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johnnycato

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  1. johnnycato

    Il pittore

    Sono un pittore. Ho trentacinque anni, e lavoro in una graziosa bottega in via Barbablu, una via molto artistica, a modo suo. La mia bottega profuma di incenso, ed è piena di colori. Non ho molti clienti. Tuttavia non sono a corto di denaro, avendo il privilegio di provenire da una famiglia ricca, e considero questo lavoro più un appassionato hobby, che una professione vera e proria. Intorno a me ci sono svariati dipinti di paesaggi esotici, alcuni invece più grigi, della mia città. Preferisco i dipinti colorati. Sto dipingendo un castello medievale. Non ho alcun parametro di riferimento, e mi baso sulla mia fantasia. Sono molto concentrato su questo lavoro, quando sento suonare dei campanelli. Qualcuno è entrato nel negozio. Mi distolgo dal dipinto e mi giro verso la porta. Una ragazza piccolina si avvicina timidamente. - Buongiorno.. - dice. Ha un leggero accento francese. - Buongiorno. In cosa posso esserle utile? - Ecco, - sembra imbarazzata - io vorrei chiederle un ritratto. - Nessun problema. Che tipo di ritratto? I suoi occhi si illuminano. - Oh.. ecco, io vorrei un ritratto.. di me. - Posso farglielo di persona, se ha pazienza di stare ferma per un'oretta. Sennò puo' lasciarmi una fotografia, ma la somiglianza e la qualità saranno inferiori. - Ecco.. io preferirei che me lo facesse di persona.. - Ok. posso chiederti Come ti chiami? Mi viene spontaneo darle del tu. Non deve avere più di diciotto anni. - Mi chiamo Desirèe. La osservo bene. Ha i capelli in disordine, molto folti e lunghi. Ha la pelle chiara, è piccola ma ha un corpo ben proporzionato. Ha due grandi occhi neri, molto espressivi. - Allora, si puo' fare? - Certo. Lo vorresti fare subito? Qua c'è una poltrona molto comoda. - No, ecco, in verità...è una cosa un po' particolare, hmm. Sembra essere molto in difficoltà. - Dimmi tutto. - cercavo di metterla a suo agio, mostrandomi rilassato e disponibile - Ecco, io vorrei che lei mi dipingesse senza niente addosso. Lo dice in fretta, come se volesse scaricare il peso dell'affermazione su di me. Di colpo il mio corpo inizia a scaldarsi e il mio interesse per questa ragazza aumenta vertiginosamente. - Nuda? - Sì. Non le chiedo ulteriori spiegazioni. Non voglio essere invadente. - Quindi avremo bisogno di un posto un po' più tranquillo. - dichiaro. - Sì.. Passo sempre davanti a questo negozio, ed è quasi sempre vuoto. Ma non sarei a mio agio lo stesso, su quella poltrona. Davanti a tutti. Gli occhi puntati verso il basso, è arrossita. La sua voce francese è dolcissima. Il suo modo di parlare e la sua sincerità mi piacciono molto. - Ok, allora ti va di venire nel mio appartamento? - Nel tuo appartamento? -Improvvisamente suoi occhi si riempiono di paura. -Sì, abito qua davanti. C'è un grande divano su cui, ne sono certo, saresti bellissima. - Lo penso davvero. La sua voce trema. - Tu non mi farai del male, vero? Trovo che sia spaventata senza nessun motivo. Cerco di rassicurarla, la guardo negli occhi, e le dico con molta decisione: - Non devi neanche pensarci. Non ti toccherò mai. - Ok. Le ho fatto una promessa. Sembra rilassarsi. Ha deciso di fidarsi di me. - Sai, sono molto belli i tuoi quadri. Ora è tranquilla, e cambia rapidamente argomento. La vita torna rapidamente in lei. Ci sono delle cose che catturano la sua attenzione. La vedo perdersi nelle mie tele: nei paesaggi caraibici, nelle tundre fredde e nei castelli medievali. Guarda anche a fondo alcuni ritratti, dimenticati sulle mensole. Da come li guarda, con gli occhi spalancati e vivaci. capisco che li deve amare davvero. - Grazie. Allora quando saresti comoda per fare il ritratto? Stasera? Oppure domani? - Credo che domani sia una buona giornata. Lo dice con tono deciso. E mi sorride. - Perfetto. Esce facendo scampanellare la porta. Rimango da solo. Non mi rimetto più a dipingere. Mi siedo su uno sgabello, davanti a una tela bianca, e resto così, immobile, per 4 ore. Dopodichè inizio a scopare il pavimento, metto al loro posto qualche tela, prendo il mio portafogli da sotto il bancone e chiudo il locale. Esco in strada ed entro nell'edificio di fronte. Salgo le scale fino al mio appartamento ed entro. Mi preparo la cena: una bistecca comprata questa mattina al mercato con delle verdure. Mangio con lo sguardo perso nel vuoto. Finito di mangiare, sparecchio e lavo i piatti. Mi lavo i denti e la faccia. Poi mi svesto e vado a letto. Nonostante siano le 9, mi addormento subito e con molta facilità. Voglio essere ben sveglio domani. Voglio farle un quadro magnifico. Sogno di essere su una barca a remi. Ci sono solo io a bordo della barca, e sono in mezzo ad un fiume. La corrente mi fa scivolare in avanti. Vedo sfilare davanti ai miei occhi paesaggi molto belli. Montagne nevose, deserti freddi, boschi nordici, paludi e steppe. In questi paesaggi c'è una sorta di serenità, e io sto bene nel guardarli. Finchè una spiaggia non si para davanti ai miei occhi. Sorge in mezzo al fiume, nascosta in un piccolo golfo. Il sole, in tramonto, la dipinge di rosso. Sento che in quella piccola spiaggia sarei felice. Cerco di dirigermi in quella direzione, remando a più non posso, ma non ci riesco. La corrente è fortissima e mi spinge in avanti. Alzo lo sguardo. Vedo delle nuvole, in lontananza. La giornata seguente trascorre silenziosa e triste. Il negozio è deserto, e fuori il cielo è grigio. Passo il tempo a fissare il grande orologio bianco a forma di gatto che tengo sopra la porta d'ingresso. Alle sei dò una ripulita alla bottega. Passo anche con gli stracci per terra. Poi prendo le mie cose da sotto la cassa, prendo il cappotto ed esco. Piove. Una pioggia leggera, autunnale. La strada è deserta, ed è immersa in una sottile foschia. Mentre sto chiudendo la porta della bottega con il chiavistello qualcosa mi blocca una spalla. Giro la testa. E' Desirèe, bagnata fradicia. Deve essere venuta a piedi da casa sua, penso. Porta un vesto lungo, piuttostosto estivo. Deve morire di freddo. La porto nel mio appartamento: saliamo le scale, buie e sporche, e ci accomodiamo. Desirèe prende subito posto a sedere al tavolo della cucina. Si muove con molta leggerezza, facendo pochissimo rumore. La casa è calda. - Vorresti un tè? - Ecco, io a dire la verità.. mi sono portata questa da casa.. - e tira fuori una bottiglia di champagne dalla borsetta. E' visibilmente imbarazzata. - Sai.. per superare la timidezza. Apre la bottiglia e inzia a berla, un bicchiere alla volta, con la giusta calma. Io nel frattempo mi preparo un te'. Nessuno di noi due parla. Bevendo, la ragazza diventa più allegra e curiosa: incomincia ad esplorare tutti i quadri sulle pareti di casa mia, uno a uno, con i suoi occhi grandi e vivaci. - Sono stupendi. - Grazie. - Sono molto, molto più belli dei quadri che tieni nel negozio. - Mi sorride. - E' vero. Più ami qualcosa e più la tieni per te. Per te soltanto. Quando la bottiglia è stata bevuta per due terzi, da lei solamente, (offre anche a me dello champagne, ma io voglio rimanere lucido) si alza e, barcollando e ridacchiando,si butta sul divano. Continuava a guardarlo da un pezzo. La intrigava. Un grosso divano rosso, molto bello. - Sei sicura di voler fare questo quadro? Mi guarda con i suoi grandi occhi neri. - Sì. Con tutto il cuore. E' uno sguardo deciso. Prendo la tela e i pennelli. Mi sistemo sistemo davanti a lei, in piedi. Desiree è persa nei suoi pensieri. Sembra essere in un altro mondo. - Desirèe? Si sveglia di colpo. - Uh, sì, scusa. Resto in silenzio. Mi guarda con occhio strano e mi chiede. - Ora dovrei spogliarmi, vero? - Direi di sì. E lo fa. Delicatamente si sfila tutti i suoi vestitini, uno ad uno. Naturalmente con molta timidezza. Mano a mano li piega e li poggia vicino al divano. E io so che non dovrei guardare, che dovrei cercare di non imbarazzarla ulteriormente. Ma non riesco a staccare lo sguardo da quella visione. E' bellissima. Un angelo sceso dal terra per me. Il suo corpo è chiaro, e sembra risplendere di una strana luce. Distesa di lato mi guarda. Il suo profumo mi arriva nitido. Ed è un profumo fantastico, dolce e selvatico insieme, irresistibile. Sono immobile, bloccato. Il silenzio opprime la stanza. Tiro fuori delle casse e metto un cd di Mozart. La bella musica mi aiuta a dipingere. Passano cinque ore. lei mi guarda per ogni singolo istante, senza muoversi mai. Nella stessa posizione, mi guarda. Tuttavia non sta guardando me. I suoi occhi sono rivolti verso di me. Ma la sua immaginazione sta mettendo a fuoco qualcun'altro. E' lo sguardo di una ragazza innamorata. E io, fingendo che quell'amore sia indirizzato a me, metto tutto me stesso, tutto il bello della mia vita, in questo dipinto. Quando ho finito di dipingere la ragazza e una parte del divano osservo con attenzione la tela. La prima impressione è di inquietudine, senso di piccolezza. Poi passa. Ora provo interesse. Mi piace. Dopodichè arriva il desiderio. Desirèe mi vede, capisce che deve essere finito. si alza, cammina verso di me. Con la massima disinvolura si avvicina a me. Sbircia la tela dietro le mie spalle. Sento silenzio. Poi la sento ridere. E' felice. Il quadro le piace moltissimo. A quel punto mi bacia. Un bacio di ringraziamento, credo, con il quale accarezza la mia lingua con delicatezza. Sono preso alla sprovvista. Per un attimo dubito di trovarmi in un sogno. Sono sbigottito. Ricordo la mia promessa. Nel frattempo Desirèe si calma, si dà un contegno. Lentamente e con molta tranquillità, si riveste e mi ringrazia. Non sembra più in imbarazzo. E' davvero contenta. - Torna domani e sarà asciutto. - Riesco a dire. Lo stereo ora sta suonando un pezzo di Beethoven. La pastorale. - Ok, ci puoi contare. - mi rivolge uno sguardo complice. - Grazie. - aggiunge. - E' bellissimo. Il giorno seguente lo trascorro sudato e teso dietro il bancone, piuttosto nervoso. Ho passato tutta la notte a guardare quel dipinto. Mi rendo conto che non vedo l'ora che arrivi. Ho voglia di vederla. Il giorno passa in silenzio. Nessun cliente. Solo la mia tensione, palpabile nell'aria. Sta nevicando. Guardo fuori dalla vetrina: vedo coppiette felici di ragazzi di 16 o 17 anni, signori di una certa età camminare solitari, gruppi di bambini correre con un pallone sotto il braccio e poi una ragazza carina, dai lineamenti orientali, che porta a spasso un cane. Accendo un incenso. Cerco di distrarmi nel profumo. Non riesco a dipingere nulla. Arriva alle cinque. E' di nuovo timida, e molto imbarazzata. Lo capisco all'istante. Guardandomi arrossisce. Ha una felpa gialla color del sole e jeans piuttosto stretti. Ai piedi scarpe da ginnastica. Emana un buon profumo. Non so bene come comportarmi. Vado a prendere il quadro e glielo mostro. Ora è più serena. E guarda il quadro con grande amore. Se mi avvicino troppo, lei si allontana. Nel farlo però, sfiora i miei fianchi con la sua mano, con un fare molto dolce. Mi paga ed esce dalla bottega. Prima di farlo mi bacia sulla guancia e mi abbraccia. L'ultima espressione che mi regala è un grande sorriso. Attendo trenda secondi. Prendo una coppola, me la metto in testa ed esco. Il cielo è ancora nuvoloso, e la neve ricopre le strade. Dei raggi di sole filtrano attraverso le nubi e illuminano dei pezzi di strada. Fa freddo, e posso vedere il mio respiro nell'aria. Sento un forte chiacchericcio provenire da un punto imprecisato: ragazzini che scherzano. La vedo in lontananza. Con quel grosso quadro sotto il braccio, impacchettato. Ho deciso che devo sapere chi avrà la fortuna di possedere un dipinto così bello. Così decido di seguire Desirèe. La ragazza cammina spedita e presto sbuca in una strada più grande. Si districa facilmente nella folla, con sicurezza. Gira a sinistra, attraversa la strada. Non si volta mai indietro. Rimango fermo a un semaforo e la perdo di vista. Quando il semaforo diventa verde, affretto il passo e dopo qualche istante torno a vedere quella felpa gialla. La strada diventa salita. Stiamo addentrandoci su per una piccola collinetta. Finchè non la vedo entrare in un cortile. Suona un campanello ed entra. E' una casetta americana. Sembra uscita da un film. La folla è sparita, e si sente solo un leggero rumore di grilli. La casa è in ombra. Mi avvicino ad un finestrone e spio dentro. E' un soggiorno tipicamente americano. Ci abita un ragazzo. Avrà vent'anni. Ha dei tratti inglesi. Non è bello, ma forse crede di esserlo. Ha capelli rossicci e sta parlando con Desirèe. Cerca di nasconderlo, ma sembra un po' annoiato. Una rivista inglese abbandonata su un divano. Un parquet lucidissimo. Il ragazzo è vestito con giacca e cravatta. Desirèe gli porge il quadro, lui scarta il pacco, immaginando già cosa contenga. Però rimane piacevolmente colpito e la ringrazia. E' stata una squisita idea. Dopodichè fanno l'amore. Io resto a guardarli per un po', poi me ne vado. La strada è in ombra. I grilli non fanno alcun rumore. Una macchina, in lontananza. Tempo dopo Desirèe si trasferì. Seppi da dei suoi amici che era tornata in Francia. Provai a cercarla, ma non la rividi mai più. Due anni più tardi riuscii a comprare la tela. Un giorno andai a casa di quel ragazzo (mi ero annotato il suo indirizzo) e gli chiesi di vendermela. Gli offrii molti soldi ed il ragazzo accettò. Quasi non si ricordava più di averlo, quel quadro. Era abbandonato in soffitta da più di un anno. Gli dissi che lo avevo dipinto io. Non mi chiese nient'altro. Si limitò a vendermi un dipinto pieno di polvere, in parte rovinato, con la mia firma. Ancora prima che uscissi aveva già ricominciato a guardare la televisione. Da allora il quadro è nel mio studio. Nascosto sotto un panno. Nella mia ottica non farlo vedere a nessun altro è un atto di amore per Desirèe. Ho avuto altre donne, nella mia vita, parecchie erano francesi, e credo di aver dimenticato molto di quella ragazza. Tuttavia conservo dentro di me il ricordo di lei come se fosse un tesoro. Il suo profumo, la sua voce, e il suo modo di guardare gli oggetti mi sono ancora nitidi. E lei è viva dentro di me. Con il tempo ho capito che in realtà il quadro non significa niente. E' soltanto un oggetto morto, come tanti altri. Quello che conta è ciò che in quel momento stava vivendo e respirando sopra quel divano rosso. Quel bellissimo essere che sprizzava amore da tutti i pori. Quel fiore che non ho saputo cogliere. Mi chiedo continuamente dove sia, e cosa stia facendo. In quei momenti torna ad essere la mia ossessione, e mi sento molto triste. Nessuno oltre a me ha mai visto quel quadro. Solo una volta, una bambina birichina, di sei anni, gironzolando in casa mia a piedi nudi (è la figlia di alcuni amici di mia moglie), si trovò davanti il cavalletto. Sollevò il panno, incuriosita, e lo vide. Rimase ferma, immobile per parecchi minuti. La allontanarono più volte, ma lei tornò a guardarlo, sempre. Non parlò per dei mesi. E poi visse una vita felice.
  2. In questo mondo non ci sono zoo. La maggior parte degli animali gira tranquillamente per i villaggi. Sì, non ci sono città in questo mondo, ma soltanto villaggi. Gli animali girano per le strade, nessuno fa molto caso a loro. Mi ricordo di quando arrivai qui. Prima vivevo sulla Terra. La religione, lo smog, la droga. Ero talmente depresso che passavo le mie giornate chiuso in casa. Non avevo una ragazza da un anno ormai. E avevo venti anni. Ero arrivato quasi al suicidio. Mi svegliavo la mattina e odiavo ogni cosa che vedevo, a partire dalla mia casa. Tutto mi sembrava sempre uguale. La colazione, l'università, gli amici. Giudicavo ciò che mi circondava. Era tutto brutto, e grigio. Mi sentivo giudicato da ciò che mi circondava. Ero brutto, e grigio. Così decisi di costruirmi una navicella spaziale. Per andarmene da questo mondo. Per i materiali usai degli scarti di altre navi spaziali: avevo una fabbrica di navi spaziali proprio sotto casa. Non me ne intendevo molto di come si costruisce una navetta, io avevo fatto il liceo classico. Così lessi un paio di manuali sull'argomento, e costruii la mia navicella. Era grande poco più di una utilitaria, stavo molto stretto. Era di forma sferica, e non c'erano comandi. Entrai nella navicella, e venni ibernato. La navicella partì, e iniziò a vagare senza meta per lo spazio. Era stata costruita proprio per questo: per vagare senza meta. Si sarebbe disattivata solo una volta raggiunto un nuovo mondo, o sarebbe esplosa nel caso non fosse riuscita a farlo. Aveva un motore a moto perpetuo: per costruirlo mi ispirai a quei marchingegni cinesi che una volta messi in movimento, non si fermano più: molle e così via. Tuttavia c'era sempre il rischio che un giorno sarebbe esplosa. Poco mi importava: morire o trovare un nuovo mondo; era sempre meglio che continuare la mia inutile e insensata vita. Ma non esplose: mi risvegliai in un prato fiorito. Capii di non essere sulla terra perchè il cielo era di un rosso vivo. Non un rosso sangue, sgradevole, ma un rosso bello, come di un tramonto infinito. C'era un grande mare davanti a me, con due grandi soli, che si alternavano a vicenda. Capii che in quel mondo non c'era mai notte, solo rosse giornate di bellezza. Credetto di essere finito nel paradiso. Mi guardai intorno: c'erano enormi animali che facevano l'amore intorno a me, e all'orizzonte, sotto il cielo rosso, si stendeva un grande mare viola. Mi sentivo felice, e riposato. Come se avessi dormito un'eternità e finalmente mi risvegliavo, e ricominciavo da capo a vivere. Gli animali erano di tutti i colori piu' disparati, e di tutte le dimensioni. Alcuni assomigliavano in qualche modo a dei topi: ma non erano schifosi come dei ratti di città: sembravano dei topini usciti dai cartoni, con dei grossi baffi e dei grandi occhi azzurri. Poi c'erano degli elefanti e dei rinoceronti. Mangiavano tranquillamente da degli alberi color rame, che emanavano un forte odore d'incenso. L'aria era fresca e calda. Avevo viaggiato per oltre 1000 anni e non avevo idea del pianeta in cui mi trovavo. Arrivò una ragazza: portava un grande cesto d'acqua sulla testa, e aveva la pelle dello stesso colore degli alberi: rame. Di un rame irreale. Non era umana: i suoi occhi erano enormi, e pieni di sentimenti e di felicità. Stava andando da qualche parte, e quando mi vide si mise a urlare. Fece cadere il suo grande cesto pieno d'acqua per terra e scappò via. mi misi a inseguirla. Mentre correvo piangevo, non so perchè. Alla fine le saltai addosso per bloccarle la fuga: volevo comunicare con lei, volevo capire qualcosa di più. Ero bagnato fradicio, mi ero appena scongelato. Avevo i capelli e la barba lunghissimi, e ai suoi occhi dovevo sembrarle un mostro. lei aveva dei lunghi capelli viola, toccandoli mi accorsi che erano molto ispidi e spugnosi. Non so perchè le stavo toccando i capelli. Lei era spaventata a morte. E io non facevo l'amore da una vita. Stavo piangendo ancora: per la felicità credo. Lei mi vide solo allora, e parve commuoversene. Improvvisamente mi vide, per la prima volta. Mi scrutò con i suoi grandissimi occhi e mi sembrò che stesse frugando nella mia anima. Capì subito chi ero: soltanto un povero viaggiatore perduto nel tempo e nello spazio, sbucato in un mondo fantastico, che si sentiva molto confuso e solo, da troppo tempo. Continuava a fissarmi, e i colori intorno a me sembravano mutare: mi sembrava che fosse tutto sempre più caldo, piu' vivo. Cercai di parlarle, ma tutte le mie parole si strozzarono nella mia gola. Un topino con gli occhi azzurri mi passò vicino e mi sorrise. La ragazza continuava a fissarmi. Poi si tolse quei pochi vestiti che aveva e iniziò a strusciarmisi addosso. La guardai e incominciai a capire quanto fossi già innamorato di lei. Di un'aliena. Poi mi tolsi in fretta i vestiti e feci l'amore con lei. Per ore. Non facevo l'amore da 1001 anni. Per cui mi sentii per la prima volta davvero felice. Poi caddi addormentato. Quando mi risvegliai mi trovavo in una foresta grigia. Ero solo, e faceva molto freddo. Volavano dei piccioni intorno a me. Piccioni bianchi. A parte quei piccioni non c'era proprio nessun altro animale. Non c'era piu' il mare viola, gli animaletti, il tramonto, l'aliena. La mia aliena. Era un posto che poteva ricordare la transilvania. Mancava solo che piovesse. Mi sentii arrabbiato. Ma mi feci forza e mi costruii una casa con delle canne di bambu' che trovai per terra. Una piccola capanna. Una volta costruita la casa, strappai un piccolo cespuglio dalla terra e lo portai dentro. Sarebbe stato il mio cuscino. Così entrai nella capanna e mi addormentai. Sognai di volare, e di lasciare arcobaleni alle mie spalle. Sotto di me c'era una grande metropoli, e vedevo tutte le persone girare e girare, come delle formiche. Mi sentivo il re del mondo, finchè gli arcobaleni che lasciavo alle mie spalle svanivano, e io incominciavo a cadere, a precipitare. Quando mi svegliai decisi di smettere di commiserarmi, così, uscito dalla capanna, iniziai a correre. Corsi, e corsi, e corsi ancora, attraverso quel tristissimo paesaggio. Era soltanto un triste bosco, con dei piccioni bianchi che continuavano a volarmi intorno. Corsi fino a impazzire, fino a non farcela più, e quando finalmente caddi a terra sfinito, capii di essere arrivato in un posto nuovo: era un villaggio, ma non un normale villaggio. Vi erano degli alieni, alieni bipedi e alti, grigi, che giravano con disinvoltura per le strade. E c'erano dei grossi tubi che passavano sopra la mia testa. Era tutto molto strano. Quando uno di quegli alieni mi vide, si mise ad abbaiare. Pensai che ora sarebbero venuti altri alieni per legarmi e portarmi dal loro capo, che avrebbe deciso sulla mia vita e sulla morte. Ma invece questo alieno si avvicinò e iniziò a leccarmi la faccia. In genere mi avrebbe fatto schifo ma questa volta non mi dispiacque. Mi sentii più sereno. Quegli alieni avevano il potere di dare la felicità alle persone solo leccandole. Mi chiesi perchè quando conducevo la mia vita sulla terra, non avevo mai preso un cane. In ogni caso, mi lasciai andare. E caddi addormentato. Quando mi svegliai, da un sonno leggero e senza sogni, molti alleni si erano radunati intorno a me. Iniziarono a parlarmi. - Benvenuto nel nostro piccolo paese, straniero. - disse uno, che aveva l'aria di essere il capo. - Grazie. Io mi sento ancora molto confuso e non capisco bene se sto sognando o no. - Tu non stai sognando. Mi portarono in una capanna di bambu', che assomigliava molto a quella che io stesso avevo costruito nel bosco e mi portarono acqua e cibo. Un cibo fresco, sereno e intenso, che mi fece subito sentire meglio. Anche l'acqua era fresca e cristallina. Stranamente non avevo voglia di fumare una sigaretta, una volta finito di mangiare. Non fumavo da più di mille anni. Decisi così di lasciare perdere la mia vita passata, le mie abitudini passate, e di lasciarmi andare alla mia nuova vita, su quel nuovo mondo che sembrava essere così pieno di soprese. C'era una aliena vicino a me. Era molto gentile. Mi aveva aiutato a mangiare. Stranamente non mi aveva fatto schifo l'idea di mangiare qualcosa toccata da degli alieni di quel tipo. Chissà poi cosa avevo mangiato. - TI piace? è il nostro piatto nazionale. - Disse l'aliena. - Lo trovo molto buono. Mi fa sentire piu' vivo. Cos'è? - Lo coltiviamo nelle nostre pianure. Intorno alla nostra città ci sono delle paludi, dove crescono dei fiori bianchi e profumati. L'eterium lo tiriamo fuori da quei fiori. Mi guardai intorno: esaminai la capanna. C'erano dei dissegni di cani appesi al muro, o meglio, ai bambu'. In piu' c'era un aroma di fritto, di fiori fritti, intorno a me, che mi dava un senso di spensieratezza. Ringraziai l'aliena e mi alzai in piedi. Non mi importava molto di dove fossi, o con chi fossi, volevo solamente la pace interiore. - Da dove vieni? - Mi chiese l'aliena infermiera. - Da un brutto mondo, lontano e triste. - Vieni da un'altro mondo? E' bellissimo! Io pensavo provenissi da Ambra: anche se sembri piu' pallido, assomigli molto alla gente di là. Credo si riferisse a quella landa con il mare viola e gli alberi gialli. - No. - Capisco. Poco dopo uscì, e da quel momento tutti gli alieni incominciarono a trattarmi un po' come un pazzo. Erano sempre molto gentili con me, e a volte mi leccavano la faccia per farmi sentire meglio, ma capii che dovevano considerarmi pazzo. Quando uscii da quella capanna, mi misi a esplorare la città. Nei tubi che passavano sopra le nostre teste ogni tanto schizzavano dei fiori. Questi alieni per coltivare usavano delle specie di aspirapolvere giganti. Percorsi tutta la città e vidi un sacco di colori, e di bella gente, gioviale. Alcuni tuttavia si intristivano quando mi vedevano passare. Il giorno dopo, quando mi svegliai, mi accorsi di essere diventato anch'io un alieno bipede, alto circa 2 metri: e la mia lingua sapeva di caramello. Capii che ormai ero diventato un'abitante di quello strano paesino, così mi cercai un lavoro. Andai zampettando (a gattoni: in fondo non avevo ancora imparato a camminare) fino dal capo del villaggio, un grosso alieno con un grande scettro di ceramica. - Ciao, io sono diventato stanotte come voi, e ora vorrei trovare qualcosa da fare in questa città. - Sei proprio uno strano personaggio. Tu dovrai portare l'acqua dal ruscello che scorre fuori dalle mura. Per mura intendeva un piccolo recinto di stecccato che doveva servire a proteggere la città da qualcosa di sinistro e magico. Iniziai quel lavoro, e lo continuai senza sosta per 7 mesi. Durante questi 7 mesi ebbi delle relazioni soddisfacenti con qualche aliena. Non parlavo molto, e non dovevo essere un gran bell'esemplare di alieno, ma la mia stranezza doveva in qualche modo intrigare qualcuno. Furono delle belle esperienze, e in fondo stetti bene in quel periodo, al villaggio. Quasi scoprii cos'era la felicità. Il problema era il lavoro: quando uscivo e mi inoltravo nella foresta grigia di colpo si abbatteva in me la tristezza e non vedevo l'ora di tornarmene a casa, nella mia capanna. Il ruscello era bello e fresco, e in questo nuotavano tanti piccoli pesci colorati, che sembravano delle caramelle gommose. L'acqua era dolce, e buona. Ogni volta che arrivavo al ruscello prima bevevo un bel po' d'acqua, e poi riempivo i miei secchi. Dopodichè li riportavo al villaggio. Facevo degli strani sogni, spesso incubi. Una volta sognai di essere davanti a un grande precipizio. Non si vedeva il fondo: era nero. Anche intorno a me tutto era buio. Ma in lontananza, dall'altra parte del precipizio, scorgevo una piccola luce. Un vecchio ponte, molto instabile e stretto, di legno, portava in direzione di quella luce. Il vento lo spostava da una parte all'altra, producendo inquietanti scricchiolii. Non c'erano altre strade. Iniziai ad attraversare il ponte. All'inizio ero molto insicuro: avevo continuamente paura di cadere nel precipizio. Tuttavia, mano a mano che procedevo, acquistavo sicurezza e forza. Quel ponte sembrava non finire mai. La luce era sempre lontana. Iniziai a pensare che, per quanto camminassi, non l'avrei mai raggiunta. Ma continuai. Continuai ad andare avanti.
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