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  1. ho accettato alcuni dei tuoi commenti e spiegato il motivo per cui non ho accettato molti altri. non mi limito a dire "è così e basta".

    L'ho modificato pesantemente. Credo che ora sia meglio.

    -----------------------

    PROLOGO

    È singolare come un colpo sul cranio possa far fuggire i ricordi di un’intera vita.

    Anno 3388, Arco di Aurion, regione dell’Impugnatura.

    Raffiche roventi distorcevano e sfuocavano la sagoma di un nano, solo e veloce tra le basse dune giallo limone.

    Guardava il muoversi incessante dei suoi sandali coperti di sabbia, tant’era affaticato.

    Per terra vide un’ombra e la seguì con lo sguardo, perciò si voltò a destra.

    Una colonna naturale di roccia smussata traforata in più punti dal vento si stagliava contro il sole basso, ma già bianco e forte.

    Un polverone prese a vorticare sul terreno duro attorno ad essa, mentre lunghi fasci obliqui di luce attraversavano i suoi fori.

    Il nano ci si diresse per cercare un po’ d’ombra, strizzando gli occhi.

    Giunse ad appoggiare le mani sulla roccia liscia.

    Alla sua sinistra, per terra, guardando sotto una lama di luce che gli sbarrava lo sguardo, vide un paio di gambe lisce e negre.

    Capì subito che era una giovane umana, così portò la sua mano sinistra alla piccola balestra d’acciaio che portava appesa al fianco, per sicurezza.

    Puntò il suo dardo.

    Non vide alcuna reazione e così si curvò lentamente.

    La giovane restò seduta là, sull’unico mucchio di sabbia che era vicino all’alta colonna, appoggiata a una sporgenza col suo sacco a pelo arrotolato dietro la schiena.

    Portava i capelli legati in tante lunghe treccine e aveva gli occhi chiusi.

    “Non è una dei nostri”.

    Allora le urlò di alzarsi nella lingua di Ruur, gesticolando con la balestra:

    «Thar! Thar!».

    Nessuna reazione.

    Continuando a puntarla le rubò l’otre che aveva tra le mani.

    Vuoto.

    Lo lanciò via dalla rabbia con un urlo digrignando i denti.

    Guardò il mucchietto di sabbia su cui era seduta e pensò:

    “Questo mucchietto qui è fuori posto, troppo isolato: se l’è fatto lei di sicuro, per proteggersi dal freddo di ieri notte. Strano. Forse il sacco a pelo non le bastava?”.

    Le mise una mano su una spalla e la buttò per terra.

    «Fammi vedere che nascondi qui sotto» disse, sempre nella sua lingua.

    Mise le mani nella sabbia e rinvenne un borsone grigio.

    Aprì la tasca più grande e scattò in piedi dall’emozione.

    Al suo interno aveva trovato ciò che tutti i suoi compagni ribelli stavano cercando.

    Lo richiuse subito per paura che qualcun altro potesse vederne il contenuto, lì in mezzo al nulla.

    Lei aprì gli occhi piena di dolori e vide il nano incombere su di sé.

    Lentamente si alzò intontita, fissando il dardo.

    Il nano disinnescò il meccanismo della sua balestra e se la rimise al fianco, così lei tirò un sospiro di sollievo.

    Il nano si scalciò via la ghiaia da sotto ai sandali, si sgranchì le spalle, piantò le sue gambe possenti sul terreno e la travolse con un pugno alla tempia sinistra.

    Buio.

    Cancellò i suoi ricordi.

    Cancellò il suo nome.

    Dénev.

    Il vigliacco non avrebbe diviso la gloria con nessuno.

    Tornò in marcia sotto al cielo terso, stringendo a sé il malloppo.

    Il pesante borsone a tracolla faceva un rumore di sonagli metallici ad ogni passo.

    Si allontanò di un orizzonte.

    ***

    Si voltò un attimo a controllare che nessuno lo stesse seguendo, ma il lungo sentiero tracciato dalle sue orme svaniva negli effetti ottici all’orizzonte.

    Impossibile capire se qualcuno fosse sui suoi passi.

    Si grattò la corta barba scura; prese dalla tasca destra dei suoi pantaloncini neri una piccola bussola d’avorio.

    Aspettò il responso dell’ago magnetico e s’incamminò verso nord-est.

    Dopo un altro orizzonte di sofferenza intravide il profilo delle rupi dei ribelli.

    “Acqua a volontà”.

    Un puntino nero spiccava in lontananza, al livello del terreno, isolato dal mondo conosciuto, eppure al suo centro.

    ***

    L’entrata larghissima, ma alta appena due metri, pressappoco rettangolare a causa dell’erosione.

    Entrò lento, sfinito, nell’ombra senza la forza di guardarsi attorno.

    Trovò l’otre mezzo pieno d’acqua di uno dei suoi compagni e si mise seduto per terra a bere piano. Si accasciò sfinito stringendo il suo tesoro.

    “Per andare giù al torrente c’è tempo”

    pensò, mentre le sue gambe gli bruciavano dalla fatica.

    Uno spiffero fresco dal sottosuolo lo fece rinvenire.

    Tornò sotto il sole aprendo il borsone, gonfio d’orgoglio.

    Le schegge metalliche giallastre che la colmavano lanciarono una miriade di riflessi in alto sulla volta piatta e sulle sue pupille dilatate.

    Non era oro, ma qualcosa di ben più prezioso.

    “Per questo mi faranno come minimo una statua, quando vinceremo. Torneranno qui entro stasera”.

    Si alzò in piedi già abituandosi a sentire la gente acclamare il suo nome:

    «Kel-den! Kel-den!».

    Dal buio, la sua stessa voce gli rispose: «Kel-den!».

    Preso alla sprovvista, il nano si gonfiò e poi fece una grassa risata il cui eco risuonò anch’esso nella spelonca.

    Accasciata nel polverone.

    Una voce immaginaria nel buio dei suoi occhi la chiamava.

    «Dénev… Dènev».

    Non la riconobbe.

    Il nano aprì un’altra tasca del borsone, più piccola, posta sul lato sinistro.

    Ne estrasse una massiccia lente d’ingrandimento quadrata e un libretto impolverato, ancor più importante delle schegge metalliche, per cui tanto aveva esultato.

    Sulla sua copertina ruvida di tela nera c’era una parola dai tratti dorati, magnifici sotto il sole.

    «Amagite».

    La lesse con un filo di voce, fissandola incredulo, ancora un po’ intontito dal caldo. Puntò la lente su una pagina a caso, cercò il giusto orientamento per inquadrare i piccoli caratteri e concentrò troppa luce in un punto sulla carta.

    Un filo di fumo iniziò a spandersi sotto la lente.

    Il nano aspirò forte una boccata d’aria in un gemito di preoccupazione, tolse la lente con la mano sinistra e chiuse il libro con la destra, in un colpo secco.

    Lo schiacciò forte, pregando che nessuna fiamma stesse covando tra i fogli, e lo portò all’ombra.

    “Stavo per dare tutto alle fiamme”.

    Si mise in un alone giallo di luce riflessa e trovò il coraggio di riaprirlo.

    Nessun danno. Sollevato, sbuffò via un po’ di tensione ed osservò le illustrazioni tecniche colorate a china delle pagine centrali.

    Spiccavano parole come attrattore di fulmini, metallo liquido e suono che plasma la forma.

    Si mise a leggere.

    Pagina 42.

    A questo punto un fulmine cadrà sulla vostra incudine: così l’amagite diverrà ardente e sarà plasmabile per poco tempo. Fate in fretta. Nello stampo di metallo potrete dare una prima forma al vostro manufatto usando gli acidi triferàli, seguendo le proporzioni descritte nel capitolo quarto. Ripetete il processo...

    - prese dalla sua borraccia un ultimo sorso, questa volta attento a non bagnare il manoscritto, anziché bruciarlo e per curiosità sbirciò l’ultima pagina -

    … quanto più sarà spesso il vostro manufatto d’amagite, tanto più sarà impenetrabile agli incantesimi.

    Di certo avere uno scudo o una spada con aloni giallo limone non vi darà un’aria spavalda, ma potete starne certi: i maghi smetteranno di usare tutti quei loro termini astrusi e vi porteranno rispetto.

    “Che strano, - pensò grattandosi le labbra - questi ultimi appunti così informali non possono essere stati scritti da un senza mente”.

    Sollevò lo sguardo e per un attimo gli parve di vedere delle treccine nere dietro a una duna.

    Poggiò lente e libro cautamente e mise mano alla sua balestra, con una certa apprensione.

    “Umana, non puoi essere ancora viva”.

  2. Innanzitutto trovo le frasi ancora troppo schematiche.

    ---E' l'inizio. Serve a dare ritmo, non sono l'unico a usare questa tecnica di scrittura--

    con un troppo ripetuto uso del verbo al passato remoto ad inizio frase.

    ---la storia si svolge in tempi remoti, quindi è chiaro che il passato remoto sia usato molto---

    Perché l’“a capo?”

    ---per spezzare: è come un cambio d'inquadratura. Se invece uso le congiunzioni, la telecamera si gira verso l'obbiettivo continuando a inquadrare---

    “Per […] fa che ci sia dell’ombra!” borbottò con un filo di voce, le labbra riarse e doloranti.”

    ---è chiaro che vuole ombra, è in un deserto: non ho voluto scrivere qualcosa di ovvio. E poi lo vede da sè che c'è ombra: proprio per questo va verso la formazione rocciosa---

    Cercherei di rendere il nano ancora più caratterizzato, introduci un pantheon di divinità, fallo sbottare ogni tanto.

    ---fa caldo nel deserto, nessuno vuole mettersi a sbraitare, il caldo toglie le forze. Il nano è semplicemente troppo cotto per sbraitare, a meno che non lo abbiano appena teletrasportato là in mezzo all'inizio del racconto, come istintivamente si potrebbe pensare, visto che il racconto è appena iniziato, ma non è così----

    Stava iniziando a guardarsi in giro per cercare un posto dove potersi riposare almeno qualche minuto, quando un leggero fruscio alle sue spalle lo fece girare allarmato. “Chi c’è?” urlò.

    ---lei è svenuta immobile, non fa alcun fruscio. E non voglio fare la solita cosa in cui casualmente le scivola un braccio proprio nel momento in cui il nano arriva, perchè è una coincidenza forzatissima, di quelle che svelano tutto l'artefatto letterario facendo scadere il libro subito---

    ----e poi l'ombra c'è solo da un lato, quindi è chiaro che il nano vede la donna appena possibile-----

    Una giovane umana dalla pelle molto scura stava seduta lì al riparo su un masso, con un borsone grigio a tracolla appoggiato sulle ginocchia. Per terra accanto a lei un otre, vuoto.” Cerca di rendere l’idea che la tizia sia praticamente spacciata.

    ----i fatti la rendono già spacciata di per sè senza aggiungere altro. Non c'è bisogno di dire "era terrorizzato" se dici "lo squalo lo morse" <-- grazie che era terrorizzato, non c'è bisogno che sia l'autore a dirlo----

    io cercherei di comunicare l’idea che preferirebbe che quello stramaledetto viaggio fosse finito (ovviamente wink_mini.gif)

    ----appunto, "ovviamente": quindi perchè scriverlo? Il lettore le capisce benissimo da solo certe cose-----

    Trovo che le frasi siano anche qui troppo sintetiche e descrittive, come prima cercherei di far risaltare la personalità del nano (uno che ha abbandonato una ragazza nel deserto dopo averla colpita, sicuramente non è uno stinco di santo, quindi il suo linguaggio dovrebbe essere almeno un po’ colorito).

    -----picchia una giovane indifesa: c'è davvero bisogno di dire o sottolineare che non è uno stinco di santo?-----------

    -----la malvagità non dipende dalla cultura o dal lessico. Sono le sue azioni a renderlo malvagio, non come parla-----

    -----il nano è un personaggio secondario alla storia quindi è inutile fare introspezione----------

    Idem come sopra, fallo essere preoccupato per il suo tessssoro. Un buon “Per [...], il borsone!” e tutto passa.

    ------ho già detto che lo richiuse subito per paura che qualcuno lo vedesse, basta dirle una volta bene, le cose---------

    ------e poi vorrei evitare di farlo parlare da solo, come se sapesse di essere inquadrato.

    e vorrei evitare di fargli pensare frasi che solo l'autore penserebbe.

    Se stai agendo per qualcosa di importante pensi al massimo una o due parole, ma poi agisci.

    Non è che uno sta per cadere da un burrone e pensa: "oh, non devo cadere nel burrone, l'importante è non guardare in basso, ma tanto mi hanno già spinto"<-- nel frattempo è già caduto 10 volte--------

    e di ciò è contento? Contrariato? Eccitato? Se ne frega? Decrivi un po’ di più la scena.

    ----ha appena trovato un tesoro che conserva gelosamente: è chiaro che ne sia entusiasta <--- ho anche detto "pupille dilatate", più di così...-----------

    "le grazie dorate": Non mi fa impazzire l’uso di termini pomposi, fanno troppo fantasy eroico. (e IMHO vecchiotto)

    ---le "grazie" di un carattere sono una parola moderna: sono i riccioli di caratteri "belli", come Garamond ecc-----

    “Puntò la lente su una pagina a caso ma, cercando il giusto orientamento per inquadrare i piccoli caratteri, rischiò di concentrare troppa luce sulla carta. “Dannazione!” Cambiò subito angolazione, imprecando contro la sua leggerezza “Bruciacchiare una di queste pagine sarebbe come dare alle fiamme la Causa”.

    ----altro consiglio giusto, ora lo rendo più spaventato perchè è un passaggio importante----

    Non capisco l’uso dei “–“, né tanto meno mi piace la costruzione della frase.

    ---- E' una regola di grammatica: il trattino serve a riprendere il discorso indiretto per un frangente in mezzo agli apici "" o ai caporali «» di un discorso diretto.---------

    la balestra è carica? Deve essere caricata? I movimenti del nano sono frenetici (è spaventato/colto impreparato?) Descrivi.

    ----Giusto: ho aggiunto "cautamente"-------

    “diversamente povera l’una dall’altra” non mi piace come frase, io la rifarei;

    -------come la rifaresti?----------

    “gente dal pelo che andava” trovo non stilisticamente piacevole l’uso del termine “pelo” per le persone. Io il pelo lo associo alle bestie, lo trovo discordante con l’immagine dell’uomo. Userei chioma.

    --------------la sfumatura non mi è sfuggita (anche se il pelo ce l'hanno anche le persone), anzi è voluta proprio per il fatto che lì nel Sigis accadono delle cose particolari, come leggerai-------------

  3. ho descritto la scena dei due elfi marini e spostato un bel po' i capitoli in modo da non creare troppo smarrimento, sempre sul Blog di Zurjan

    spero che renda molto meglio, ho aggiunto più descrizioni e finalmente sto avendo le idee chiare per dare profondità ai personaggi

  4. proprio perchè uccide un capodoglio come se niente fosse se ne deve dedurre che è grande come o più di un capodoglio, no?

    ho messo una versione ri-ri-corretta (e chissà quanti "ri" ci saranno) sul blog

  5. -se spavaldo significa citare normalmente (quindi nè umilmente nè spavaldamente) delle fonti...

    -un continuo rimbalzare di punti di vista?

    Ma se dicono UNA frase a testa

    . . .

    -Ho aggirato l'ostacolo di "la notte prima" con "due giorni prima" , è vero: nel deserto di notte fa freddo

    -il motivo per cui è giallo limone E' un motivo geologico che quindi non interessa a nessuno. E' come spiegare a causa di quale metallo il casco nero di darth vader è nero... non ha senso.

  6. quando scrivi che il nano si e' bruciato i peli per il caldo, la prima immagine che mi viene in mente e': un nano irsuto che diventa quasi una torcia umana

    ------- Dico che lui muore bruciato vivo?

    NO

    Quindi non accade. Punto. E' troppo importante per non essere detto, quindi LOGICAMENTE non accade.

    Il punto e': non importa se meta' della popolazione italiana si brucia i peli come hai fatto tu e lo crede credibile. l'altra meta' che non lo fa e non ci ha nemmeno pensato si possibile lo riterra' una cavolata.

    Io scrivo per gente che ogni tanto vive in un mondo reale.

    Non in un mondo di plastica in cui la gente non esiste, non si soffia il naso, non fa figuracce e

    HA SEMPRE L'OGGETTO UTILE A DISPOSIZIONE NELL'INVENTARIO

    ---e allora facciamo ai personaggi fare sempre le stesse azioni all'infinito "parla" "mangia" "attacca" "perquisisci il cadavere"...

    ----------------------------------------------------------

    "Non importa se qui tu porti le fonti che rendono veritiero quello che scrivi"

    ------- Cioè "la verità non importa" . ?!?!?!?!

    cioè:

    CIO' CHE E' ABITUDINE VA BENE, E

    CIO' CHE NON CORRISPONDE ALLA --TUA-- CONOSCENZA RISTRETTA DEL MONDO, VA MALE (????)

    (nonostante le prove linkate, tipo i maratoneti scalzi, gli immigrati che vengono a piedi dal deserto ecc).

    cioè:

    "in un libro devi trovare solo ciò che hai già previsto" ?!?!?

    ------------------------

    Un nano in un deserto se ne frega di fare le sfilate di moda.

    Se il personaggio ragionasse come se fosse osservato 24hsu24 da una telecamera, allora diventerebbe poco credibile.

    Voi ragionate con D&D nel cervello. Giocateci, ma liberatevene. Anche le vostre sessioni di gioco potrebbero giovarne.

  7. 2. Hai una vaga idea di quando diventi calda la sabbia al sole in un deserto? Ovviamente se il buon nano è inseguito/lotta per la vita tutto prende un'altra piega: potrebbe plausibilmente attraversare un deserto anche sulle orecchie.

    ---bianchi = +0 tempra;

    afroamericani = +4 tempra ai tiri vs caldo

    nani = +4 tempra (tutti i tiri)

    il nano è un personaggio fantasy (quindi più resistente) e, sì, lotta per la vita.<--- come detto esplicitamente "ormai era fuori pericolo, ma continuò a correre"<--- il che significa che si sente ancora in pericolo nonostante ne sia fuori. Difficile?

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    2. Dal momento che immagino ci sia una spiegazione, potresti almeno fargli borbottare qualche boccone di frase che indichi al lettore che quello che sta succedendo non è caduto dal pero ma è voluto.

    1---e menomale che non si devono fare le self-inserctions

    2---se dai mezzo secondo al racconto di svilupparsi, nel prologo spiego molte cose.

    3---il prologo è un'anticipazione di ciò che succederà: in esso non si può spiegare proprio tutto.

    Anzi è l'opposto.

    Riguardo al prologo tu ti chiedi:

    "ma come farà mai un nano a finire in quelle condizioni?!"

    e io ti dico

    "è proprio l'effetto che un prologo deve suscitare".

    E' come se io leggessi romanzo qualsiasi e dopo 3 pagine dicessi:

    "Quando lo scoprono quest'assassino? non si capisce, ci sono tutti questi intrighi, tutti questi misteri. Sbrighiamoci"

    ----Se ti da fastidio la suspense non leggere romanzi----

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    1. Fino a prova contraria sei tu venuto da noi a (sponsorizzare? Spero non solo) chiederci dei feedback: se non ti va bene perchè devo sprecare il mio tempo? Inoltre, visto che non sono l'unico ad aver sollevato alcuni dubbi in merito alla credibilità del nano, non pensi che forse potrebbe esserci effettivamente un problema di credibilità?

    ---Se sono sensati mi vanno benissimo.

    Se ci sono fatti che controbattono ulteriormente, che faccio? L'educato che non comunica?

    Nei forum c'è sempre questa moda per cui:

    "Se ribatti con argomenti logici, sei maleducato"

    Allora diamo fuoco a internet e distruggiamo la comunicazione no?

    (io le mie cose le provo:fin'ora

    sono stato l'unico a postare link

    di siti attendibili)

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    2. Tutto quello che scrivi deve avere un senso e un motivo per essere stato scritto, altrimenti può e deve essere eliminato dal libro: diluisce solo la storia.

    ----E se io volessi scrivere qualcosa proprio per portare il lettore leggermente fuori strada?

    E se io volessi scrivere per non dare la solita sensazione "che tanto è un romanzo e quindi va a finire così" ?

    Il prologo è la parte più importante del libro, ma di certo uno che ha appena iniziato a leggere

    non può e non deve sapere tutto subito.

    Come in tutti i romanzi del mondo.

    É come un trailer e tale deve rimanere.

    http://www.treccani.it/vocabolario/prologo/

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    3. Non voglio neanche sapere come e perchè ti sei rasato con un accendino (ma dubito che i Nobel vengano assegnati per questo):

    -----quando vado in campeggio non sto di certo a pensare a cosa penserai tu del forum.

    Se vedi uno soffiarsi il naso per strada che dici? Ti metti a trollarlo in diretta?

    <---"uuuh che schifo! hihihhihi! si è soffiato il naso! uuuuh"

    La realtà è fatta di situazioni normali che hanno effetti spesso utili.

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    non aveva così tanti peli, perchè se li sarebbe dovuti sfoltire? Per il caldo?

    ----ci risiamo col dungeonesimo: non è che o LI HA o NON LI HA.

    Esiste la via di mezzo.

    come ho già detto.

    Spiegazione definitiva:

    "Ne ha abbastanza da esserne infastidito e non è tanto idiota da darsi fuoco a mo' di torcia"

    (via di mezzo)

    Mah. Tira via quella parte và, non è proprio nè utile ai fini della trama nè è piacevole dal punto di vista letterario.

    ----non è utile ai fini della trama e la tiro via

    come ho già detto

    ----------------------------------------------------------------------------------------

    4. Io di gdr non ne capisco un tubo, ma so cosa significa interpretare un personaggio usando il buon senso e immedesimandosi in quello che viene descritto. Non ammetto consigli/paternali su quest'argomento, ma grazie per il pensiero.

    ----Fermi tutti: non capisci nulla di GDR, ma sei qui, e inoltre sai come interpretare un personaggio(???)

    Ricordandoci che questo forum si chiama Dragonslair:

    ne deduco che sei un attore prestato al mondo dei gdr.

    Non avrò il nobel ma riconosco una fesseria quando la leggo. E non venirmi a dire cose strane, perchè

    sei su questo forum --e quindi-- giochi di ruolo.

    ----------------------------------------------------------------------------------------

    5. senza pensare continuamente<----(ma lo vedi che sei un troll? "continuamente"?)

    come fare a raderlo e a sfoltirsi la criniera, dagli un piccolo coltellino e chi si è visto si è visto, anche perchè il deserto a) scarseggia di alberi/ legna da ardere (a meno che, ovviamente, non ci si trovi in un deserto di Ramadax con gli alberi di asciucar, ma questo è un altro discorso) e B) si dice che scarseggi anche di acqua, e dubito qualcuno abbia tanto voglia di sprecare la propria riserva per bagnarsi collo e quant'altro. Leggi Dune di Herbert, lui sì che ha descritto bene come si vivrebbe in un deserto estremo

    ----ho letto già Dune e quello del mio libro non è un pianeta deserto, è solo una regione deserta

    (COME HAI LETTO SUL LIBRO).

    Se solo tu avessi (e non vuoi averla) la pazienza di aspettare 0,1 secondi prima di giudicare, capiresti che:

    Visto che ci sono "i ribelli", come detto a pag.1,

    probabilmente ci sono anche "dei rifornimenti".

    E' così illogico?

    ----------------------------------------------------------------------------------------

    Basterebbe una frase sibilata tra i denti del tipo: "Dannazione, tutta colpa di quel bastardo..." e già si aprirebbe al lettore un mondo di domande su cosa avverrà successivamente.

    ----Non hai la pazienza di capire tutto ciò che è spiegato e poi vuoi una frase non spiegata?

    Deciditi.

    Ti stai contraddicendo anche troppo.

    ----------------------------------------------------------------------------------------

    Una frase del tiipo "<<E ora?>>, disse abbandonandosi per terra, stremato." darebbe almeno

    un'indicazione che non sta andando tutto rosa e fiori,

    e potrebbe anche lasciarci le penne

    ---Tutto rose e fiori? Ma se corre in un deserto col sole in testa,

    è ovvio che non se la passa bene ed è ovvio che ha un motivo per farlo.

    Se DOPO si capisce che il motivo non c'era, allora il libro diventa illogico, non prima.

    Tu vorresti che io spiegassi tutta la trama nelle prime due pagine, dicendo

    "salve questa è la guerra di xxx in cui il cattivo è xxxx, c'è questo personaggio xxxx che fa xxxxx xxx xxxxx per questo motivo: xxxxx xxx xxxx"

    ----------------------------------------------------------------------------------------

    Io eviterei di dare le cose per scontate, non dico neanche di essere ovvio, ma almeno cercare di immedesimarsi nel lettore quando scrivi dovresti farlo: "è chiaro quello che sto scrivendo? Come potrebbe essere interpretato?" sono domande che mi farei spesso.

    -----I tuoi suggerimenti danno tutto per scontato: come

    "e ora?" <--- piazzato in mezzo al nulla

    o

    "dannazione tutta colpa di quel bastardo"<<---- chi?!?!?! dai per scontato che io lo sappia

    (e menomale che sono l'autore e non sto capendo di chi parli, figuriamoci un lettore)

    ----------------------------------------------------------------------------------------------

    (o se credi, i peli)

    <--- ho scritto una cosa leggermente fuori dal comune, come mi sento diverso e quindi sbagliato, come mi sento fuori dal coro e quindi perso.

    Nel libro avevo scritto, riassumendo:

    "un nano che non ha più un rasoio ha un enorme fastidio con tutto quel caldo e non avendo altri mezzi si bruciacchia i peli". Come ho potuto pensare una cosa così pratica?

    Visto che è "un nano di LV1 o maggiore", DEVE avere un rasoio nell'inventario base

    C'è gente che che nel film "Survivors" sopravvive a un incidente aereo e si mangia i cadaveri per sopravvivere,

    e io dovrei sentirmi in difetto per aver fatto fare a un personaggio fantasy una cosa semplice ed efficace?

    Tu guardando quel film diresti

    "Ma no, ci devono essere delle provviste: esattamente le provviste che penso io"

    ---------------------------------------------------------------------------------------------------------

    Questa non l'ho capita: "sulla copertina di tela nera era impressa e dorata una parola", non va bene. "sulla copertina di tela nera era impressa una parola dorata" ha senso, la tua no.

    ---ok corretta

    ---------------------------------------------------------------------------------------------------------

    Per quanto riguarda la maiuscola/minuscola non è questo il problema: "sulla copertina di tela nera era impressa una parola dorata: Amagite." (in corsivo)

    ----ok problema aggirato

  8. - Trovo le frasi troppo sintetiche, va bene non essere prolisso, ma non bisogna neanche essere troppo schematici. L’eccessiva punteggiatura spezza il ritmo. Non faccio in tempo a immaginarmi la scena che questa cambia. E mi innervosisce.

    Hai ragione in certi punti è eccessivo. sto sistemando

    - terza riga dell’incipit: togli il punto dopo le virgolette e metti una virgola.

    Anche questo è un commento sensato

    - il nano non ha senso sia scalzo.

    Ripeto, c'è gente nel mondo reale che attraversa il Sahara a piedi per venire in Europa, ci sono documentari che ne parlano esaustivamente + maratoneti che vanno scalzi ---di corsa--- sull'asfalto per 40km di fila (gareggiando contro altri atleti)

    l'ho già scritto prima citando anche fonti non da poco (wikipedia per la foto e RAI per i documentari, se proprio devo dirlo)

    - io non lo farei correre per il deserto (e tantomeno non di giorno: se lo fa dovrebbe esserci una motivazione plausibile:

    C la motivazione .quante volte lo devo spiegare? c'è scritto chiaramente nel libro, magari non lo dico subito, ma dopo 30 righi lo dico e come. Non dico di essere paziente, ma almeno aspetta una pagina, no?

    - bruciarsi tutti i peli? D....rasticuccia come depilazione: e poi che è, un nano o un orso mannaro? E anche se fosse una protoscimmia (o meglio, dal momento che è un nano, un barbapapà o Cugino Itt), non potrebbe tosarsi con una lama piuttosto che rischiare di diventare una torcia umana (Ehm, nanica) oltre che ad ustionarsi?

    e chi lo ha detto che aveva così tanti peli?

    chi lo ha detto che avesse un rasoio affilato a disposizione? (non è in una città, è in un deserto, quindi usa mezzi di fortuna)

    chi lo ha detto che ha usato un falò e non un semplice legnetto con la punta infuocata che con i suoi pochi peli non ha creato alcun effetto torcia??

    una volta in campeggio ero senza rasoi e piano piano con un accendino l'ho fatto.

    (Incredibile, vero? Il nano non è a una sfilata di moda, fa quello che fa perchè è utile.)

    un consiglio: non ragionare in maniera dungeonesca in cui o "LO FAI" o "NON LO FAI".

    C'è anche la via di mezzo.

    ps. Sono morto bruciato? No. Non mi sono nemmeno scottato. Basta bagnarsi prima la testa o usare un telo bagnato attorno al collo.... devo spiegarlo davvero?..............

    Questo pezzo non è: "Usa Accendino con Corpo" come nelle avventure grafiche.

    E' "fai un'azione reale con tutti gli accorgimenti del caso": è diverso.

    Esempio:

    Se io dico "si è spruzzata un po' di profumo sul viso"

    non vuol dire "si è fatta un'inalazione di profumo".

    Calato in un contesto reale vuol dire

    "Lo ha fatto come si fa di solito per non respirarlo, cioè spruzzandolo in aria e passandoci attraverso trattenendo il fiato": Va specificato ogni volta?

    Se tu vuoi pensare che sia stupido, allora sarà stupido anche senza fare niente.

    Con rammarico aggiungo:

    se questo è il mio target, allora sono felice di dire che si è semplicemente rasato, tanto non è per niente centrale per il libro questo fatto. non attacchiamoci al capello XD

    Incipit - l’ingresso nella grotta:

    - frasi troppo sintetiche anche qui, fallo almeno pensare un po’ questo nano!

    con quel caldo non hai la forza nemmeno di respirare.

    Se fossi accaldato, stanco, pieno di sabbia, scalzo (!!!), oltre ..... mi verrebbe da pensare 1. do...., 2. chi me l’h.....e, 3. che cosa dev....

    -alla faccia delle self-inserction, menomale che non andavano bene.

    Decidetevi.

    E comunque il nano è ovviamente troppo stanco per porsi tutti questi interrogativi.

    - “Guardò le schegge metalliche giallastre che lo colmavano” ma è un nano o un costrutto? A parte gli scherzi, non è immediatamente chiaro. Con frasi così brevi ad ogni punto (full stop) ti aspetti che l’oggetto sia diverso da quello descritto nella frase precedente.

    Ecco questo è molto sensato e ti ringrazio. <--- l'ho detto davvero?

    Scusa: come fai a pensare che sia IL NANO a essere colmo di schegge giallastre?

    Capiscilo dal contesto, è tanto facile.

    C'è un borsone.

    C'è un nano.

    Chi dei due è ricolmo di schegge metalliche????????

    - “sulla copertina di tela nera era impressa e dorata una parola. Amagite.” Cambia frase: “impressa e dorata” non va bene, dopo “parola” metti due punti.

    eheh, in effetti mi serviva che fosse scritta in maiuscolo per una questione estetica.

    E' una parola centralissima per il libro,

    doveva spiccare, anche rompendo le regole grammaticali.

  9. Prima di tutto era un Balrog, non un Baalor, secondo è un semidio (un Maiar, una divinità inferiore) e terzo, non sopravvive, ma muore e i Valar decidono di rimandarlo indietro perchè non ha finito il suo compito.

    La paccottiglia Fentesy no, ma questo devi averlo letto! Non basta guardare il film.

    Il discorso rimane lo stesso: perchè nel signore degli anelli possono succedere cose incredibili e nel mio non possono succedere cose credibili?? non sei per niente imparziale. Il nano è un tizio tosto? eroico? che cosa ti aspettavi da un fantasy? il "ciclo dei vinti" ?

    La questione fondamentale è la verosimiglianza, perchè il gioco è tutto lì, se fai dire al lettore MCC hai fallito, la magia è finita e il sense of wonder se ne va a peripatetiche... Nel contesto SdA Gandalf poteva anche pisciare in bocca ai Nazgul, il tuo nano non può, altrimenti lo trasformi in Gary Stue.

    MCC??? quale di questi mcc?

    http://www.urbandictionary.com/define.php?term=MCC

    Non ho tempo di fare l'editing del tuo racconto, se ce lo avessi farei un'altro mestiere...

    hai il tempo di scrivere post lunghi e non hai tempo di fare un paio di "copia e incolla"? Strano.

    Sulle subordinate, ti faccio un esempio su una parte del tuo racconto:

    ....io forse la scriverei così:

    Passò qualche minuto prima che la fresca ombra della caverna lo facesse rinvenire. Si destò di soprassalto ed istintivamente le mani corsero al borsone di cuoio: era ancora lì, per fortuna. Ancora agitato, aprì la tasca più grande e controllò che anche i frammenti metallici fossero ancora al loro posto...

    Ok, Per un paio di righi va anche bene, ma immagina di leggere 2 pagine intere con tutte quelle subordinate (e tutti quei "che che che")

    E' solo un esempio, le tue scene durano molto poco ma corri anche il rischio di raccontare senza mostrare. Il lettore la scena la vuole vivere, devi far si che si senta coinvolto. Se il ritmo è sempre lo stesso, dopo un po' la storia si appiattisce.

    C'è gente che mi ha detto esattamente l'opposto.

    Mostro e non racconto. Ho avuto complimenti per la scorrevolezza.

    Sono gusti. (poi anche tu prima mi hai detto esattamente l'opposto.....????.....)

    Poi, non mi va di fare botta e risposta ma qui:
    <--- intanto lo stai facendo---

    "sfocare" (non comune, "sfuocare"). Vanno bene tutti e due. Col caldo "sfuocare" suona ovviamente meglio.

    Chiaramente no, se sfuocare è non comune, allora non lo devi usare, tu non vuoi che il tuo lettore si distragga a pensare cose tipo: "Mmmm... Sfuocare, ma non si dice sfocare?" perchè in quel momento lo perdi, e se te lo perdi due volte di seguito chiude il libro e va a guardarsi la televisione.:sorry:

    E allora se uno vuole sapere se un termine è giusto o meno, fa come faccio io:

    vado mezzo secondo sul sito della Treccani, o su qualsiasi dizionario online e controllo.

    E poi il lettore medio nemmeno si accorge della sfumatura, non sono tutti linguisti.

    Comunque se una parola è poco comune, io la uso perchè si può usare.

    "Poco comune" non vuol dire "inesistente".

    Ma ti pare che uno squalo potrebbe mai fare un pensiero del genere:

    "Capodogli… ne ho perso il conto. Ricomincerò da questo"

    Al massimo penserà:

    "Sangue!" oppure "Un'altra preda!" o al massimo "Ecco un vero pasto..."

    altrimenti sembra il cattivo standard di serie B N°274

    Un personaggio credibile pensa in modo credibile per il suo background socio culturale, sei tu lo scrittore, tu devi delineare i personaggi e farli agire, pensare e parlare in modo coerente a se stessi.

    Se solo avessi letto il racconto: tutto l'inizio della storia si basa proprio sul fatto che lo squalo non ha più alcun gusto a cacciare e, visto che è un dominatore del mare e non un semplice squalo, non si accontenta più del semplice mangiare.

    Ti faccio un esempio di Self Inserction:

    Hai sentito di Zurjan? Pare che ormai sia diventato vecchio: gli altri dominatori del mare non lo temono più. Un tempo avrebbe distrutto un galeone con un solo morso, ma adesso…

    Questi non sono elfi che parlano tra loro, ma lo scrittore che parla del suo mondo.

    E' il primo rigo del primo capitolo: dare un po' di informazioni comprensibili al lettore mi pare doveroso.

    Non basta scrivere:

    “Per quella giovane umana non c’è voluto nemmeno il colpo di grazia”.

    Pensò il nano. Correva a torso nudo in un tratto roccioso dell’Impugnatura appena velato dalla sabbia giallo limone.

    Scostò la maglia bianca di lino che portava legata alla testa e si guardò alle spalle per un attimo.

    Deserto.

    Fu accecato dal sole e tornò a guardare avanti.

    Stringeva a sé un pesante borsone a tracolla grigio, che faceva un rumore di sonagli metallici ad ogni passo.

    .....

    Questo è Gary stue che corre nel deserto (lascia stare la quello che penso della scena) e di lui sappiamo solo che è un nano "ti spiezzo in due", spiegami perché dovrebbe interessarci quello che sta facendo... Per non parlare del fatto che quella per cui: "non c'è voluto nemmeno il colpo di grazia" sembra rispuntare fuori 20 righe dopo,

    Ancora questo lessico da troll.

    lo sai tu che vuol dire gary stue.

    Comunque, sì, è forzuto, è robusto. E allora?

    E poi DOVE rispunta fuori 20 righe dopo???

    ma allora che me lo dici a fare? per far sembrare il nano più cazzuto? Ma così sembra solo un minus abens! :mad:

    Scommetto che tu te ne andresti in giacca e cravatta di cachemire nel deserto...

  10. Ma... se gandalf si butta in un burrone e sopravvive contro a un baalor... perchè il mio nano non può fare una corsa nel deserto...(???)

    se invece scrivi per te stesso, il discorso cambia...

    (Contestualizza, cita, per favore. Se io mi fossi già reso conto dei miei errori, lì avrei già trovati e corretti, e il problema è proprio questo. Se io analizzassi un tuo racconto farei citazioni su citazioni)

    Usa le subordinate!

    (le subordinate vanno bene per parti lente ed epiche o introspettive, ma spengono il ritmo del racconto, lo dicono tutti non solo io)

    Self inserction: significa che...

    (ho cercato self inserction so che vuol dire. ---Citami---- un paio di esempi, se no non capisco)

    1. Uno scrittore deve conoscere bene la sua lingua...Usi ... la parola "sfuocato". A parte l'infelice scelta aggettivale, il termine corretto per fuori-fuoco è sfocato.

    http://www.treccani.it/vocabolario/tag/sfuocare/

    "sfocare" (non comune, "sfuocare"). Vanno bene tutti e due. Col caldo "sfuocare" suona ovviamente meglio.

    2. Personaggi diversi parlano e pensano in modo diverso: Non è possibile che uno squalo vecchissimo pensi esattamente come un nano, o un elfo o quello che vuoi tu.

    (Fai un ESempio di un personaggio che parla in modo poco credibile -e dimmi tu come dovrebbe parlare uno squalo: non c'è alcun modo di saperlo-)

    (Per inciso, gli squali non sgranocchiano le ossa)<--- grazie, correggo. ci ho messo della carne attorno

    -Paccottiglia fentesy per fortuna non ne ho mai letta (tranne le prime pagine di eragon e nihaldallaterradelvento)

  11. Se sei un criticone e quindi sei il benvenuto davvero.

    ...va bene la prosa asciutta ma qui si esagera. Sembra di leggere Baricco (che non mi piace), ma in più qui il ritmo è completamente slegato dalle scene.

    -Fammi un esempio: non mi sto raccapezzando su questa cosa , siiiiiii specifico se puoi.

    L'infodump è mascherato ma è lì sulla soglia

    -E se no come faccio? Lo hai detto tu che è lento)

    per non parlare della self-inserction.

    -anche qui mi fai un esempio?

    _______________

    questione secondaria:

    Il Nano è retard... Ma ti pare che con il solleone uno si possa rasare, denudare

    -Corretto: stamattina mi sono reso conto che è un errore proprio di typing. Mi ero scordato di scivere che:

    "La notte prima, il caldo infernale lo aveva costretto a bruciarsi tutti i peli dal collo in giù, a rasarsi barba e chioma e a lasciare gli stivali alla grotta dei ribelli."

    -e andare in giro scalzo? <---(moltissimi tra gli immigrati che vengono dal Sahara a piedi lo fanno scalzi. Magari sbagliano nel farlo, ma se lo fanno è fattibile. Ci sono anche campioni olimpici di maratona che correvano scalzi sull'asfalto).

    http://www.linkiesta.it/sites/default/files/imagecache/immagine_620_fixed/uploads/articolo/immagine-singola/3309079.jpg

    Vuole morire abbrustolito! <--(probabilmente sì, ha semplicemente preso una decisione azzardata dovuta al caldo eccessivo, è una decisione molto umana -nanica-. E poi è un fantasy, perchè mai un nano non dovrebbe resistere in queste condizioni? I nani sono ossi duri, così come gli elfi sono agili)

    Trova una grotta e cosa fa? comincia a leggere

    -Hai ragione dovrei sottolineare l'importanza vitale del libro che sta leggendo

    Edit: c'era già scritto... hai letto dove dice che da quel libro dipende tutta la loro causa?

  12. Ciao a tutti, vi segnalo l'anteprima Free dei primi 8capitoli di questo libro. (che potrebbe anche essere un raccontone autoconclusivo, volendo):

    -cut-

    Spoiler:  
    PROLOGO

    Anno 3388, sull’Impugnatura dell’Arco di Aurion

    Calore su calore.

    Raffiche roventi distorcevano e sfuocavano l’orizzonte.

    “Per quella giovane umana non c’è voluto nemmeno il colpo di grazia”.

    Pensò il nano. Correva a torso nudo in un tratto roccioso dell’Impugnatura appena velato dalla sabbia giallo limone.

    Scostò la maglia bianca di lino che portava legata alla testa e si guardò alle spalle per un attimo.

    Deserto.

    Fu accecato dal sole e tornò a guardare avanti.

    Stringeva a sé un pesante borsone a tracolla grigio, che faceva un rumore di sonagli metallici ad ogni passo.

    Una piccola balestra d’acciaio gli pendeva dal fianco, attaccata alla cintura di cuoio.

    La notte prima, il caldo infernale lo aveva costretto a bruciarsi tutti i peli dal collo in giù, a rasarsi barba e chioma e a lasciare gli stivali alla grotta dei ribelli.

    Le sue orme nella polvere tracciavano un lunghissimo percorso nella distesa deserta: con tutte quelle tracce non poteva pensare di essere

    fuori pericolo.

    Rallentò un attimo, mise una mano nella tasca destra e ne tirò fuori una piccola bussola d’avorio.

    Continuò a correre, verso nord-est.

    Dopo mezzo orizzonte vide un puntino nero, in lontananza,

    isolato dal mondo conosciuto, eppure al suo centro.

    “Eccola, finalmente, la grotta”.

    ***

    Varcò l’entrata rocciosa ansimando, ingiallito dalla testa ai piedi.

    Si tolse il borsone di dosso sbuffando, prese la sua borraccia e si versò addosso un po’ d’acqua. Oltraggiosamente calda.

    S’accasciò su un fianco all’ombra.

    ***

    Uno spiffero fresco dal sottosuolo gli diede la forza per rinvenire.

    Si mise seduto, si girò a favore di luce e slacciò la tasca più grande del borsone.

    Guardò le schegge metalliche giallastre che lo colmavano per rincuorarsi del fatto di poterle vedere ancora tutte lì.

    Aprì una tasca laterale e ne estrasse una massiccia lente d’ingrandimento quadrata e un libretto impolverato;

    sulla copertina di tela nera era impressa e dorata una parola.

    Amagite.

    “Strano, questa grotta me la ricordavo un po’ diversa. Sarà il caldo”.

    Pensò, mettendo la lente su una pagina a caso.

    Cercò il giusto orientamento per leggere i piccoli caratteri e rischiò di concentrare troppa luce sulla carta. Cambiò subito angolazione e pensò:

    “Bruciacchiare una di queste pagine sarebbe come dare alle fiamme la Causa”.

    “…un fulmine cadrà sulla vostra incudine: l’amagite diverrà così ardente e sarà plasmabile per poco tempo. Fate in fretta. Nello stampo di metallo potrete dare una prima forma al vostro manufatto usando gli acidi triferàli, seguendo le proporzioni descritte nel capitolo 4. Ripetete il processo…

    - Prese dalla sua borraccia un ultimo sorso d’acqua e per curiosità sbirciò l’ultima pagina del manoscritto –

    …quindi, quanto più sarà spesso il vostro manufatto d’amagite, tanto più sarà impenetrabile agli incantesimi.

    Di certo avere uno scudo o una spada con aloni giallo limone non vi darà un’aria da condottieri, ma potete starne certi: i maghi smetteranno di usare tutti quei loro termini astrusi e vi porteranno rispetto”.

    “Che strano, – pensò grattandosi un baffo – questi ultimi appunti così informali non possono essere stati scritti da un senza mente”.

    Per un attimo gli parve di vedere una sagoma impolverata, là fuori, da qualche parte.

    Spalancò gli occhi e mise mano alla sua balestra:

    “Umana, non puoi essere ancora viva”.

    IL SUONO

    Anno 3388, al largo delle coste di Áttoil

    Una mattina un elfo marino disse:

    «Hai sentito di Zurjan? Pare che ormai sia diventato vecchio: gli altri dominatori del mare non lo temono più. Un tempo avrebbe distrutto un galeone con un solo morso, ma adesso…».

    Gli rispose un altro con una risatina:

    «Lo faranno a brandelli, ma non credo che assisteremo allo spettacolo. In questo mare sono secoli che non si vede».

    File di denti affilati e sanissimi incombevano alle loro spalle.

    Negli abissi del mondo di Erön viveva Zurjan, il più grande e antico di tutti gli squali. Le sue cicatrici raccontavano millenni di fierezza.

    Dopo aver assaporato i primi elfi della giornata, il predatore si nascose in una selva filante di sargassi.

    Rimase in attesa.

    ***

    Il muso di un cetaceo grosso la metà di lui spuntò alla sua destra.

    “Capodogli… ne ho perso il conto. Ricomincerò da questo”.

    Pensò la bestia pregustandolo.

    La sua preda lo vide.

    Lo squalo scosse la sua mole colossale e scattò in un morso fulmineo.

    Spinse contro il fondale la carcassa della creatura arresa, in frenesia, e tutta quella carne finì presto.

    Un’ultima costola croccante rimase incastrata nel letto del mare e il dominatore la strattonò, inarcandosi tutto.

    Pezzi di roccia saltarono via, seguiti da sbuffi vorticanti di sabbia e sangue.

    Zurjan sentì un debolissimo tintinnio spandersi dalla spaccatura che si era appena formata.

    Si avvicinò e si mise in ascolto.

    L’eco lontano di suoni indefiniti.

    Usò tutti i suoi sensi e capì che in quel punto il fondale era un sottile strato di roccia e che avrebbe potuto nascondere una grotta.

    Per la prima volta nell’ultimo millennio, il predatore si dimenticò di finire la sua battuta di caccia.

    Si allontanò dalla spaccatura volteggiando di qualche metro e guizzò contro di essa, colpendola col muso.

    Il tetto di roccia crollò e si aprì un varco.

    Era effettivamente una grotta ampia e molto profonda.

    Zurjan entrò seguendo il cadere dei detriti e l’eco risultò subito più nitida e riconoscibile.

    L’aveva già sentita negli abissi più inaccessibili e non vi aveva dato peso.

    Quel giorno, invece, si sentì respinto e attratto da essa.

    Lo squalo si fermò a pensare: nella sua lunga vita aveva esplorato tutti gli oceani, ma non era mai andato al di sotto di essi.

    Si voltò a guardare in alto: qualche alone biancastro sfuocato.

    “Altri capodogli”. Pensò annoiato.

    Era tanto forte che ormai non gli davano più alcuna soddisfazione.

    Proseguì, senza fretta, verso il basso.

    Trovò un antro corallino abitato da gamberi, poi altre grandi cavità simili, più in profondità.

    ***

    Sorgenti sulfuree ribollenti spargevano una polvere che ammantava le rocce; attaccate ad esse c’erano milioni di piccole creature luminescenti.

    Un ticchettio grattò le rocce e si sovrappose a tratti al bel suono degli abissi.

    Zurjan si fermò e la sua esperienza gli suggerì:

    “Deve essere un crostaceo grande meno della metà di me.

    Si sta avvicinando troppo in fretta. Ma forse sta solo scappando da un pericolo. Se si avvicina ancora, lo attacco prima io”.

    Il ticchettio si fermò di colpo.

    Una serie di schiocchi modulati nel linguaggio degli abissi provenne dal basso:

    «Che cosa speri di trovare nelle mie grotte, squalo?».

    Senza capire perché, Zurjan perse lucidità. Fiutò l’acqua e rispose con versi rochi e profondi:

    «Devi essere colui che chiamano Tolat, l’Arconte Gran Chela, padrone delle sorgenti del mare a oriente del grande Arco. Ho di meglio da fare che attaccarti e per giunta sono sazio. Scostati».

    Come Zurjan, Tolat il granchio era un dominatore: una delle grosse creature marine nate dalle viscere dell’oceano in un tempo senza nome.

    La sua stazza, le sue chele taglienti e la sua spessa corazza erano un chiaro monito, ma aveva un lato nascosto che nessuno conosceva:

    esso poteva leggere i pensieri delle creature nelle immediate vicinanze e sopire i loro più feroci istinti.

    L’Arconte era vicino al Re dei mari e stava già usando entrambi i suoi poteri, rimanendo immobile per non sprecare le forze.

    “Vediamo se il pesce abbocca”.

    Pensò e, avido d’informazioni, prese il coraggio di schioccargli:

    «Hai sentito di quell’elfo che ha perso tutte le sue… ricchezze?».

    Sentendo quell’ultima parola, Zurjan pensò istintivamente a una delle sue tane dove teneva nascosti alcuni manufatti da guerra intrisi di magia. Tolat spiò quell’immagine mentale e ne fece tesoro.

    Ovviamente nessuno dei due bestioni poteva brandire a dovere una spada o indossare una corazza, ma una cosa era certa: se tutte le razze di mare e di terra bramavano tanto quelli oggetti luccicanti, loro dovevano averli.

    Era una brutale questione di autorità tra creature d’intelligenza superiore.

    Tolat prese a spremere al massimo il suo potere per placare il bestione e tremò per la fatica. Lo squalo si sentì ancor più intontito.

    Lasciò l’Arconte Gran Chela e tornò a seguire quella melodia accennata, cercando varchi o creandone di nuovi, rompendo scogli e coralli.

    ***

    Passò giorni e giorni in viaggio tra le grotte. Superò sorgenti sempre più calde, al limite del sopportabile.

    Il suono gli entrò nelle ossa crescendo in nitidezza, dandogli la forza per resistere a quella bolgia rovente.

    Lo vide.

    Era un insieme vibrante di punti e linee, di finissime curve elegantemente frastagliate e brillanti di tutti i colori, che sparivano nel momento in cui le si osservava direttamente.

    Lo squalo si soffermò a spiare con la coda dell’occhio le forme create dalle linee.

    Fu distratto da una piccola creatura di passaggio, una medusa filante di luce propria. La perse subito di vista.

    “Che strano, era qui sotto ai miei occhi”. Pensò.

    Continuò in caduta libera per molto tempo, finché non trovò più alcuna forma di vita.

    ***

    Gradualmente l’abisso divenne un lento e continuo turbinio cromatico di forme gentili.

    Si evidenziò il più bello dei suoni e si modulò nella più bella musica, e le sue strofe e le sue immagini procedevano assieme alla profondità.

    A quel punto Zurjan prese a nuotare di buona lena per andare a scoprirne il proseguo.

    Rumori insoliti apparvero con chiarezza crescente.

    Lo squalo aveva origliato qualcosa di simile nelle rare occasioni in cui era andato sotto costa.

    C’erano rumori di cannoni, di portoni che si aprono, di carri in viaggio, di frecce che saettano e di spade che s’incrociano.

    C’erano voci, canti e applausi.

    Fu avvolto dal morbido suono colorato e fu liberato da tutta la stanchezza, tanto che gli sembrò di poter iniziare un nuovo viaggio in quello stesso istante.

    Sentì il mondo delle terre emerse vicino, vicinissimo e fu preso dalla voglia di avvicinarvisi con tutto se stesso.

    Per un attimo s’immaginò adagiato sulla terraferma a parlare con uomini a cavallo e non se ne stupì affatto.

    Una linea arancione, una delle tante che ormai gli saettavano attorno, disegnò davanti ai suoi occhi un giovane umano cinto di foglie d’edera e poi sfumò nell’indefinito.

    Al punto più lontano dal cielo

    il peso degli oceani proviene da ogni lato.

    Torneremo alla meta, al Vortice sereno,

    il suono luminoso, avvolgente, profumato.

    Vita, madre dei mari di ogni costa,

    nuoteremo nella tua forza,

    nuoterai nella nostra.

    “Vortice sereno”, strofa I

    Zurjan pensò al canto del Vortice sereno e si rese conto che descriveva perfettamente la situazione in cui era. Solitamente gli elfi marini lo intonavano durante i rituali legati alle nascite o alle vittorie in battaglia. Si sentì cambiato, in qualche modo migliorato.

    La sua mente selvaggia non poteva ancora concepire a pieno il potere che aveva assorbito.

    Prese una direzione a caso e iniziò a risalire, mentre quei colori dipingevano un nuovo destino in ogni fibra del suo corpo.

    ***

    Passò un mese e gli elfi marini della colonia corallina di Salavyth ebbero una terribile sorpresa, e anche Zurjan.

    Attraversata da un fittissimo banco di pesci in fuga, Najinka, una giovane elfa dai capelli porpora, vide l’enorme dominatore quando era ormai troppo tardi per fuggire.

    «Benvenuto, re dei mari. Una flotta di umani è appena passata qui vicino. Hanno reti tanto grandi da poterti impensierire».

    Disse lei, contraendo le gambe al massimo per non tremare.

    Aveva solo bisogno di qualche istante per raccogliere le forze e lanciare un incantesimo accecante, per poi scappare.

    Il vasto predatore fiutò l’inganno di Najinka, spalancò le fauci e la fece sparire, poi toccò agli altri elfi.

    Non fu la solita battuta di caccia.

    Zurjan si contorse per il dolore, come se qualcuno lo avesse appena dilaniato. Volteggiò rapidissimo per guardarsi attorno, cercando un avversario alla sua portata, ma vide solo un elfo nascosto tra i coralli. Proprio in quel momento lo squalo avvertì un terrore atavico, come se una creatura mastodontica gli si fosse appena parata davanti. Si fiutò attorno e pensò:

    “Nessun dominatore nei paraggi”.

    Guardò nuovamente l’elfo. Più lo puntava, più si sentiva a sua volta minacciato.

    “Minacciato così?! Da quell’elfetto?!”.

    La sua frustrazione esplose in un ruggito:

    «Che incantesimo è mai questo? Rispondi!».

    Vide l’elfo scappare ed ebbe subito la sensazione di avere due braccia e due gambe e di muoverle ritmicamente.

    “Ma che cosa…?”.

    Per un attimo si sentì incapace. La paura di non riuscire più a cacciare lo fece raggelare. Attese immobile di riprendersi dalla confusione e dal dolore e reagì all’imprevisto:

    “L’Arconte Gran Chela è l’unico dominatore del mare con cui ho mai parlato senza poi attaccare, quindi potrei considerarlo un amico. Forse potrà darmi qualche consiglio. I miei smeraldi come compenso basteranno”.

    L’ARCO DI AURION

    Due erano i regni a prosperare sul grande continente chiamato Arco di Aurion, separati dallo sconfinato deserto dell’Impugnatura. Entrambi i popoli dell’Arco pensavano di vivere sull’unica terra esistente. Sul versante settentrionale rigoglioso di balfourianae dai tronchi ritorti, si trovava la terra di re Atroch Áttoil, abitata dagli umani: sia il regno, sia la sua capitale affacciata sulla costa nord-est si chiamavano Áttoil e secondo un ironico proverbio di quelle parti, un giorno anche l’aria e l’acqua avrebbero portato quel nome.

    Nella zona meridionale viveva il Re nano Ruuv Ruur e la sua città-miniera nell’entroterra dominava la catena montuosa di Ghwnohm, lucente di neve tutto l’anno. Ugualmente modesto, anch’egli aveva imposto il suo nome al suo regno e alla sua capitale. I due popoli navigarono sempre sottocosta, per timore dei mostruosi dominatori marini, così un giorno si scoprirono a vicenda.

    Il tempo di un tramonto, e fu guerra.

    LA GOCCIAVERDE

    «Ehi, tu, non sei di Áttoil, vero? Aspirante mercenario, giusto? Alle prime armi, a quanto vedo dal tuo sguardo. Bene, vai sotto al portico delle tre lance, lì reclutano i guerrieri. Fatti avanti adesso, che è presto e non c’è nessuno. Forza e coraggio».

    ***

    Il reclutatore se ne stava seduto su una botte sotto al portico, avvolto in un mantello nocciola senza nascondere la sua avversione al fresco.

    Un giovane in maniche corte gli si avvicinò e disse:

    «Eccomi, mi chiamo Fadek».

    Il reclutatore non lo guardò nemmeno in faccia, intento com’era a ripararsi il volto dalla prima brezza della giornata:

    «Solo Fadek?».

    «Noi dell’Ovest non abbiamo il cognome».

    «Sembri in forma, basta e avanza. Ti registro come Fadek sedicesimo, ricordalo quando faranno gli appelli al porto, alla banchina sud. Riceverai istruzioni sul posto e verrai imbarcato. Benvenuto ad Áttoil. La battaglia è tra tre giorni, ma ovviamente dovrai essere disponibile anche prima, se necessario. Firma qui».

    Il reclutatore si degnò di guardarlo in faccia e gli diede una tavoletta d’argilla grigia incisa con nome e sigillo militare. Il giovane mercenario gli voltò le spalle lasciandolo nel suo bozzolo.

    Fadek era alto, aveva tratti spigolosi, era rosso di barba e capelli e portava una daga appena presentabile al fianco.

    Si guardò attorno: i nuraghe della città, così come i portici che li attraversavano, erano bianchi; bianchissimi ai piani alti.

    Dai massicci balconi in pietra scendevano fronde rigogliose e ben tenute, alcune cariche di frutti.

    Fadek passò sotto al bassorilievo delle tre lance scolpito sulla volta del portico e mise piede sul selciato della via delle tre lance, chiedendosi se tutti quei frutti fossero lì a sua disposizione o meno.

    Si avvicinò a un grappolo di mele gialle. Si guardò a sinistra e a destra, poi i suoi occhi verdi scuri sbirciarono in alto.

    Da un balcone al secondo piano della casa di fronte a lui, una signora molto anziana gli stava facendo cenno di sì con la testa già da prima che i loro sguardi si fossero incrociati.

    Fadek prese il necessario per la mattinata e proseguì per la via, ringraziando la signora con un sorriso.

    Due mercanti, solerti e solari, gli si avvicinarono, proponendogli improbabili affari d’oro, ma non gli diedero troppo fastidio, tant’era di buon umore.

    Li congedò con pacatezza:

    «Sono qui per guadagnare, non per spendere».

    Decise di aspettare un orario decente per presentarsi da suo cugino e così si mise a sedere su una scalinata di pietra lì vicino.

    Di lì a poco la città si risvegliò e i gradini su cui egli era seduto furono salutati dal sole. Davanti a lui si era formato un gruppetto di bambini, una decina, sui sei anni al massimo. Avevano fatto incetta di scope e spazzavano per gioco in mezzo alla strada, tutti nello stesso punto. Prima di mezzogiorno i maniscalchi presero ad affilare le armi: il quartiere dell’Angoletto, a sud-ovest, puzzava talmente di metallo che le osterie della zona avevano chiuso i battenti e uno studio di architetti aveva sporto denuncia alle guardie, senza successo. Gli attoiliani di tutto il regno avevano solo combattuto sparute guerre civili nel corso della loro storia, così come i nani.

    «Quei nani se ne torneranno a casa a nuoto!».

    Urlò qualcuno. La propaganda dell’ottimismo era iniziata da poche settimane ed aveva già fatto centro: prospettive di facili vittorie avevano attratto un buon numero di mercenari provenienti dai quattro angoli del regno, così la città era piena di facce nuove e la cosa aveva creato qualche disordine.

    Guardando i bambini, la sua mente tornò per un attimo al Sigis, la sua terra natia, sulla costa ovest del regno attoiliano: il suo addestramento nelle arti magiche dei druidi, iniziato in tenera età, era quasi completo. Egli aveva imparato a comandare la vegetazione alla perfezione e a convincere gli animali di terra e gli uccelli ad aiutarlo. La sua gente era stata colta da una carestia; il giovane si era messo in testa di fare soldi e comprare alcuni rari ingredienti per creare una pozione: essa avrebbe reso i suoi campi abbondanti come un tempo. Per questo motivo aveva lasciato a metà il suo cammino d’iniziazione e si era proposto come mercenario ad Áttoil. Nessuno, eccetto gli altri druidi del Sigis, sapeva delle sue speciali capacità. Suo nonno e mentore, Temdun, gli aveva fatto promettere che prima del suo ventesimo anno avrebbe dovuto mantenerle segrete: tale era l’usanza dei druidi del Sigis.

    Il giovane si alzò e fece due passi. Ripensò a ciò che aveva sentito la sera prima in una locanda fuori città:

    “Quella guardia reale ha detto che due maghi appena apprendisti sono stati ingaggiati per un prezzo spropositato. È davvero molto strano. Un regno così antico non può commettere un errore così grave: il potere può andare fuori controllo nelle mani di gente inesperta”.

    Voleva solo trovare il necessario per la sua gente e per farlo gli sarebbe bastato il guadagno di una battaglia come guerriero semplice.

    Il suo biondo cugino Benjan si era trasferito già da qualche anno nella capitale per condurre una bottega di maniscalco e si era offerto di ospitarlo qualora se ne fosse presentata l’occasione. Arrivò mezzogiorno e il sole fece splendere i selciati della città. Il druido arrivò alla casa di Benjan, riconoscibile dal pinnacolo a forma di cicala. Ad aprire la porticina di legno bianco fu una donna magra, dal naso minuto, fascinosa. La sua carnagione scurissima saltava molto all’occhio accanto alla calce dei muri che rischiarava tutta la casa. Uno spillone d’acciaio le fermava i capelli neri e lanosi. Sorrise e disse con calma:

    «Benvenuto, io sono Dénev Jan Soltar – Fadek pensò di aver sbagliato indirizzo – e tu devi essere il cugino… il cugino…».

    «…Fadek».

    Disse lui tirandosi indietro di mezzo passetto.

    La donna toccò una scultura propiziatoria in bronzo posta su un mobile di legno alla sua sinistra:

    «Accomodati. Benjan è andato un attimo al pozzo».

    Fadek si mise a sedere su una sedia di paglia alla fine della stanza, un po’ sorpreso dall’accaduto. Non aveva mai visto nessuno dalla pelle scura, ne aveva solo sentito parlare. L’eventualità che suo cugino avesse trovato una fidanzata così lontana dai suoi canoni lo incuriosì.

    “Ma forse è solo la padrona di casa”.

    Avrebbe voluto fare molte domande alla donna, ma preferì non mancarle di rispetto. Lei andò in una stanza adiacente ad armeggiare con delle pentole e gli rivolse la parola da lì, in scioltezza:

    «Anche tu vieni dal Sigis? Deve essere un bel posto, forse un po’ troppo freddo per i miei gusti. Non so se Benjan ti ha detto che vengo dal Nord-Ovest».

    Fadek drizzò le orecchie e chiese:

    «Dal Nord-Ovest?! Quindi viene dalle parti di Foera. So che lì crescono alcune piante rare; io starei cercando proprio degli ingredienti…».

    In quel momento Benjan rincasò, stanco ma contento, reggendo un pesante secchio d’acqua sulla spalla destra.

    Si chinò ad appoggiare il secchio si rialzò e disse a Fadek:

    «Ma guardati, sei diventato quasi più alto di me! Hai fatto qualche incontro fortunato lungo il cammino?».

    I due si abbracciarono felici. Erano entrambi molto cambiati in tutto quel tempo, e non solo fisicamente.

    Fadek ripensò a come i cavalli di tutto il regno lo avessero aiutato, ma disse:

    «È stato un viaggio così lungo che è successo un po’ di tutto. Il mio destriero non ce l’ha fatta. Che ti è successo alle spalle? Sono gonfie».

    Benjan si pulì le mani annerite con uno strofinaccio bagnato e rispose:

    «Ehm, sono muscoli. Dalle nostre parti non se ne vedono così, non si mangia abbastanza carne. Per fortuna alla bottega posso alternarmi con altri maniscalchi, altrimenti mi sarei solo consumato i nervi, a furia di battere il ferro. Ma parliamo di te: così anche tu hai deciso di farti soldato. La flotta reale ti paga bene?».

    Si rimisero seduti e Fadek si aggiustò la daga che portava al fianco:

    «Sì, molto bene. Una battaglia sul mare non è esattamente il mio genere, ma vista la paga non ne faccio un dramma».

    Dénev entrò nella conversazione senza timidezza:

    «Avete sentito che cosa dicono sui maghi? Pare che verranno coperti d’oro a fine battaglia, mentre noi guerrieri faremo il solito lavoro sporco per una paga inferiore…».

    Fadek non ebbe il tempo di elaborare l’espressione “noi guerrieri” detta da una donna e rispose:

    «Saranno pagati molto solo i mercenari, tra coloro che hanno doti magiche».

    Dénev lo corresse a sua volta:

    «A me risulta che tutti i maghi che partecipano verranno strapagati, perfino quelli nati ad Áttoil».

    La conversazione continuò a pranzo e oltre. La tavola non fu sparecchiata. Dénev, che aveva ascoltato Fadek per tutto il tempo cercando segni di contraddizione, diede un’ultima occhiata fugace al giovane druido, poi si rivolse a Benjan e disse:

    «Anche per me è sincero, proviamo a dirglielo».

    Benjan chiuse le tende di juta davanti alle piccole finestre quadrate della saletta, avvicinò la sua sedia a quella di Fadek e gli disse:

    «Cugino, parliamo a bassa voce. Qui le cose non vanno come dovrebbero: la settimana scorsa un nostro amico ha vinto ai dadi un cannocchiale molto potente e abbiamo provato a usarlo dal suo terrazzo; siamo riusciti a vedere il Re e la regina seduti sui loro troni. Fin qua tutto bene, ci stavamo anche divertendo. Dopo un po’ ci siamo resi conto che i sovrani erano totalmente immobili. Delle statue! Sono rimasti con lo sguardo fisso per almeno cinque minuti! Poi una delle guardie ha chiuso la finestra. Non credo che ci abbia visti, eravamo davvero troppo lontani. Ora, ti ricordi i racconti di nonno Reirk? Pare che non fossero delle leggende, vediamo se ti ricordi questo pezzo».

    Tutti i reali del Nord, la cui mente era ormai succube, radunarono i giovani maghi del regno e promisero loro una facile battaglia sul mare. I più adulti ed esperti, invece, erano stati mandati a sfidare il fato sull’Impugnatura dell’Arco.

    I giovani dai modesti poteri erano destinati a una disfatta sul mare e i più avanti con gli anni avrebbero dovuto compiere imprese al di sopra delle loro possibilità, nelle insidie del deserto.

    Sottovoce, Fadek disse:

    «Ma allora non è una leggenda: deve essere una profezia. Ho sentito che i maghi più forti di Áttoil stanno andando via terra a sfidare i nani di Ruur. È giusto?».

    Gli altri due annuirono.

    Fadek:«Quindi è probabile che i due eserciti s’incontrino a metà strada… Una guerra in quella fornace. Fa caldo solo a pensarci. Anche una legione di guerrieri scelti è stata inviata da quelle parti».

    Benjan si sforzò di fare mente locale:

    «Secondo la leggenda, le dinastie controllate con l’inganno da un demone sono due, quindi anche il regno di Ruur è in pericolo. Oppure i nani sono i carnefici e noi le vittime. Non capisco se questa sia una guerra contro Áttoil, contro i maghi in generale o solo contro i maghi di Áttoil. L’unico nei racconti di nonno Reirk a poter controllare la mente di tante persone era Keshénk, il demone arido. Forse nonno Temdun saprà qualcosa in più. Ora, il punto è: vuoi venire con noi o vuoi guadagnare i soldi per la pozione?».

    Fadek prese ad immaginare tutte le possibilità:

    «Non lo so, dammi tempo. Voi fate pure, intanto».

    Dénev e Benjan riempirono cinque grossi zaini col necessario per partire. Qualcuno bussò due volte. Benjan scostò le sacche dalla saletta e aprì la porta di casa. Il nuovo arrivato era alto e molto magro, i suoi capelli erano corti, neri e arruffati e i suoi vestiti erano fatti di semplice tela. Disse un “salve” ai presenti ed entrò subito.

    Benjan: «Cugino, ti presento Lagdel, è l’uomo che ci tirerà fuori da questa polveriera».

    Fadek ebbe l’impressione di essere tirato in mezzo senza il suo permesso, ma la prese come una dimostrazione di attaccamento nei suoi confronti e fece un mezzo sorriso a labbra strette.

    Sotto gli occhi di tutti Lagdel prese una delle sedie, si mise a un angolo della stanza, lontano dalle finestre e disse sottovoce:

    «Stasera ce ne andiamo, altrimenti verranno a cercarci quando faranno gli appelli. Nemmeno io ho voglia di finire in mezzo all’armata dei bevilitutti, non so se ti hanno raccontato la storia del cannocchiale…».

    Fadek alzò un sopracciglio.

    Lagdel era un pescatore molto bravo, ma non era propriamente un letterato e prese a gesticolare per spiegarsi:

    «No, praticamente il bevilotutto è quell’affare che sta nelle osterie, quello che si usa per reggere la coppa, ma tanto la coppa si regge da sola… vabbè, è tipo una scultura di vetro addobbata con tanti pendagli inutili. Insomma, una cosa che non serve a niente. Ma torniamo al dunque: ho comprato il bitume come mi avevate chiesto e ho sistemato le scorte a bordo».

    Dénev: «Andiamo a Foera, nelle terre del Nord-Ovest, giusto? – Lagdel fece sì con la testa – I miei genitori ti ringrazieranno quando arriveremo a destinazione. Peccato, avrei voluto vendere dell’altra roba prima di partire, ma forse è meglio così».

    Benjan la guardò negli occhi e provò a sembrare severo:

    «Ne abbiamo già parlato l’altro ieri: più cose vendiamo e più la gente si insospettisce». Ma era chiaro che non riusciva a odiarla, qualunque cosa facesse o dicesse.

    Fadek guardò suo cugino aggrottando le sopracciglia:

    «No, aspettate un attimo. Benjan, noi abbiamo il dovere di salvare i raccolti del Sigis. Non dirmi che, dopo tutto ciò che la tua terra ti ha dato…».

    Benjan strinse forte i pugni e si ripromise di non urlare:

    «E che cosa vuoi fare? Partecipare a una disfatta sul mare? La profezia parla chiaro, chiarissimo. O forse vuoi tirare su una ribellione con quei ragazzetti? Alcuni di loro sanno creare una fiamma ma non sanno nemmeno contare. Molti delle regioni interne non sanno nemmeno nuotare».

    Si calmò e continuò, avvicinandosi di più:

    «E se un comandante ti chiedesse di uccidere un mago? A quanto pare, prima o poi succederà, sempre che non verrai ucciso tu. Dall’esercito non si esce chiedendo per favore.

    – Si mise una mano sul petto, era un gesto che faceva raramente –

    Vieni con noi nel Nord-Ovest, a Foera, fallo per me. Lì saremo al sicuro, e poi io e Dénev ci sposiamo lì. Non vorrai mica mancare».

    Fadek si alzò in piedi stizzito:

    «E va bene, ho cavalcato giorni e giorni per niente, ma forse hai ragione, saremo più al sicuro lì e magari troverò qualche erba rara per la pozione».

    Dopo un attimo di tensione guardò i due futuri sposi e corresse il tiro:

    «E ovviamente vi auguro ogni bene, per il matrimonio, ma più in là vi farò gli auguri come si deve. Ora non è un momento propizio».

    All’imbrunire tutti e quattro uscirono per le stradine riparate della città, tenendosi lontani dalle lanterne delle grandi vie principali. Prima uscì Lagdel da solo, poi fu il turno di Fadek e Dénev. Infine Benjan chiuse la porta di casa. Una voce familiare lo chiamò da un vicolo oscuro, forse uno dei suoi compagni di lavoro:

    «Ehi, bello, dove te ne vai a quest’ora con quello zaino?».

    Benjan si era già preparato una risposta nel caso fosse successo qualcosa di simile e disse senza troppa tensione:

    «…».

    Se l’era dimenticato. Si guardò intorno. Non c’era nessuno. Si rivolse al tizio e disse:

    «Wino sei tu? Hai mica una ventina di monete? Te le ridò domani, garantito».

    Dal vicolo uscì un uomo più alto di Benjan e un po’ meno muscoloso, con una lunga barba castana. Era effettivamente Wino. Egli si avvicinò e disse:

    «Amico, non è che non mi fido, però io domani vado in battaglia. Se poi ci lascio la pelle a chi li ridai i soldi?».

    Benjan sorrise: «Oh, beh, in quel caso sarebbe l’ultimo dei…».

    Con un calcio di punta in mezzo alle gambe fece accasciare Wino. Gli diede un pugno sul collo con tutta la forza che poté, aprì la porta di casa in fretta e furia ed entrò portandolo nel buio. L’energumeno non gli avrebbe dato il tempo di legarlo e Benjan lo sapeva benissimo, così chiuse la porta e prese a strozzarlo con le gambe intrappolandogli la testa. Passarono degli istanti in cui prendere aria fu l’unico pensiero di entrambi. Dopo molta fatica Benjan lo sentì arrendersi e svenire. Forse Wino era fuori forma o forse il suo avversario era terribilmente più motivato di lui. Lasciò la presa e corse in cantina. Tastando un mobiletto trovò dei lunghi chiodi. Risalì di corsa in totale silenzio e torse i chiodi a mo’di manette attorno ai polsi e alle caviglie del malcapitato. Gli mise un pompelmo in bocca, scostò l’uscio di casa e cercò di capire se ci fosse qualcuno nei paraggi. Nessuno. Prese lo zaino e s’incamminò sudando freddo, cercando di non dare a vedere la sua tensione.

    Raggiunse gli altri al molo dov’era il capannone di Lagdel e lo trovò socchiuso. Aprì e trovò gli altri tre lì dentro ad aspettarlo. Accanto a loro un solido barcone da pesca occupava quasi tutto l’antro. Lesse Gocciaverde sulla fiancata sinistra e guardando oltre vide una discesa di pietra che dava direttamente sul mare. Lagdel provò a chiudere del tutto il capannone, ma si udì un forte cigolio. Così sussurrò agli altri di sollevare le porte mentre le si spingeva. Diede loro dei secchi di bitume e dei grossi pennelli.

    ***

    L’intera barca, vela compresa, fu resa color notte in un’ora abbondante. Anche il nome fu velato da un ultimo tratto. Lagdel tossì per la puzza di bitume e sussurrò:

    «Fortuna che c’è vento secco, apriamo uno spiraglio, che fa corrente. Un consiglio per l’attesa: meno la guardate e prima si asciuga. Poi useremo il bitume rimasto per far scivolare il barcone sulla discesina».

    Una guardia stava attraversando la zona del capannone con una lanterna in mano.

    Le tre piccole lune di Erön si levarono alte e piene a ovest. Molti innamorati le stavano ammirando dai balconi della città. Alle loro spalle, già al largo, c’erano quattro cuori che in quel momento battevano zitti zitti.

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