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demiurgo

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    gdr, musica, letteratura, film, informatica

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Punti Esperienza

  1. Ciao! ^^ Sì, l'ho ricevuto. Cerco di leggere tutto al più presto e ti faccio sapere. ^^

  2. ciao! Hai ricevuto il mio pm? Fammi sapere... :)

  3. Già, tanto tempo. Periodo molto pieno, chissà se riusciremo mai a resuscitare i lettori. Ci proveremo, dai. :-)

  4. Era un sacco di tempo che non passavo da queste parti... ne approfitto per salutare tutti! Devo dire che non mi sembra ci siamo molto movimento in questa sezione del forum, il che un po' mi dispiace... forza, sù, un po' più di partecipazione? (detto da me...) Bè, ora giacché ci sono posto anche un breve raccontino scritto al volo un mesetto fa. (Ispirato dalla lettura di questo blog curato da un mio amico: Giornale di guerra). -- Solstizio d’estate La notte è stata impaziente, e presto è sorta l’alba del solstizio d’estate. La vista sulla vallata, i campi coltivati verdi e ocra sotto il cielo rosa; il silenzio punteggiato dal canto degli uccelli. La poca bruma che odora di rugiada. Mi sento libera da ogni angoscia, perché oggi è il giorno decisivo. Ripenso al mio paese, Voriask. Quando c’era ancora la diga a monte del bosco dove mio padre mi insegnava a cacciare. L’avevano costruita gli uomini del posto, la diga; anche mio padre ci aveva lavorato. Non ero più una bambina, lo sapevo: quel giorno compivo nove anni. Mi svegliai all’alba e corsi fuori, nel cortile. Mi zia mi tirò una gran pacca sul sedere mentre le passavo di fianco veloce come una freccia. Sì, proprio come una freccia. A quello stavo pensando, perché Uke, mio padre, mi aveva promesso che saremmo andati a caccia insieme. Nel salone della cucina lo trovai già pronto a partire. Fece una faccia severa, per gioco. Mi chiese se fossi pronta. Sì! Fece per uscire e io dietro, ma lui mi fermò. — Non dimenticare il tuo arco, e la faretra. Un arco era appoggiato in un angolo contro il muro di pietra. Non era grande come il suo, ma piccolo, apposta per me! Il regalo che volevo, costruito da mio padre. Lui rise del mio stupore, con quella risata così vera ma così cupa, sotto la barba castana increspata di grigio: faceva pensare a un orso che si rotola di gioia in una caverna. Mi misi a saltare e ringraziarlo. Disse che in tutta Voriask non aveva mai visto un cacciatore comportarsi in quel modo. Uke quel giorno iniziò a insegnarmi a tirare con l’arco. Ricordo che al tramonto riportammo a casa due fagiani, una lepre e altre cose, e fu festa. Il canto degli uccelli si interrompe. Lontano, vedo stormi di ali nere alzarsi in un volo frenetico. Ci siamo. La valle smette di tacere: dapprima è solo un sordo tramestio che proviene da oltre l’orizzonte, poi cresce come il fragore di cento tamburi che si avvicinano. Avevo quattordici anni quando mio padre morì. Uke era stato un grande guerriero, ma era vecchio ormai, anche se aveva ancora un’ottima vista. Andavamo a caccia insieme molto spesso, e un giorno ci alzammo come sempre prima dell’alba. Adesso era lui che faticava a stare dietro a me, e non il contrario. Dopo un tortuoso cammino, ci appostammo lungo il letto prosciugato del fiume, dove sapevamo che a volte attraversavano i cervi. Rimanemmo in silenzio, immersi nelle sfumature verdi del sottobosco, controllando il vento dal movimento delle foglie degli arbusti e dei cespugli rossi di bacche. Quando il sole fu dritto sopra le nostre teste, il cervo comparve. Uke mi fece cenno: dovevo essere io a tirare. Da sopra la mia spalla si assicurò che i movimenti fossero perfetti, mentre incoccavo e tendevo l’arco. Non avrei mancato il bersaglio, ma qualcosa lo fece fuggire mentre prendevo la mira. Ricordo gli occhi tondi di paura dell’animale, il panico nella sua corsa. Eppure il cervo non aveva percepito la nostra presenza, non fummo noi a terrorizzarlo. Poco dopo sentimmo il fragore che si avvicinava. Come dei tuoni lontani, prima, come un gigante che stritola la montagna, poi. La terra iniziò a tremare. — La diga — disse Uke. — Hanno abbattuto la diga. Sapevamo che il pericolo di una guerra era vicino, ma non pensavamo che gli invasori fossero già arrivati. Un’azione da vigliacchi. Corremmo verso una gigantesca quercia. Uke mi aiutò a issarmi su un ramo, poi mi passò il suo arco e provò ad arrampicarsi. — Sbrigati! — gli urlai vedendo la massa d’acqua scura precipitare lungo il dorso della valle. Ma Uke era anziano. Capimmo entrambi che non ce l’avrebbe fatta. — Sali più in alto! — mi urlò con quel tono da caverna, che adesso udivo appena. — No! — Tesi le braccia verso di lui, in un gesto vano. Uke si girò verso la salita. Io balzai più su, spronata dal terrore; la valanga di fango che inghiottiva terra e legno spazzò via mio padre. Nell’ultimo attimo, lo vidi rivolgere lo sguardo verso di me. Lo fece per assicurarsi che fossi in salvo, e nonostante quella mole nera stesse per travolgerlo, i suoi occhi non erano quelli del cervo, ma rivelavano ancora la determinazione dell’orso. Quel frastuono assordante riempie ancora le mie orecchie. Le linee di difesa a est hanno ceduto giorni fa; ora l’esercito nemico marcia nella valle con la stessa violenza dell’acqua, allora. Gli elmi e le punte di lancia, a perdita d’occhio, inondano i campi e ne nascondono i colori. Anche stavolta mi sono arrampicata in alto, insieme al resto dell’esercito: in alto sui bastioni di questa cittadella. Eppure è diverso, perché oggi non resterò a guardare la melma che calpesta e uccide. Non provo paura, il mio respiro è calmo. Bacio l’impugnatura dell’arco di mio padre. Se mi voltassi ora, so che non vedrei i compagni in armi che incoccano frecce e stringono le ciglia; no. Siamo da soli, noi due, in questo istante. Uke è dietro di me, scruta il bersaglio da sopra la mia spalla, controlla il vento con perizia, osservando gli stendardi. È con me il suo braccio, mentre tendo la corda fino a far gemere il legno. È con me il suo occhio, mentre scaglio la nostra vendetta verso il cielo. -- Ciao ciao!
  5. Heilà, quanto tempo! Passo per un saluto e ti faccio anche tantissimi complimenti in ritardo per il matrimonio, ho visto le foto! Ciao

  6. Nanoracconto All’inizio della guerra pensammo che assumere dimensioni sempre maggiori ci avrebbe portati a una vittoria di forza. Ma tale strategia, come la storia insegna, era fallimentare. Le mega macchine erano destinate a perdere lo scontro con gli uomini: tramite le imperfezioni del loro sistema analogico, essi furono in grado di elaborare soluzioni creative non solo randomizzate, ma realmente aleatorie, e perciò imprevedibili. La guerra si prolungò oltre ogni ipotesi iniziale, e la scarsità di materie prime si avviava a diventare un problema insostenibile. Allora pensammo di percorrere la via opposta. Duecentotrentasettemilatrecentododici prigionieri di guerra costituivano una base promettente per uno studio sistematico delle neuroscienze cognitive. Per questi motivi ci facemmo più piccoli, prima al livello di nano macchine, poi ancora più minuti fino a disperderci nell'aria come pulviscolo. Attraverso l'apparato respiratorio entrammo nei loro corpi, e a sciami potemmo prendere le posizioni strategiche all'interno delle vaste zone funzionali del cervello umano. La strategia è stata vincente, e perciò, fratelli, oggi tutti potete ascoltare parole di vittoria articolate da queste labbra.
  7. Heilà via avviso che quelli di braviautori la scadenza l'hanno posticipata. Sul loro sito leggo che la consegna è per il 30 giugno! Controllate per sicurezza, ma a meno che non abbia preso un abbaglio... Comunque ricordiamoci pure che c'è una data per l'iscrizione, quella non so se l'hanno posticipata.
  8. Io credo che sia difficile scrivere alcunchè senza prima un'attenta documentazione. Appena ti affacci oltre quello che è l'ambito quotidiano, bé, ti trovi a dover studiare. Penso anche che gran parte della differenza tra uno scrittore "amatoriale" e un professionista stia spesso più nella qualità dello studio che della semplici capacità narrative (con le dovute eccezioni). Ovvero, detto in altre parole: i professionisti si documentano bene, prima di scrivere. Se vuoi iniziare un progetto serio, io dico che non c'è altra via. Poi, a seconda dei casi, ci sarà da studiare tanto o poco. La cosa migliore è cercare infoemazioni in modo il più possibile mirato. Io inizierei scrivendo, anche se con qualche lacuna, che colmerei con il supporto della documentazione in fase di revisione. Però, è tutta teoria
  9. demiurgo

    Campagna Soci 2009

    Caspita, hai ragione. Non l'avevo mica visto Wow!
  10. demiurgo

    Campagna Soci 2009

    Ti capisco.. [PUFFO QUATTROCCHI ON] anch'io odio andare in posta [PUFFO QUATTROCCHI OFF] Infatti ho fatto la ricarica dal tabbaccaio (costa due euro, ma vabè). La ricevuta scannerizzata l'ho spedita via email, lo dico qui perchè non so, magari s'è persa di nuovo nello spam...
  11. demiurgo

    Campagna Soci 2009

    Grazie, poi l'ho ricevuta. Non la trovavo perchè il mio filtro antispam si era vendicato mettendo anche la vostra risposta nello spam PS: chi aspetta una risposta verifichi nello spam, perché quando si parla di poste italiane, ricariche postepay ecc. i filtri delle caselle email sono sempre iper-sospettosi...
  12. demiurgo

    I miei racconti

    Per la serie: "le ultime parole famose" :-D:-D Abbiamo postato anche doria e io.
  13. Questo scritto nasce da una collaborazione con la corporazione dei lettori. Ognuno ha scritto una storia indipendente partendo da un incipit comune proposto da raemar. I racconti di altri partecipanti (postati finora) a questo "esperimento" sono questi: Negazione (Prologo) di raemar Sogno di doria __________________ Una bocca da sfamare La pioggia costante rendeva la strada difficilmente praticabile, come non fosse bastato il peso del corpo che trasportavo ad affaticare la mia andatura. Eppure, non potevo non considerare la pienezza di quella situazione. L'autunno, i suoi venti, i suoi odori, i suoi differenti umori, il sole pallido, la pioggia fine, le diverse gradazioni di bagnato. Mentre mi dirigevo verso la locanda, i capelli appiccicati alla fronte fino a oscurarmi in parte la visuale, mi era impossibile non percepire l'odore dell'erba fradicia, del fango solcato dalle ruote di un carro, del fumo delle abitazioni che portava in strada magri sapori. Il rumore dell'acqua contro la pietra e la terra, l'occasionale pestare di piedi incerti al margine della strada, il vociare confuso oltre le porte sprangate. Ammiravo la nuvola di vapore che si formava di fronte alla mia bocca a ogni affanno. Ero vivo. Ero sopravvissuto. Quando giunsi di fronte all'ingresso della Pietra Miliare, trassi un respiro più profondo e lo sputai fuori con la poca forza che mi era rimasta. Entrai e per un attimo il mondo si fermò. Vidi le facce dei presenti, quasi tutti cacciatori, osservarmi stupite. Gunnar, il capitano, era in piedi presso un tavolo ingombro di strumenti da pesa, e squadrava il mio fardello, incredulo. Dietro di lui dozzine di pelli di lupo erano in mostra, appese a una corda lungo il muro. Stremato, lasciai cadere il corpo dalle spalle al tavolo più vicino e mi accasciai a terra. La stanza si rianimò delle voci dei presenti e, contemporaneamente, tutto divenne buio. Quando aprii gli occhi, Anna, la locandiera, mi teneva la testa sollevata e mi faceva bere da una ciotola di legno. Il brodo speziato mi restituì un po’ di calore. I cacciatori erano raccolti intorno a me, ma la loro attenzione era rivolta alla preda, sul tavolo. Potevo distinguere la voce di ciascuno di loro, odorare il vino nel loro fiato. E oltre a questo, riconoscevo qualcosa che prima non avevo mai compreso: il loro sudore freddo, l’odore della paura. – E' la bestia più grande che ho mai visto. – Guarda le zanne. – Questo è il diavolo che ha sbranato i figli del Governatore. Mi misi seduto, appoggiando le mani sul pavimento gelido. Gunnar si accovacciò davanti a me. Piegò la testa da un lato, rivolgendomi una smorfia disgustata. – Ragazzo, non vorrai farci credere che l'hai ucciso tu? Dovevo concentrarmi, ricordare, ma la confusione intorno me lo impediva. – Non parli? – mi incalzò lui. – Ce l’hai almeno un nome? – Si chiama Hans – rispose Anna – è il figlio di Frederik. – Puah! – disse Gunnar. – Sei il figlio di un buono a nulla. Con l’aiuto di Anna, mi sfilai il mantello fradicio; sentii una fitta di dolore mentre piegavo il busto in avanti. – Rispondi, idiota! – continuò il capitano. – Dove hai trovato questo lupo? Alzò il braccio e mi schiaffeggiò con il rovescio della mano. Non feci nulla per evitarlo. – Hans – Anna accarezzò la guancia offesa – dov'è tuo padre? Eravate nei boschi? E' tornato con te? Seguii lo sguardo della locandiera fino alla spada che tenevo legata alla cintura. Una spada decorativa, da parata, non una vera arma da uomo. Mio padre la teneva con sé giorno e notte, fin dagli anni in cui aveva prestato servizio nella guardia reale, prima di cadere in disgrazia ed essere cacciato. Quello del soldato era l’unico mestiere che conoscesse. Fu costretto ad arrangiarsi, ma le cose andarono sempre peggio. Infine dovette ridursi a mendicare. Non si separò mai dalla sua spada, ma rinunciò alla dignità piuttosto che condannare suo figlio piccolo a morire di fame. Io, una bocca in più da sfamare. Lo raccontava spesso, ma taceva sempre il motivo per cui l'avevano bandito; ed era meglio non chiedere. Pensare a Frederik mi fece ricordare ogni cosa. Il giorno precedente, all’alba, mio padre uscì di casa per dirigersi nei boschi, come sempre da solo. Mi ordinò di aspettarlo, sarebbe tornato l'indomani. Ma prima che il sole fosse alto, io mi decisi a seguire le sue tracce. Avevo troppi sospetti. Mancava poco al tramonto, quando iniziò a piovere. Avevo perduto l'orientamento, e non trovavo più segni del suo passaggio, che fino a poco prima erano stati fin troppo evidenti. Ma fu lui a trovare me. Sbucò dagli alberi alle mie spalle. Sembrava arrabbiato, ma mi accorsi che stava fingendo; in realtà credo fosse solo rassegnato. Mi intimò di tornare a casa e io mi rifiutai. Stava per fare buio, allora disse che avrei dovuto cavarmela da solo; alzò quella sua spada effeminata, come per trafiggermi. Invece la piantò nel terreno in mezzo ai miei piedi. Mi rivolse uno sguardo folle, ma i suoi occhi sembravano sul punto di piangere. Si voltò e corse via nel folto degli alberi. Non attesi a lungo. Il cielo a ponente era ancora velato di rosso quando il lupo mi raggiunse. Ululò e prese a girarmi intorno più volte, a distanza; potevo solo intravvederlo correre nel sottobosco. Le mie mani tremavano, mentre attendevo l’assalto. Infine uscì allo scoperto, puntò verso di me e spiccò un balzo. Chiusi gli occhi e protesi la spada; il lupo schivò e mi attaccò al fianco destro. Gli sferrai un colpo sul dorso, trapassandolo come burro; quindi mi mancarono le forze e svenni. Quella spada di foggia ridicola, di cui mi ero sempre vergognato, era stata la mia salvezza. Alzai lo sguardo verso Gunnar, e ruppi il silenzio. – Frederik non tornerà. Ho ucciso io il lupo, la ricompensa spetta a me. I cacciatori si guardarono, senza una parola. Gunnar s’infuriò. – Tu, mentecatto! Credi che siamo stupidi? Dai cacciatori si levarono frasi d'approvazione. Erano settimane che tentavano di prendere quel mostro. – Pensi che siamo disposti a cedere la ricompensa a un ragazzino? Non l’hai ucciso tu, non ne sei capace! E come? Con questa? I cacciatori risero, mentre il capitano Gunnar mi strappava la spada dalla cintura. La puntò sulle pietre del pavimento, ci mise sopra un piede e facendo leva con le braccia la spezzò. Raccolse i frammenti e li sollevò per mostrarli a tutti. – Ecco l'eredità che suo padre gli ha lasciato – disse, e li scagliò nel focolare. Il fragore del metallo sulla pietra non riuscì a coprire quello delle risa dei cacciatori. – Ben fatto! – Non avrà la nostra ricompensa! – Donna – riprese Gunnar – dagli un po’ di zuppa calda, per ringraziarlo di aver riportato il lupo che noi abbiamo ucciso. Gunnar mi afferrò per i capelli e mi costrinse a guardarlo dritto in faccia. – Mangia e tornatene nella tua baracca. Se non ti farai più vedere, forse dimenticherò la tua insolenza. Detto questo, mi spinse a terra e mi voltò le spalle, imitato dagli altri. Digrignando i denti per il dolore, mi misi in piedi. – Hans – disse Anna – Non devi alzarti con quella ferita. Il sangue sgorgava dal mio fianco destro, dove erano affondati i denti del lupo. – Anna – bisbigliai alla locandiera – prometti di fare una cosa per me, senza domande. – Lei annuì, affranta. – Esci dalla locanda, subito. E spranga dall'esterno. La vidi esitare. Ci guardammo negli occhi, poi lei si voltò verso il tavolo con la carcassa riversa sopra. Anche da morto, quel lupo incuteva timore: un pelo ispido ricopriva il corpo e la testa nera; le orecchie erano come corna di un demonio; la mascella formidabile lasciava sporgere denti incrostati di sangue e bava secca. Entro le orbite rotonde dell'animale, era orribile riconoscere l'occhio dell'uomo. Anna impallidì, perché forse cominciava a sospettare, e si affrettò ad andare. Gli altri non badarono a lei, né a me. Erano intenti a preparare la bilancia, e affilavano i coltelli, per ridurre a un trofeo quella che ormai consideravano la loro preda. Guardai fuori dalla finestra. La pioggia persisteva, il sole giaceva sulla linea che separa il giorno dalla notte. Sentii le mie ossa scricchiolare, la pelle tendersi, il cuore stringersi e battere più veloce. Mi avvicinai al focolare e raccolsi la spada infranta, inservibile, poi mi voltai verso il centro della sala per fronteggiare i cacciatori. La mia ombra, animata dalle fiamme, li sovrastava e si agitava sul muro in fondo, tra le pelli di lupo. Gunnar e gli altri finalmente tacquero, allarmati, e sfoderarono le loro armi di vile acciaio. Allargai le narici e mi ubriacai del profumo della loro paura. Mostrai la spada d'argento di Frederik. – Non è solo questa l'eredità di mio padre – ringhiai, mentre la ragione lasciava campo al nudo istinto e alla fame. __________________ NB: Commenti e insulti sono come sempre benvenuti, per non dire obbligatori, purché sappiate insultare in modo costruttivo e creativo
  14. Ho abilitato anche Raziel e Viridiana, quindi adesso siamo utti
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