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KlunK

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Da un foglio di carta ingiallito...

In alto, segnata la data dell'anno 1001 del calendario dell'impero di Thiatis

recita così:

Una volta mi hai detto

che i deboli sognano,

mentre i forti agiscono...

Beh... in realtà, ciò è vero solo per metà.

Perché i migliori,

sono quelli che inseguono i propri sogni,

senza mai tirarsi indietro.

E ricordati, che non esistono sogni impossibili,

tutto dipende, da quanto di te stessa ci vuoi mettere

da quanto di te stessa vuoi spendere

da quanto di te stessa vuoi rischiare...

E io, cara Rebecca,

metterò,

spenderò,

rischierò,

TUTTO me stesso,

per inseguire i miei sogni...

Perché se la mia vita dovesse finire domani,

per una battaglia,

per una malattia,

o per chissà quale altra causa,

potrò dire di aver vissuto come un fulmine:

poco,

ma prima che mi estinguessi,

davanti a me,

cielo e terra hanno tremato.

il tuo "angelo" - Michael

In basso in un angolo, un appunto scritto in fretta

Ce l'ho fatta Miki!!

Ora vivo come un fulmine!

Grazie!

Rebecca

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Scusa Klunk ... ma c'è qualche collegamento con una storia (magari già postata da te) o un racconto di un altro autore, oppure è una one-shot? :-DCmq .. è uno spunto interessante!!

:cool: Se non l'hai già fatto potresti scriverci un racconto (magari in forma epistolare) :cool:

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Ok allora diciamo che prego i miei compari di non leggere quanto segue

Spoiler:  
L'ambientazione è ovviamente Mystara

Segue il background di Rebecca

N.B. Avendo origini "italiane" Rebecca chiama Michael Michele, e allo stesso modo Michael avendo origini "tedesche" chiamerà Rebecca Rebekka

Per gli babbani di Mystara, con origini intendo che nell'ambietazione di Mystara il principato di Glantri dove è nata Rebecca(di cui non ricordo il nome) ha somilianze all'italia, e Heldann ha somiglianze con la Germania

Mi chiamo Rebecca. Questa è la mia storia. La storia di come ha avuto inizio la mia dannazione. La storia di come ha avuto inizio la mia ascesa.

Tutto cominciò una notte di 24 anni fa, quando una donna di nome Graziella mi diede alla luce dopo ore d’indicibili sofferenze in una casa di un’anonima città.

Anche se nella povertà, passai un’infanzia tutto sommato piacevole insieme a mio fratello Stefano e a mia sorella Sofia, entrambi più giovani di me.

Un’infanzia felice che passò velocemente e in men che non si dica ero già un’adolescente; cominciai a non giocare più con i miei fratelli e a frequentare quelle che i miei genitori chiamavano “brutte compagnie” e ben presto mi ritrovai per le strade del mercato cittadino a sottrarre borse a sprovveduti e mercanzie dalle bancarelle. Niente di gran valore in ogni caso, anche se grazie al mio talento quasi naturale mi feci una piccola fama tra i miei compagni di furti, ma attirandomi anche le ire di chi non sopportava che una ragazza fosse meglio di loro.

Un giorno - c’era la neve ricordo - che sembrava uguale a moltissimi altri, mi ritrovai a seguire un uomo incappucciato che recava una grossa borsa ricolma di monete alla cintura; avvicinandomi di soppiatto, cominciai a seguirlo finché non ritenni fosse giunto il momento di agire, allungai quindi la mano verso la cintola. Feci appena in tempo a toccare la sua borsa che l’uomo mi afferrò violentemente per il polso per poi girarsi lentamente; feci appello a tutte le mie forze per liberarmi da quella stretta ma senza successo. Che fare? Non potevo di certo attirare l’attenzione della folla o l’uomo mi avrebbe potuto denunciare facilmente. Fu lui però ad agire prima che potessi pensare altro riprendendo a camminare e trascinandomi con sé sempre tenendomi per il polso; presto svoltò in un vicolo cieco dove mi buttò per terra bloccandomi la via di fuga con la sua persona.

A dispetto di ciò che pensavo avesse fatto, mi rivolse la parola con voce calma e sicura, dicendomi che si era stupito del fatto che mi ero avvicinata a lui senza che se ne accorgesse. Dopodiché mi propose due scelte: seguirlo ed entrare nella gilda di cui era un grande esponente, oppure finire catturata dalle guardie. Dato non avevo la minima intenzione di perdere le mani come pena per il mio atto, decisi senza esitazione per la prima ipotesi. Il sorriso che accompagnava la mia risposta, si spense però subito quando mi disse che non sarei neanche potuta tornare per salutare la mia famiglia a cui ero molto legata.

Cominciai dunque a seguirlo anche se il viaggio fu più breve di quanto pensassi; infatti, dopo 5 minuti di cammino arrivammo davanti ad una porta che fu aperta da un uomo basso e ingobbito che ci fece entrare. La casa era costruita in legno, buia, sporca e spoglia. I due cominciarono a parlare in una lingua che non avevo mai sentito poi improvvisamente si mossero facendomi segno di seguirli nella stanza adiacente. A differenza della precedente questa era totalmente di pietra e recava un grosso simbolo colorato sul pavimento al centro della stanza; io e l’uomo incappucciato ci sistemammo al centro e di esso mentre l’omino cominciò ad agitare le mani e blaterare parole incomprensibili. Ci fu un grosso lampo di luce e ci trovammo in un’altra stanza simile.

Ero così arrivata a quella che sarebbe diventata la mia casa, la mia scuola e la mia famiglia per i successivi 6 anni. La gilda si occupava di sottrarre oggetti da case su commissione, oppure recuperare antichi manufatti in caverne, tombe o simili posti. Essa era organizzata in modo da ospitare tutti i suoi membri, ma le regole erano molto restrittive così che non si poteva uscire senza una buona motivazione e un permesso. Gli anni passarono anche in questo caso velocemente, tra addestramenti e missioni insieme ai miei nuovi amici.

Uno in particolare devo ricordare: Michele si chiamava ed era, insieme alla mia famiglia, la persona per me più importante; non passava giorno che non stavamo insieme a chiacchierare di qualche cosa, che poteva essere un argomento filosofico, una sciocchezza o le nostre storie e delusioni in amore. Sempre presente, non mi negava mai il suo aiuto, era il mio punto di riferimento, era il mio angelo. Anche senza vedere la mia famiglia, lui mi trasmetteva tanto affetto, da poter resistere alla tentazione di scappare per tornare a casa. Ricordo ancora il suo sorriso, la sua voce, la sua semplicità nelle azioni e il suo motto che mi ripeteva ogni qual volta gli chiedevo perché facesse tutto questo per me.”Ciò che faccio mi sento di farlo e lo faccio volentieri. Non voglio ringraziamenti, e nemmeno ne ho bisogno, purché tu mi voglia bene”. Le cose però non vanno mai come si desideriamo.

Un giorno di 3 anni fa, Michele non andò ad una delle missioni che doveva fare, dicendo che sua madre era malata e doveva assisterla. Io sapevo però – me lo aveva confidato facendomi promettere di mantenere il segreto- che in realtà doveva incontrarsi con una ragazza di cui era innamorato.

La stessa sera Michele ed io eravamo nella mia stanza e mi stava raccontando del suo incontro del giorno precedente; entrò uno dei maestri della gilda e fece un’osservazione su come il mio amico apparisse molto stanco. Ed avvenne la tragedia. Senza pensarci mi venne spontaneo dire: <<Si sarà dato da fare ieri con quella ragaz…>>. Non riuscii a finire la frase perché mi misi le mani alla bocca per tapparla, ma era troppo tardi. Il maestro s’infuriò col mio amico promettendogli una dura punizione e uscendo annunciando che l’avrebbe presto detto a tutti gli altri maestri. Con le mani sulla faccia, non avevo neanche il coraggio di guardare in faccia Michele. Rimasi immobile mentre lui sì alzò, scrisse qualcosa su un foglio e, lasciando sul mio letto, uscì senza dire una parola. Ci vollero 10 minuti prima che ebbi di coraggio di leggere il foglio. Diceva così:

Io di te non mi fido più…con me hai chiuso.

Sei solo gelosa della mia ragazza. Addio.

Cominciai a piangere a dirotto. Corsi fuori verso la stanza del mio amico che per risposta mi disse di andarmene e di non voler più parlarmi. Ritornai disperata nella stanza e continuai a piangere finché, esausta, mi addormentai. Mi svegliò la mattina seguente una delle mie amiche dicendomi che ero in ritardo per la missione. E’ vero! Me n’ero scordata! Proprio quel giorno sarei dovuta andare con alcuni compagni in cerca di un’antica arma in un tempio abbandonato.

Con la tristezza nel cuore, mi avviai mio malgrado verso la meta. Dopo ore di cammino arrivammo all’ingresso. Il sacerdote che era con noi riconobbe subito il simbolo del sole nero che sovrastava l’entrata affermando che si trattava di un luogo sacro agli adoratori di Nyx, dea protettrice di chi si nasconde nelle ombre. Ci addentrammo nel tempio semicrollato da cui penetravano spiragli di luce; subito ci apparvero dinnanzi un ragno gigantesco seguito da diversi più piccoli. Il combattimento fu abbastanza duro, ma ce la cavammo con qualche ferita, chi più chi meno.

Più avanti ci trovammo dinnanzi ad un piedistallo su cui fluttuava una falce di legno nero; uno dei miei compagni si chinò per leggere le iscrizioni del piedistallo per poi balzare in dietro dicendo di stare lontani perché, anche se potente, era un’arma maledetta.

Non so cosa mi spinse ad afferrare quell’arma, se la bramosia di potere o la disperazione per la mia attuale condizione, in ogni caso corsi verso il piedistallo e afferrai la falce sicura di me stessa.

Subito sentii un fitto dolore dentro di me, la falce emanò una nube nera e ad un tratto mi sentii molto strana, sentendo i miei muscoli muoversi senza che lo volessi. Quando la nube sparì, mi ritrovai in ginocchio e con una sensazione strana per tutto il corpo; guardandomi le braccia, vidi che erano diventate bianchissime quasi come quelle di un cadavere e, quando un ciuffo di capelli mi si parò davanti agli occhi, vidi che avevano preso lo stesso colore della mia pelle.

Alzando lo sguardo, vidi che i miei compagni mi guardavano impauriti; poi cominciarono a mormorare qualcosa e sentii che dicevano qualcosa a proposito di lasciarmi lì e andarsene. La disperazione del mio litigio con Michele, unita allo sconforto dei miei amici che volevano lasciarmi abbandonata a me stessa, mi fece imbestialire. In preda alla rabbia mista alle lacrime cominciai ad attaccare i miei compagni uccidendoli uno ad uno finché, mi abbandonai stanca nel lago di sangue che avevo causato. Quando ne ebbi la forza cercai di alzarmi, ma il mio sguardo fu attratto dalla mia immagine riflessa nel sangue. Il mio viso era diverso, oltre che nel colore, anche nei lineamenti molto più mascolini e solo quando mi guardai bene vidi che ero diventata un uomo. La sorpresa mi fece cader di mano la falce che non avevo ancora lasciato andare dalla prima volta che l’avevo impugnata; appena lo feci sentii di nuovo i miei muscoli muoversi e il mio aspetto cambiò tornando a essere quello di una donna, anche se ben diversa da quella che ricordavo. Oltre al colore, avevo perso anche la mia bellezza.

Guardando quella pozza di sangue e i corpi di quelli che erano i miei amici finalmente capii. Nel mondo ci sono due tipi di persone: quelli che soffrono e quelli che fanno soffrire. Per tutta la mia vita sono stata dalla parte di chi soffre, ed ora finalmente ero passata tra quelli che fanno soffrire.

In quel momento mi sentii così bene, che compresi di essere stata sciocca a non comportarmi fino ad allora in quel modo. Ora avrei fatto soffrire, in questo modo non sarei mai più stata male, niente più amici che ti abbandonano, niente più lacrime, sarei stata io ad abbandonare e a far piangere.

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Spoiler:  
Segue il backgorund di Michael

Mi svegliai di soprassalto. Rebekka! No, di nuovo era stato solo un sogno. Presto mi ricordai di dove mi trovavo. A Heldann, nella mia terra natale. Era iniziato un nuovo giorno e la luce penetrava dalle tende della mia camera in fasci sottili. Sembrava un giorno come tutti gli altri, ma una notizia mi aspettava quella mattina. Non avendo particolari ordini mi presentai da Sir Kassian per ricevere istruzioni. Feci appena in tempo ad entrare che la porta alle mie spalle si spalancò di nuovo per far entrare un uomo incappucciato che con passo celere raggiunse il mio superiore. <<Notizie da uno dei gruppi di investigatori sulle “7 rose”, signore! E’ arrivata questa mattina una missiva di Lady Jacqueline Von Stain e Padre Raphael Dominguez. Sembra che procedendo a sud lungo la costa abbiano già incontrato qualcuno mandato per eliminarli. E non è tutto: sembra che si siano uniti a loro 3 avventurieri per aiutarli nella missione. Dunque, se non ricordo male, si tratta di uno gnomo alchimista delle cinque contee, abbastanza bizzarro e di nome Bon…Bonfor credo; il secondo è un mezz’elfo, un certo Van Predd: un guardiano dei boschi che è rimasto orfano a causa di questa faccenda e che vuole vendicare i genitori. Infine, c’è una ragazza dai capelli rossi, abile nel intrufolarsi ovunque e che sembra sia addirittura scampata alle rose, mentre volevano renderla vittima di uno dei famosi omicidi; se non sbaglio si chiama…Rebekka…sì è quello il suo nome.>>.

Al sentire quel nome feci un sobbalzo. Possibile che si trattasse di lei? Della mia Rebekka?

Mi passo davanti agli occhi tutta la mia vita e i ricordi che avevo con lei.

Sono nato qui a Heldann e mio padre era l’unico erede di una famiglia nobiliare in decadimento, la famiglia Valka. Mi trasferii con la mia famiglia nella Repubblica di Darokin quando avevo 4 anni, sia perché mio padre non sopportava l’opprimente presenza della chiesa di Vanya, sia soprattutto per tentare di avere più fortuna come nobile decaduto; la nostra nuova residenza era in una zona rurale a breve distanza da Selenica e sembra che la fortuna effettivamente gli sorrise, poiché riuscì a recuperare parte del suo prestigio e delle sue ricchezze. Non mi interessavano ricchezze e il titolo nobiliare, di cui comunque avrebbe usufruito maggiormente mio fratello maggiore Alexander.

Fu così che a 14 anni, tra il menefreghismo di mio padre, mio fratello e mia madre, lasciai la mia famiglia con il cuore pieno di tristezza, per cercarmi una vita indipendente dalla mia famiglia.

Arrivato a una città nel circondario di Selenica, ricoprii diversi lavori tutti di natura intellettuale e sempre più prestigiosi, come scriba, traduttore dal Darokiniano (che mi era stato insegnato da un maestro privato da bambino) al Thiatiano (e viceversa), assistente di mercanti e personalità di spicco della città. Questa vita non mi soddisfava appieno, poiché era piuttosto noiosa, così volli tentare di unirmi ad una di quelle gilde che molti definiscono “di ladri”. Per entrare, era ovviamente necessario superare una prova, ma seppur con qualche difficoltà, riuscii a superarla. Mi dissero che avevo grandi potenzialità, e mi proposero di seguire uno speciale addestramento per diventare un membro scelto. Sorpresi anche i miei maestri per la velocità con cui imparavo, mentre io rimasi stupito delle capacità soprannaturali che imparai. Oltre alle comuni abilità da ladro per non farsi sentire, scassinare serrature, individuare trappole ecc… imparai anche come, colpendo gli incantatori (di qualsiasi tipo) in particolari punti, riuscire a sottrar loro il potere magico da qualunque fonte esso provenisse. E fu solo primo passo, pian piano, imparai a “rubare” incantesimi sempre più potenti, capacità magiche, resistenze agli elementi dei miei nemici, assorbire gli effetti già presenti o lanciati su di me e a lanciare anche qualche incantesimo da me.

La gilda si occupava di sottrarre oggetti da case su commissione, oppure recuperare antichi manufatti in caverne, tombe o simili posti. Essa era organizzata in modo da ospitare tutti i suoi membri, ma le regole erano molto restrittive così che non si poteva uscire senza una buona motivazione e un permesso. Gli anni passarono velocemente, tra addestramenti e missioni insieme ai nuovi amici che mi feci. Conobbi così Rebekka, un’attraente e intelligente ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi. Mi colpì particolarmente già dal momento in cui la incontrai, quasi per caso, e stringendogli la mano mi disse <<Io sono Rebekka, piacere>> accompagnandolo la frase con un sorriso bellissimo. Diventammo grandi amici in breve tempo, parlando per ore e ore senza mai stancarci l’uno dell’altra; scoprimmo di avere in comune più di quanto credessimo: mi raccontò di essere nata in una famiglia contadina di Glantri, che anche lei aveva lasciato a malincuore per entrare in questa gilda. Con tutti aveva un comportamento combattivo e non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno, ma in realtà dentro era fragile; come mi disse una volta, aveva “un guscio duro costruito con le delusioni che aveva avuto”. Solo con pochi riusciva ad aprirsi, mi disse che ero l’unico che era riuscito a comprenderla fino in fondo, agendo con pazienza e indiscrezione, sopportando le sue azioni che spesso erano avventate e guidate dalla rabbia momentanea.

Non mi sentivo di fare tutte queste belle cose, in fondo ciò che facevo mi sentivo di farlo e lo facevo volentieri. Non volevo ringraziamenti e non ne avevo bisogno, mi bastava l’affetto che lei mi dava; mi diceva sempre che sembrava fossi il suo angelo, e lei per me era la mia piccola stella fortunata.

Insomma, sembrava che avessimo quasi raggiunto l’apoteosi dell’amicizia, ma le cose andarono per il peggio. 3 anni fa, in una delle sere in cui potevamo uscire per divertirci, insieme ai miei amici conobbi un gruppo di ragazze; per tutta la sera rimasi a parlare con una di loro e le chiesi se potevamo rivederci uno di quei giorni accordandoci per un pomeriggio. Tornato alla gilda, la sera stessa raccontai a Rebekka dell’accaduto con l’eccitazione di un bambino, ma sembra che lei non fosse così felice quanto me, anche se mi disse di essere contenta. Sfortunatamente, il giorno dopo scoprii che nello stesso pomeriggio in cui dovevo incontrarmi con Evelyn (la ragazza), sarei dovuto andare in missione. Sembrava fatto apposta! Decisi che avrei mentito, mi sarei inventato una scusa dicendo che mia madre stava male e dovevo andarla a trovare quel pomeriggio. Così feci, e mi diedero il permesso di evitare la missione. Mi preparai al meglio per uscire con Evelyn e con l’augurio di Rebekka mi sentii più forte che mai.

L’uscita andò molto bene ed entrambi stemmo molto bene. La sera, andai in camera della mia amica per raccontargli l’accaduto, mentre lei ascoltava interessata. Entrò ad un tratto uno dei maestri della gilda che stava cercando un’amica di Rebekka e prima di uscire fece un’osservazione su come apparivo al quanto stanco. <<Si sarà dato da fare oggi con quella ragaz…>> disse Rebekka senza finire la frase. <<Lo sapevo>> pensai <<E’ gelosa della ragazza e mi vuole mettere nei casini!>>. Il maestro s’infuriò promettendo una dura punizione e uscì sbattendo la porta. Rebekka non mi guardava, aveva le mani sulla faccia non sapendo come farsi perdonare per ciò che aveva detto per errore. La rabbia del momento però non mi fece comprendere tutto ciò e non volendo nemmeno parlargli, mi alzai, le scrissi un biglietto di addio e tornai senza proferir parola nella mia stanza.

Ripensai ancora e ancora all’accaduto, vedendo come doveva essere come dicevo io. Dopo circa 10 minuti qualcuno cominciò a bussare ripetutamente alla porta e sentii la voce singhiozzante di Rebekka che mi chiedeva di perdonarla e che non aveva fatto apposta. Ma ero troppo arrabbiato e le dissi di andarsene e di non voler più parlare con lei. Parole che ogni giorno mi pento di aver detto.

Dopo che se ne fu andata, decisi di andare subito a dormire, così da terminare in fretta questo giorno e sbollire un po’ la rabbia. Infatti, il mattino dopo mi sentivo decisamente meglio, la notte mi aveva aiutato a capire che l’errore della mia amica era comprensibile, e anche se l’avesse fatto di proposito, stava a dimostrare che ci teneva talmente tanto a me, da essere gelosa di altre ragazze che conoscevo. Dopo colazione andai a cercarla per parlarle, ma mi dissero che era uscita in una missione; aspettati tutto il giorno senza che tornasse nessuno. Cominciai allora a preoccuparmi di quello che poteva essere successo e mi offersi per andare a vedere cosa fosse successo per conto della gilda. Probabilmente vedendolo come segno di rifarmi del comportamento poco consono che avevo avuto il giorno prima, i maestri acconsentirono.

La mattina successiva quindi, mi preparai e uscii di buon ora per raggiungere la mia meta solo poche ore di cavallo più tardi. Davanti a me si presentava una costruzione diroccata che una volta doveva essere stato un tempio; scesi da cavallo ed estrassi il mio arco, cominciando a camminare lentamente nella costruzione. Essa era semicrollata e la luce riusciva ad illuminare parte dell’interno: poco più in là dell’entrata vidi i corpi di alcuni ragni mostruosamente grandi, poi in fondo notai un altare ed intorno dei corpi, questa volta di umanoidi. Corsi subito verso l’altare per vedere cosa fosse successo e vidi una dozzina di corpi in un lago di sangue che stavano cominciando a decomporsi; mi tappai il naso per il terribile fetore che emanavano e riconobbi in loro i membri della gilda. Aspettavo solo di trovare il corpo della mia amica per cadere nello sconforto più totale, ma non lo trovai. Mentre mi chiedevo che fine avesse fatto la mia amica, l’occhio mi cadde su delle iscrizioni che si trovavano sul piedistallo; recitavano così:

Questa è la Mietitrice Nera.

Essa è stata forgiata grazie all’aiuto della dea del Sole nero.

Guai a voi mortali!

La lama racchiude un immenso potere,

ma solo chi non vive o serve la dea può usufruirne!

Agli altri sciocchi che vorranno utilizzarla,

la lama chiederà un prezzo,

in cambio di parte del suo potere.

Non mi ci volle molto ad intuire cosa fosse probabilmente accaduto: conoscevo Rebekka, e anche se non pensavo si potesse fare protagonista di una tale tragedia, sapevo la disperazione che poteva provare nella condizione in cui l’avevo lasciata…in fondo lei, voleva solo essere ascoltata.

Sentendomi in colpa per l’accaduto non ritornai alla gilda, ma mi misi alla ricerca della mia amica cercando a casaccio, mentre pensavo a dove potesse essersi diretta. Dopo giorni di ricerche, pensai che fosse potuta tornare verso casa sua a Glantri, ma mi persi lungo il cammino, un po’ per la fame, un po’ per la stanchezza, un po’ perché non ero pratico delle strade. Dopo 2 mesi di ricerche non sapevo più nemmeno dove fossi finito, ma il paesaggio mi sembrava familiare.

Mentre mi avvicinavo all’ennesima città, fui assalito da un gruppo di briganti, ma sia io che il mio cavallo eravamo troppo stanchi per combattere o scappare, così mi arresi. I banditi non si accontentarono del bottino e cominciarono a picchiarmi per divertirsi, ma ad un tratto smisero. Alzai lo sguardo per vedere se stavano per andarsene, quando vidi galoppare nella mia direzione un decina di soldati a cavallo e in armatura mentre i banditi raccoglievano le loro cose per scappare di gran lena. Non riuscirono a scappare, poiché alcuni dei cavalieri cominciarono inaspettatamente a lanciare incantesimi e i banditi furono tutti paralizzati e legati oppure messi fuori combattimento. Uno dei cavalieri utilizzo la sua magia per curare le mie ferite e sentii il nome di Vanya nella formula, mi aiutò ad alzarmi chiedendomi se fosse tutto a posto. Mi accompagnarono nella città dove consegnarono i banditi e decisi di restare con loro; parlando con loro scoprii di essere finito a Heldann e che loro erano cavalieri di Vanya in viaggio verso la capitale. Avevo un debito di gratitudine con loro, e pensai che piuttosto che cercare la mia amica a caso, se avessi lavorato come informatore in un ordine come quello di Vanya, avrei probabilmente avuto più possibilità di trovarla; inoltre, mi sembrava brava gente, e avrei contribuito ad aiutarli nella loro missione.

Arrivati alla capitale, mi presentai alla chiesa di Vanya con la mia proposta, mi convertii alla sua fede e fui subito messo al lavoro sotto un certo Sir Kassian, uno dei maestri dell’ordine.

<<Michael Valka! MICHAEL VALKA! Mi stai ascoltando?>> la voce ovattata di Sir Kassian mi risuonò nelle orecchie e ci misi un po’ per capire che ero rimasto un po’ troppo soprappensiero. L’uomo incappucciato era già uscito e sembra che Sir Kassian mi stesse chiamando da un po’.

<<Mi scusi signore, ero soprappensiero…ma signore, ho capito bene? Insieme al gruppo di Lady Jacqueline e Padre Raphael c’è una certa Rebekka?>>. << Sì Michael, la conosci forse?>><<Beh signore, se si tratta di chi dico io, è una persona di cui ho perso le tracce 3 anni fa e che non speravo quasi più di ritrovare…un amica…la mia migliore amica…Signore…non è che forse sarebbe possibile… raggiungere padre Raphael e Lady Jacqueline? Li aiuterei nella missione, e ne avranno bisogno, dato che a quanto ho capito sembra che le rose li abbiano già presi di mira>><<Non pensare di fare l’eroe Michael Valka, quei due sanno badare a loro stessi>>. Rimasi in silenzio. <<E’ anche vero però...>> continuò sir Kassian, <<che in questo periodo a parte queste rose, le cose qui sono abbastanza calme, quindi credo potremmo permetterci di non avere il tuo aiuto qui a Heldann e di darlo a quei due. Ne parlerò al maestro.>>

Il giorno successivo avevo in mano la lettera firmata da Sir Kassian, mentre mi dirigevo verso il mare per cercare un passaggio verso Tel Akbir: da lì avrei proseguito a cavallo seguendo le tracce per tentare di incrociare il gruppo e sperare di riabbracciare la mia cara Rebekka.

A breve il continuo della storia. ;)

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In merito all'opera...che dire...attendiamo frementi e accaldati che tutto ciò abbia un seguito...

...a dirla tutta...sono elettrizzato all'idea...:lol:

Spoiler:  
Peccato per i topic cancellati...il cavillo che tritta e galippa era divertente... :lol: Ok...la smetto qui... :lol:
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