia scuola, ma noi in generale ci troviamo ad usarli davvero poco. Escludendo la sesta, che come detto non mi piace, l'escamotage narrativo delle altre due può andare bene se occasionale, altrimenti diventa abbastanza ridicolo. In generale lo userei solo in quelle situazioni che già so possono presentarsi molto, molto raramente, e nello specifico me lo terrei buono non per giustificare le decisioni libere del giocatore ma per giustificare un tiro di dado particolarmente fortunato.
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Riflessioni sul Drago #19: La Battaglia delle Convention
Ed è un peccato secondo me, alcune delle avventure più belle e ragionate che ho letto fanno parte di questa categoria. Oltretutto è anche molto divertente da giocare, ogni tanto fa bene staccarsi dal solito personaggio a lungo termine a cui si è estremamente effezionati e giocare tanto per giocare e basta. Su questo sarebbe stato intgeressante spendere qualche parola in più, giusto per sapere di cosa si trattava. Mi ha incuriosito, ma detto così è davvero troppo generico anche per farsi solo un'idea. Qualcuno in possesso dell'albo ha idea di cosa stesse parlando?
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Guida all'interpretazione #4: Ci vuole un genio?
Ma anche questa è una scelta, non necessariamente una mancanza. Per farti un esempio, se c'è qualcosa che ho imparato dal gioco di ruolo dal vivo è che un buon gioco è quello che inserisce delle meccaniche solo dove servono. Nei D&D moderni esistono delle meccaniche, ma sono a supporto dell'azione dei giocatori e non la dominano. È una scelta di compromesso, ed è anche la madre di tutte le discussioni sulla questione. Non creare meccaniche dominanti non significa essere poco interessati a quel tipo di gioco, significa voler incentivare la partecipazione dei giocatori e ridimensionare quella del dado. Poi naturalmente ognuno agisce in base alla propria sensibilità e alle proprie preferenze, anche scegliendo giochi più adatti al proprio stile.
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Guida all'interpretazione #4: Ci vuole un genio?
Capisco il punto, ma la "meccanica apposita" di D&D è proprio quella di far lavorare il cervello dei giocatori per risolvere le problematiche. Quindi credo che farlo sia proprio giocare a D&D, probabilmente nella sua accezione più profonda. Credo però che la tua visione sia un po' "utopica", non è possibile separare così nettamente l'inteligenza del personaggio da quella del giocatore perché in ogni caso sarà il giocatore a fare se scelte per il personaggio. Se non sarà la risoluzione dell'enigma, sarà qualche altra cosa che richiede comunque arguzia, ragionamento, intuizione, tutte doti del giocatore. Il modo in cui io gestisco questa dicotomia è considerare il punteggio alto di intelligenza non come una generale genialità ma come la rappresentazione di certe doti intellettive, per esempio la memoria fotografica, la rapidità di apprendimento o le capacità matematiche, lasciando i ragionamenti al giocatore. Del resto sappiamo bene che il mondo è pieno di persone con alto QI che fanno pessime scelte, per cui la cosa non si contraddice.
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Jeremy Crawford lascerà il team di D&D entro la fine del mese
Certo, a volte capita. Però anche nella contraddizione ci sono spunti di riflessione che possono aiutare a scegliere la propria strada e comunque fanno emergere, come dicevo, l'intenzione dietro la regola (che poi non sempre si trasforma in una regola che riesce a concretizzare tale intenzione).