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Lavoro editing: La Nostra storia


Strikeiron

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Principali partecipanti

La città è in festa: le piccole strade sono gremite di gente che ride e scherza. Nehem quest’anno è stata generosa con i suoi fedeli. I raccolti sono stati sempre abbondanti e di ottima qualità. Così ora la piccola città di Suthern gode della sua fortuna festeggiando in nome della dea della terra. E' stupefacente come una piccola città possa trasformarsi di fronte ad un importante avvenimento. Tutti i cittadini, prevalentemente umani e mezzelfi, si riversano nella piazza centrale al cospetto della grande statua dedicata a Nehem; alcuni uomini sono inginocchiati di fronte al monumento, mentre molti altri si gettano in balli propiziatori al ritmo della musica di alcuni bardi del paese. E' estremamente bello sentire nuovamente il calore delle persone dopo giorni di interminabile cammino nelle malaterre del sud. E' un pò come sentirsi a casa, con le risa dei bambini che ti riempiono il cuore di felicità e di speranza...

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Si sentiva fuori posto, lì nella superficie, lontano dalle amate caverne scavate nella montagna. Eppure, nonostante questo, egli era felice. Strano per un senza clan provare quell'emozione.

I bambini che scorrazzavano per le strade fissandolo con gli occhioni sgranati, gli uomini che si chinavano il capo in segno di rispetto davanti a lui e all'antica arte che rappresentava… tutto ciò rendeva Sturmir particolarmente soddisfatto.

Il suo autocompiacimento però durò poco. Gli tornò subito alla mente il pensiero che lui era un reietto, cacciato fuori dalle mura della Montagna perchè aveva rifiutato il saluto al Thane che gli aveva tolto la possibilità di praticare la sua arte perchè egli era un deviato, una creatura indegna del nome di nano. E questo solo perchè lui amava la magia, la sentiva scorrere nelle sue vene, pulsare nelle sue membra.

Ma adesso non era tempo di abbandonarsi alla rabbia. Era tempo di vivere quella splendida giornata, magari raccontando a quelle due bambine dalle trecce dorate qualche storia sulle tradizioni del popolo della Montagna.

Sì, alla fine non era così sincera la sensazione di essere fuori posto

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La solita festa. Il solito ringraziamento ad una dea che serve come scusa e riparo per le azioni di semplici uomini e ragazzi che danno la vita per far proliferare il villaggio.

Appoggiata al muro esterno della taverna, Aixela sorrise ironicamente osservando i festeggiamenti. Ma non poteva fare a meno di sentire quella stretta che significa felicità. Pur se le ragioni della festa erano per lei deprecabili, restava pur sempre un momento di allegria per tutti. Non ricordava più da quanto tempo non vedeva dei bambini sorridere e delle madri abbracciarli senza il timore di una razzia o di qualche catastrofe.

Chissà se davvero c'era una Nehem da qualche parte a ridere di questa gioia. E chissà se la gioia che stava dando era gratuita o solo un preludio ad una più oscura maledizione.

Come quella volta che stava entrando nell'ordine dei Cavalieri di Jamalièl. Non era la prima ragazza che aveva intrapreso una strada del genere e non sarebbe stata l'ultima. Ma lei aveva una differenza. Una sola. La stessa differenza che l’aveva resa una reietta, una fuggiasca… l'assassina di uno dei Cavalieri Anziani di Jamalièl.

Era legittima difesa. Il fabbro per il quale lavorava e davanti al quale era successo il fattaccio ne era testimone. Era stata attaccata per la sua diversità proprio dal cavaliere che rimase infilzato dalla stessa spada che lei aveva fabbricato per lui. Ma la mano che la teneva era quella di lei, una mano tremante, agitata, ma sicura come sempre quando impugnava una spada.

Guardò il suo fianco e notò la stessa spada che l'aveva resa fuggiasca riposare nel fodero. La osservava chiedendosi se fosse in attesa di spillare altro sangue o se stesse riposando, stanca di imbeversi di liquido vitale.

«Hai il fumo che ti esce dalle orecchie.»

Aixela sussultò e si girò di scatto, la mano sull'elsa.

«Ehi... calma... sei tesa come una corda!» La voce alzò leggermente le mani con un sorriso. Poi, quando la vide togliere la mano dalla spada, le si avvicinò abbracciandola: «Bella festa, vero?»

Lei si abbandonò tra le sue braccia: «Già... anche troppo.»

«Riecco la mia pessimista. Quando le cose vanno troppo bene ha paura. Che ne dici di concedere una tregua ai tuoi pensieri?»

Aixela si staccò dall'abbraccio e lo guardò, sorridendo: «Se non fossi... "diversa"... be', avresti già in mente come farmi passare i pensieri per un po', vero?» Gli strizzò l'occhio.

«Be', non è un segreto che mi piaci. Purtroppo tu hai i miei stessi gusti, quindi... pazienza. Spero solo di non averti come rivale in amore.» Fece spallucce.

Lei si girò di nuovo, dandogli le spalle, poi si appoggiò con esse a lui che la sorreggeva, cingendola con le braccia.

«Parola di Trebor... ti proteggerò fino alla fine di tutto!»

«Lo so... lo so...» Sorrise.

Era una bellissima giornata.

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I suoi passi e la sua andatura lenta contrastavano con il clamore della folla che gia si sentiva dalle colline. Il manto nero che lo copriva totalmente sembrava assorbire la gaia luce del sole. Il sentiero che lo avvicinava al paese era troppo breve perchè qualcuno si accogesse di lui prima del suo arrivo. Non era sua usanza viaggiare a piedi come un semplice mendicante incappucciato, ma questa volta aveva deciso di non utilizzare i suoi potenti mezzi magici per arrivare fino a destinazione. Gli erano sempre piaciute le entrate trionfali.

L'oscura figura continuava inesorabile la sua lenta marcia verso l'ignara festa. Ogni suo passo, ogni suo più piccolo movimento, sembrava strappato a forza dalla vita. Dove lui metteva i piedi, le piante appassivano e la terra si spaccava arida: anche la natura si ritirava al suo passaggio.

Non amava le feste ed i luoghi affollati, ma li frequentava spesso: erano sempre stati soddisfacenti come banco di prova per la sua oscura arte. Ancora pochi passi e sarebbero finiti i divertimenti. Ancora per qualche istante quella gioia avrebbe riempito i cuori della gente. L'avrebbe distrutta, fatta evaporare. Come avevano fatto evaporare la sua, troppi anni prima.

Giunse davanti alla massa giubilante e, levate le mani salmodiando in una lingua arcana, diede inizio all'esperimento. Un vento freddo investì improvvisamente la piazza, portando con sè le nuvole dalle montagne. Il cielo si oscurò, le nubi coprirono il sole. Un ghigno si formò sul suo volto inumano.

Solo quando usava la magia, solo in quei momenti sentiva dentro di sè una piccola parvenza di vita. Per l'Arte aveva rinunciato al suo stesso corpo fisico e a gran parte della sua anima, secoli prima. Non ne era certo pentito. Ma la scintilla che sentiva in quel momento dentro di sè, come sempre, lo fece fremere di pura estasi.

Esplose in una risata malefica, che solo una gola inumana avrebe potuto emettere, e si rivolse finalmente alla folla ammutolita: :"Zogrash, vostro padrone, vi ringrazia per la bella festa..."

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Finalmente una bella festa! Era tempo che non vedeva cosi' tanta gente tutta insieme. Aveva infatti passato gli ultimi tre mesi nelle segrete della città, che oltre ad essere molto umide, erano anche incredibilmente ben progettate. Di solito scassinare le serrature era un modo divertente di passare il tempo prima della noiosa esecuzione del mattino successivo, cosa che non valeva veramente la pena di vedere. Soprattutto perchè, dopo aver appurato svariate volte che le ascie dei boia erano male affilate, e a tagliarti la testa ci mettevano un sacco di tempo, ti annoiavi... a morte. "Ah, ma un tempo non era cosi'!" disse a un tizio che vendeva arance li' vicino "Non parlo di asce, no no. Quelle sono rigorosamente spuntate. Parlo della Morte, dell'Ultimo Viaggio, dell' Equa spianatrice, l'Estremo Passaggio. Non so se mi spiego. Beh ecco ne ero molto affascinato, come dire, è una cosa che non ti succede tutti i giorni no? Però c'era sempre quel piccolo problema di mezzo, dicono tutti che dopo morto non puoi fare tutte le cose che fai in vita. E' una questione di interessi. Confilitto d'interessi mi pare si chiami. Insomma, un dilemma. Sta di fatto che un giorno incontro questo tizio, Ragna... no Vectra! Beh andava in giro con quel suo vestito lugubre ed era sempre incacchiato, forse perche' gli mancava una mano e un occhio. Sai, stavamo nella stessa locanda, e certe cose si notano, non so se mi spiego. Insomma girando per la locanda...hemm...capitai per caso nella sua stanza e trovai la classica pignatta ribollente sul fuoco. Faceva un freddo Boia, cioe' era affilato, non come la classica ascia del boia, e come dice sempre mio zio Tasslehoff Burrfoot "se fa un freddo boia beviti la prima cosa calda che reputi buona". Quella cosa aveva un odore schifoso, ma faceva le scintilline quindi non ci pensai due volte. Da allora a quanto pare possono farmi quello che vogliono. Non raggiungo il becchino. Non schiatto. Non stiro le zampe. Forse penserai" disse gustandosi il terzo arancio " che sia un vantaggio..."

"Penso che tu mi debba pagare quello che hai mangiato, portarogne" disse in modo non molto pacato il venditore. Ma non finì di dire la frase che il piccoletto era già scomparso tra la folla.

"Certa gente non capirà mai!" penso' mentre si allontanava dal banco, tra la gente accalcata "Chi avrebbe voluto delle arance come quelle? Erano ottime, va bene , glielo concedo, ma sicuramente lo spazio che occupavano era troppo ampio. Ah, mamma me lo diceva sempre: "Garfuss Pottlepot tu sei troppo gentile."

Le persone infatti erano incredibilmente sbadate: per esempio, a chi era caduta quella borsa piena di dobloni d'oro? Quando avrebbe trovato il possessore gliene avrebbe dette quattro. Come a l'oste di quella locanda dove aveva incontrato il tizio monco e orbo. Far evaporare cosi', senza preavviso, tutta la costruzione! Non aveva finito il pollo arrosto che aveva nel piatto allora. Ancora ci pensava la notte.

Rifletteva del prelibato manicaretto quando tutti si bloccarono all'istante vedendo un tipo, sempre vestito di nero, a quanto pare era una moda, che spalancava le braccia urlando stupidaggini.

"Misà che è uno di quelli <<Io sono patrone di monto!>>, tutti uguali, si riconosc..." si bloccò a metà frase notanto una cosa che spuntava dalle vesti aperte del tizio: un pugnale, di incredibile fattura, che gli pendeva dalla cintura.

"Com'e'....bello!" pensò.

Il personaggio in nero sguainò il pugnale. "Ed ora" disse mentre un ghigno gli storpiava il volto "vorrei le vostre anime, grazie".

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  • 2 settimane dopo...

Era soddisfatto.

Oh sì, lo era proprio. Era stato il lavoro più facile degli ultimi mesi.

Con tutto il caos dovuto ai festeggiamenti aveva potuto agire assolutamente indisturbato. Entrare nella villa del magistro era stato un gioco da ragazzi, passando prima dalle fognature e arrampicandosi poi lungo le piante rampicanti , orgoglio di quell'insulso crapulone del magistro. Non è che ce l'avesse poi tanto su con il magistro, ma il fatto di non provare alcun rispetto nei suoi confronti gli facilitava il lavoro.

Il frastuono proveniente dall'esterno era come una manna caduta dal cielo. Avrebbe potuto mettersi dei ferri di cavallo ai piedi e nesuno l'avrebbe sentito lo stesso. Trovare le camere private del Mgistro gli richiese lo sforzo di consultare la piantina della magine che gli era stata fornita dal suo committente...che uomo premuroso il Principe mercante Xharo!

Lo trovò disteso sul suo bel letto a baldacchino, intento a rimpinzarsi con dei profumatissimi manicaretti di cacciagione; si ritrovò a pensare che quel giorno non aveva ancora mangiato...ma la distrazione fu breve.

Come un'ombra passò dalla porta semichiusa della stanza alle ampie tende di velluto che ricoprivano le enormi vetrate della stanza.

La penombra favorì suoi spostamenti, accompagnati da niente di più del fruscio che il vento provocava colpendo le tende della finestra aperta; quando la distanza tra lui e la sua preda fu sufficientemente breve, decise di uscire allo scoperto.

-Buongiorno a te, Magistro Petronio. Come mai non ti trovi a festeggiare anche tu la dea Nehem con tutti gli altri?-

-E tu chi diavolo saresti? e che accidenti ci fai in casa mia? Guardie! Guardie!- cominciò a gridare il mercante.

-E' inutile che strilli, ciccione, col chiasso dei festeggiamenti nessuno accorrerà in tuo aiuto...addio!-

-No aspetta..chi ti manda? io ti posso dare il doppio, anzi no i triplo! ti prego risparmiami!!-

-Non dubito del fatto che tu possa pagarmi meglio, ma non sono abituato a farmi pagare per lavori che poi non porto a termine..-

Uscì esattamente da dove era entrato. Una volta per strada ripulì il sangue dalla sua daga sul retro dei pantaloni, rinfoderandola subito dopo.

Sì Sì, un ottima giornata.

Si avviò verso il centro della piazza principale, quando il suo istinto gli disse che c'era qualcosa che non andava...chi era quell'uomo vestito di nero, con un pugnale alzato in cielo, che aveva fatto il vuoto intorno a sè?

Tutt'ad un tratto la giornata non gli sembrò più tanto bella.

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  • 1 mese dopo...

Il cielo era ormai nero come la pece e le grida di gioia erano ormai grida di terrore. Soltanto una voce si udiva al di sopra delle altre, contorta in un ghigno malefico. E in un secondo il ghigno si trasformò in un urlo impossibile: "Che lo spettacolo abbia inizio..." .

La gente che l'aveva visto da vicino era ora immersa nell'oscurità, non il buio che tutti conoscono, ma un vuoto eterno che li cullava verso l'oblio. Gli altri intorno fuggivano in preda al panico mentre un scena raccapricciante si stagliava davanti ai loro occhi: una trentina di persone si avvinghiavano tra loro in un abbraccio mortale, senza +più volontà, senza più vita, ma i loro corpi si contorcevano ancora e si divoravano a vicenda, in un turbine inarrestabile di orrore.

E al di sopra di tutto, l'urlo compiaciuto dello stregone nero, in piena estasi: "Si, ora funziona! Scappate sciocchi! Lasciate che sia il vostro terrore a nutrirmi!"

Lo sguardo di Zogrash si posò sulla massa, il suo volto malignamente felice dell'esito dell'esperimento. Ma in un attimo, ripresosi dall'ebbrezza focosa che lo aveva riempito improvvisamente, si accorse che qualcosa era sbagliato. Il suo volto si fece serio, mentre percepiva che qualcuno tra la folla.. non lo temeva! La rabbia lo travolse: "CHI SEI, FATTI VEDERE!!!!". Ma nulla, nell'oscurità che aveva creato, non riuscì a vederlo.

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Aveva appena iniziato a raccontare le storie del suo popolo al suo giovane pubblico, quando quel tipo allampanato vestito di nero si era messo in mezzo alla piazza. Oscuro... ecco il termine adatto per descriverlo.

La sua preocupazione si tramutò in qualcosa di peggiore, quando nella sua mente si fece strada la consapevolezza della malvagità dell'Arte del "collega". Vedeva la cappa di oscurità magica e inquietante che si faceva sempre più fitta, e quella voce che risuonava contro un cielo nero mentre le urla della folla mutarono dalla gioia al terrore.

Bisognava fare in fretta. Poche parole lette su una pergamena e davanti a lui si aprì un varco luccicante lucente. Senza dire nulla prese alcuni dei bimbi che erano intorno a lui terrorizzati e li lanciò dentro quel varco luminoso dove sarebbero stati al sicuro... molto più al sicuro.

Ma era l'oscurità avanzante il vero problema: doveva essere dissipata... e in fretta! Era foriera di morte e dal suo interno le urla delle vittime giungevano agonizzanti.

Sentì in lui fremere l'energia, l'esaltante sensazione di essere parte della magia, dell'energia che sosteneva il mondo... e fu luce, un globo di luce che diresse verso il centro dell'oscurità rischiarandola per qualche attimo.

Ma desiderò quasi non averlo mai fatto, quando lo spettacolo rivelato gli gelò il sangue nelle vene.

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  • 2 settimane dopo...

Alcuni bambini erano rimasti fuori dal portale magico, e mentre Sturmir si concentrava sull'incantesimo di luce, si erano già tutti dileguati. Tranne una piccola elfetta che, avvinghiata al mantello del nano, osservava il tutto con un'aria stralunata.

"Accidenti" pensò "le favole sono già finite!"

In un attimo quello strano e simpatico signore che raccontava di antichi cavalieri e draghi si era fatto improvvisamente serio. Guardava l'uomo al centro della piazza (un uomo oscuro e cattivo di quelli che la vecchia Zadora le aveva sempre detto di evitare) e l'aria intorno a lui iniziava a vibrare, e questo le riportò alla mente qualcosa, qualcosa di vecchio, molto vecchio. Ma poi erano successe un sacco di cose strane, paurose e belle nello scorrere di pochi attimi. Un globo di luce, una cosa dove il simpatico signore aveva mandato alcuni tra gli altri bambini che ascoltavano le storie.

Aveva preso anche lei per la mano ma era troppo curiosa per poter stare buona buona e gli era rimasta aggrappata alle pieghe del mantello.

Si sentiva stranamente attrratta da questo strano uomo.

Lei era una piccola orfana di cui nessuno conosceva le origini, di cui nessuno si era mai voluto prendere troppa cura per via dei marcati tratti elfici, degli insoliti capelli di fiamma,dei segni magici tatuati sulle tempie e degli occhi color ghiaccio, troppo attenti e svegli per i suoi dieci anni di vita.

Era sempre cresciuta tra le attenzioni distratte della vecchia Zadora, mendicante e truffatrice, concedendosi attimi di infanzia "normali" solo in occasione delle fiere o delle grandi feste religiose come questa in onore della dea Nehem, durante le quali si concedeva il lusso di perdersi nelle avventure di cavalieri e nelle leggende che bardi di passaggio raccontavano ai bambini...

Gli prese la mano, perchè aveva visto che sotto la barba la faccia dell'uomo si era contratta per l'orrore.

"Non ti preoccupare, ci sono qui io ad aiutarti!" Disse con l'innocenza di una piccola bambina quale era.

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Aixela si stava lasciando cullare nell'abbraccio di Trebor, finalmente dimentica di tutto quello che le era successo. Aveva anche deciso che gli avrebbe concesso di portarla in quella taverna rinomata per le sue bistecche alte tre dita, contornate da ottime patate al forno speziate ed innaffiate con dell'ottima birra o del buon vino rosso... o entrambi.

Non era una che amava mangiare dentro le locande, considerandole dei luoghi in cui potevano trovarsi i Cavalieri di Jamalièl o qualche cacciatore di taglie troppo zelante nel suo lavoro. Ma in quel momento si sentiva bene ed il paese era in festa. Ed una bella mangiata tranquilla era proprio quello che ci voleva.

Questo era quello che pensava finché non vide la gente in preda al panico correre per le vie, come tante formiche che fuggono da un formicaio attaccato. La sua mente appagata le fece pensare che forse era solo un altro spettacolo della festa, ma l'espressione di terrore era troppo reale per poter essere semplice recitazione.

Fu proprio in quel momento che, sporgendosi da dietro quella casa, vide lo spettacolo raccapricciante di uomini e donne che si contorcevano agonizzanti, illuminati da un globo di luce che dissipò un manto di oscurità che sembrava aprirsi direttamente su un cielo notturno privo di stelle.

Sentì Trebor gemere alla vista di quella gente. Lo sentì accarezzare la sua spada. Non poteva fare nulla. Le arti magiche gli erano precluse. Con una spada poteva fare di tutto, tanta era la sua abilità, ma la magia lo terrorizzava.

E Aixela, nascosta dietro la casa, gli occhi fissi su quell'orrido spettacolo, stava ben attenta a non far vedere le sue lacrime, gocce di un dolore più profondo di chi sa che non poter far nulla. Erano lacrime di chi potrebbe fare, ma ha paura di farlo.

Un'indecisione che stava costando la vita alle persone davanti a lei.

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Erano giorni che lo seguiva.

Quell'oscuro viandante l'aveva incuriosito da subito.

Lo aveva visto passare sul sentiero nel bosco mentre riposava su un albero. La corteccia bianca dell'esile Betulla d'anime faceva contrasto con il nero dell'abito del viandante. Nascose il proprio pugnale dalla bianca lama ricolma di rune elfiche nell'ombra del mantello e si calò lentamente dall'albero, come solo un elfo della sua esperienza poteva fare.

In un attimo era un tutt'uno con i cespugli, aiutato anche dalla sua esperienza nella magia. Sapeva poco di essa, perché non ne era molto affascinato, ma aveva imparato tutto ciò che gli sarebbe stato utile a sopravvivere nel mezzo di un bosco selvaggio. Sentiva ciò che mormoravano gli insetti, all'occorrenza, e ciò che stavano dicenod in quel momento non gli piaceva molto.

Iniziò a seguire il viandante da distante, senza farsi sentire, senza farsi vedere da nessuno tranne che da se stesso.

Dopo qualche giorno si avvicinarono al villaggio: non ne era troppo felice.

Lui, Ariaston, preferiva il dolce tepore dei boschi a quello delle taverne. Era nato e cresciuto in un bosco, e si sentiva a proprio agio tra le foglie e i ruscelli. Ma aveva anche una certa conoscenza del mondo degli umani, e sapeva ben adattarsi alla vita in società. Per un certo periodo aveva anche frequentato un umana, per un certo periodo...

Scacciò quei pensieri dalla propria mente e si preparò ad entrare al villaggio.

Ed improvvisamente capì che qualcosa stava cambiando, che non tutto andava come era normale. Sentiva che le trame che tessevano l'aria, e la magia, stavano mutando. Qualcuno si preparava a compiere qualcosa di strano, forse malvagio.

Improvvisamente si sentì eccitato, come non lo era da molto tempo!

Sentiva i rumori di una festa, le risa e la gioia di alcuni bimbi. Si festeggiava qualcosa in città!

Come un ombra si spostò sulla destra e si fermò ad un centinaio di passi dal viandante, mimetizzato nell'albero delle impiccagioni al limite del villaggio.

E finalmente vide il tetro messaggero di morte svelarsi. Tutto si fece buio e freddo, e capì subito che delle vite stavano per spegnersi, e qualcuno ne traeva piacere. La sua mano scorse verso il pugnale, lo scaldò e poi si allontanò da esso, sicuro che sarebbe stato notato appena lo avesse usato.

Strofinò allora il medaglione al collo, lo nascose sotto la maglia, e attese con pazienza. Ora era più sicuro!

Non era molto interessato alle vite degli umani, qualsiasi cosa succedesse. Ma qualcosa lo tratteneva qua. Sapeva che non sarebbe finito tutti li, il suo istinto glielo diceva.

Poi senti delle urla, l'odore di morte nell'aria, la voce dello stregone tuonare felice nella piazza e un luminoso bagliore che la illuminò gli permise di vedere la gente morire.

Con la sua vista da elfo notò il nano, la bambina ad esso aggrappata, e un paio di figure astute che guardavano lo stregone...

Decise di attendere, conscio dell'anormalità della situazione e dei poteri che si erano casualmente radunati in quella piazza, non per ultimo il suo, e sentì il dolce tepore del suo pugnale sul fianco...

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Pareva che il mondo fosse precipitato in un abisso senza fine. Che la luce stessa si fosse mutata in pece, che la felicità fosse solo la mancanza di tristezza e di dolore lancinante, che la speranza non esistesse. Gli ultimi pensieri prima della morte andavano all'orgoglio, all'odio e alla distruzione, e l'immaginazione non riusciva nemmeno a superare quella sterminata barriera di paura. Tutto era finito.

Non cosi' la vedeva Garfuss Pottlepot.

"Anche se un po' scontato, devo ammettere che è d'effetto!" pensò, appena l'oscurità strisciante invase la piazza. "Gli farà un male cane...ma chissà come si stanno divertendo.... anf! Beati voi!" disse alle persone agonizzanti sul terreno. Evitò un esaltato che gli correva incontro con gli occhi sgranati, facendogli accidentalmente anche lo sgambetto. "Ops!! Mi spiace...la prossima volta stai piu' attento a dove vai pero'."

Tutto questo era estremamente eccitante! Era da quando quel Tanar'ri lo aveva torturato per giorni solo perchè aveva trovato per terra una cosa che ancora non aveva capito cosa fosse, che non si divertiva tanto! Tra l'altro si dimenticava sempre di scrivergli. Sotto la facciata zannuta e sgocciolante in fondo era un tipo simpatico. Doveva informarsi sul servizio postale dei sette inferi. Probabilmente avrebbe pagato salato per mandare una missiva su un altro piano....che aguzzini i postamaghi planari! Continuo' la sua scampagnata. Avrebbe voluto andare a far due chiacchiere col tizio ciao-io-sono-patrone-ti-monto ma, apparte un urlo che aveva tirato poco prima (a quanto pare faceva parte della classe kattiven-3: urlatore sadico sghignazzante con manie di onnipotenza) non aveva idea di come raggiungerlo. Non si vedeva a un palmo di naso!

Mentre cercava di capire cosa stessero combinando quei due uomini a quella donna che gemeva in modo strano, un globo di luce parti' da quello che sembrava un cumulo di stracci con la barba.

"Dev'essere Rady!" penso', mentre scattava fulmineamente verso la fonte del globo luminoso. Una volta aveva incontrato questo mago Radasgasat o qualcosa di simile, che faceva un sacco di giochetti strani con gli animali. Tipetto furbo. Mentre ragionava su questo, e dopo una ventina di passi, ando' a sbattere contro qualcosa di tozzo e peloso, finendo schiena a terra. Passarono pochi secondi prima che si riprendesse dalla botta. Quando riaprì gli occhi vide la faccia di un nano, abbastanza brutto, barbuto e a dir poco perplesso. Decise che era la faccia del coso tozzo e peloso contro cui aveva sbattuto. "Hei ma tu non sei Rady! Hem...Piacere, Garfuss Pottlepot." Aggiunse dopo qualche istante, porgendo la mano mentre era ancora steso per terra.

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Dieci anni appena, una piccola elfa. Piccola… eppure l'unica tra i bambini a non essersi fatta prendere per andare al sicuro e che anzi si era messa alle spalle di Sturmir, aggrappata al mantello. Sembrava una bimba come tutte le altre, eppure fu l'unica in grado di svegliarlo dal torpore orripilante che lo aveva paralizzato nel vedere il raccapricciante spettacolo.

Non era mai stato più sveglio e lucido di ora. La magia percorreva il suo corpo in estatiche scariche di potere. Per la prima volta dopo anni poteva dare libero sfogo al suo potenziale, senza paura di venir scoperto e cacciato.

Iniziò a iscrivere nell'aria una runa di potere quando qualcosa lo urtò e gli fece sbagliare i movimenti finali dell'incantesimo. Trattenne il respiro, attendendo qualche conseguenza, ma per fortuna non accadde nulla. Furioso più per la paura che per la rabbia, si voltò e ciò che vide non migliorò il suo buon umore. Un kender Aveva sbattuto sulla sua schiena e dopo un attimo di sbandamento si era alzato, togliendosi con noncuranza la polvere di dosso e presentandosi, la mano tesa: Garfuss Pottlepot, ecco il nome del disastro incombente.

«Piacere, sono Sturmir.» Tese la mano per stringere quella minuta, sospirando. Poi la ritrasse. «Ora mi faresti finire ciò che stavo facendo prima che succeda un disastro?» Disse, pur sapendo che era del tutto inutile cercare di mandare via un kender quando decideva di stare in un posto. Per fortuna le sue tasche erano protette magicamente contro le intrusioni: una piccola scarica elettrica gli avrebbe impedito di "perdere" oggetti che il kender avrebbe poi "ritrovato".

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  • 2 settimane dopo...

Stanco di vivere e stanco di tutta questa felicità rimase a guardare tutto dall'alto del tetto sul quale, per ora, aveva trovato rifugio.

Il suo mantello ormai in brandelli gli pendeva sui fianchi e copriva a stento l'antica armatura in Mithryl e la lunga spada che in tanti combattimenti gli aveva dato una mano.

L'oscurità stava coprendo quasi per intero il piccolo paese ma lui, al suo interno, poteva vederci benissimo.

Era forse un segno che la magia utilizzata dall'oscuro viandante non gli era del tutto sconosciuta? Per ora non lo sapeva e non gli interessava saperlo...

Molte anime stavano per trovare la loro fine e lui ne era contento.

Avrebbero facilitato il suo compito.

Come per risposta della tetra magia, il cielo si mise a piangere e l'aria si fece ancora più fredda.

Sarebbe stato un lungo giorno e l' inizio di una lunga, lunga notte...

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  • 1 mese dopo...

«Antipatico! L'hai fatto cadere!» Questo buffo tipetto era spuntato dal nulla di questa strana notte e aveva fatto cadere sia lei che il cantastorie. «E che brutto nome che hai! E... ehi, stai un po' fermo e parla più piano che non si capisce niente di quello che dici!» La piccola elfa tirò via il kender. «Non lo lasci fare nemmeno in pace le sue magie!» Buttò uno sguardo al nano, poi uno a quel piccolo intruso. «Ma da dove salti fuori? Chi sei?»

Nuovi buffi personaggi. Una strana situazione.

Dieci anni erano pochi per tutte queste cose isieme, anche per una piccola elfa.

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Il suo sguardo trovo l'obbiettivo, i suoi occhi si riempirono di odio, mentre il suo volto si contorceva dalla rabbia.

«COSA HAI FATTO!!! SCIOCCO NANO, VUOI ROVINARE ANNI DI LAVORO !?"

Subito cominciò a salmodiare, i suoi occhi divennero bianchi girandosi per lo sforzo, la terra iniziò a tremare.

Dai suoi piedi si apri un baratro che cominciò ad inghiottire le vittime dell'esperimento e si diresse verso il nano:

«VEDIAMO SE SAI VOLARE, SPECIE DI BERNOCCOLO BARBUTO!!!»

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«AH AH AH!»

Una risata gli sfuggi, la situazione si faceva interessante.

Il viandante di nome Zogrash non sembrava niente male.La sua magia era primitiva ma molto potente...sarebbe stato interessante unire i loro scopi e rendere al massimo la loro distruzione...

Ma quali scopi aveva il tetro mago? Non di certo i suoi...

L' oscuro signore ormai mesi addietro aveva incaricato Na'Rghal di riprendere quell'ottuso Kender scappato dalle segrete, prima di svelare importanti informazioni. Finalmente l' aveva trovato...ma non era più tanto sicuro di volerlo prendere.

Si era stancato di obbedire sempre agli ordini, ormai era molto lontano da casa, diversi piani a essere sinceri. Il suo signore difficilmente avrebbe inviato altri guerrieri in cerca di quel kender puzzolente e di un Kyton ormai verso l' anzianità...

Per ora se ne sarebbe ancora rimasto a guardare ma le catene già indicavano delle forze in atto... e la pioggia si faceva sempre più fitta...

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Un giorno, mentre era immerso in preghiera, venne improvvisamente interrotto...

La porta della cella si spalancò di botto lasciando entrare quello che sembrava un mucchio lacero di stracci grigi.

Interruppe le proprie meditazioni ed guardò meglio.

-Non badare a me, giovane chierico. Sto solo cercando il mio cappello!-

squittì quasi trionfante quello che era facilmente riconoscibile come un vecchio.

Paladine mi sia testimone, pensò, non aveva mai incontrato un uomo così smemorato. Ad una rapida occhiata il cappello risultava essere calcato sulla sua testa...o qualcosa di simile ad un cappello. In realtà come tutto il resto del suo abbigliamento somigliava più a qualcosa di stranamente informe.

-Ma signore! Ce l'ha in testa!- replicò, gentilmente.

Ed il vecchio lo guardò sbalordito portando le mani di scatto verso la testa.

Poi, come se nulla fosse accaduto uscì dalla cella, lasciando la porta aperta e continuando a borbottare.

Da allora èiniziò la sua maledizione.

Pregava più volte Paladine di aiutarlo su quella lunga e difficile strada, ma la divinità non rispondeva mai. Solo il vecchio si girava a guardarlo irritato e lo pungolava ad accelerare il passo...diretto chissà dove. Senza spiegazioni infatti il chierico più anziano del tempio lo aveva costretto a seguire quel vecchio. E da allora vagavano insieme, senza meta apparente. Quel maledetto vecchio continuava ovviamente a cercare di continuo il proprio cappello (che teneva regolarmente in testa) e sembrava diretto apparentemente verso un luogo preciso per non più di una settimana. Poi senza spiegazione alcuna ritornava sui suoi passi e per altre estenuanti settimane giravano in tondo in quelle terre.

Solo il giorno prima era sembrato acquistare un po' di lucidità: lo aveva guardato con quegli strani occhi azzurri che sembravano essere stranamente intelligenti e furbi.

-Ragazzo, non ci siamo ancora presentati! Il mio nome è...- e si era interrotto, spalancando la bocca in un'espressione vacua.

-Mmm- aveva borbottato- ce l'ho sulla punta della lingua. Poteva essere...Fibzun? O no? Forse Fizben? Od era Merlino?-

Ho sospirato alzando gli occhi al cielo in una muta preghiera, ma il vecchio aveva continuato, portando le mani al cappello:

-Devo averlo scritto da qualche parte. Mmm, vediamo, doveva essere in un foglietto che ho nascosto nel cappello. Se solo sapessi dove l'ho messo! Mi puoi aiutare tu ragazzo?-

Avevano continuato a camminare tutto il giorno poi, sotto il sole alto a picco. Ma stavolta seguivano una meta precisa, non girando più in tondo. Ed ecco che a metà giornata avvistarono quel paese; da lontano vi era molta gente che affollava le vie.

-Dobbiamo andare là?- domandò al vecchio.

Quello neanche gli rispose, bensì si mise a correre, mentre all'improvviso il cielo si oscurava in un'oscura percezione di...il male. Un'oscurità assoluta che penetrava nella terra dilagando tutt'attorno. Corse dietro al vecchio, cercando di fermarlo...prima che fosse troppo tardi.

Ma era più veloce di quanto credesse, il maledetto. Lo sentì urlare ancora qualcosa di insensato sul suo cappello, mentre con una mano lo teneva stretto sul capo per impedire che volasse via. E man mano che si avvicinavano al centro del paese veniva preso dai brividi.

Vecchio pazzo! Pensò il giovane chierico...mi auguro soltanto che Paladine ci protegga!

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  • 3 settimane dopo...

«Ehi, ma questo è un INCANTESIMO! Uno di quelli che dipingi per aria le cose e... ma, ora che ci penso, tu non sei un nano? No, perchè di solito i nani sono molto burberi e preferiscono prendere a martellate più che salomoniare contro il nemico. MA LO SAI che io avevo un amico nano? Stava tutto il giorno a dirmi che non si dice “salomoniare” ma “salmonare”, come se i salmoni potess...» A quel punto si bloccò, notando che il nano lo stava guardando in draghesco. Quando questo accadeva, di solito subito dopo la gente cominciava a urlare e a chiamare un chierico ad alta voce. Notò inoltre che il nano aveva aggrappata alla gamba una bambina di circa 10 anni, abbastanza mingherlina. Questa cominciò a tirargli la casacca, dicendo di non distrarre il nano. «Ehi, ciao piccolina! Come va? Immagino tu sia abbastanza spaventata con tutto questo buio... ma non ti preoccupare, Zio Garfuss è arrivato giusto in tempo!»

La piccoletta disse, con angelica sincerità, che il suo nome faceva schifo.

«E tu come ti chiami piccola... elfa? Sei un ELFO! Io ho un sacco di amici tra gli elfi! Davvero! Conosco il re della nazione elfica a nord di Shortsea. C'era quel drago che gli rovinava sempre i suoi giardini, quindi disse a me di andare a sconfiggerlo. Io ovviamente accettai, perchè so che tutti i draghi del continente sanno chi sono io e nessuno oserebbe mettersi contro di me, da quando quella volta abbattei a mani nude Gorgoloth l'Antico Rosso nel deserto del Kalah Gourin. Ovviamente fu un duello alla pari e alla fine mi complimentai con lui per la sua tattica: niente male, anche se in confronto a me era ancora un ragazzino. Ma stavo dicendo? Ah sì be’ insomma... accettai modestamente l'incarico e partimmo... ATTENTA!» Afferrò la bambina e si gettò a pochi metri di distanza, vedendo la terra franare proprio dove si trovavano loro un attimo prima. «Tutto a posto? Ma che maleducazione! Sicuramente si tratta dello psicotico di prima. Adesso vado a dirgliene quattro... ehm... magari dopo. Intanto leviamoci di qui: andiamo a prendere un latte con frutta congelato, che ne dici? Conosco un mago simpaticone qui vicino che ogni volta che mi vede me lo tira addirittura appresso!» Erano sporchi come se si fossero rotolati nel fango. Cosa che in effetti avevano fatto. «Ehi, ma guarda qua: sembri una statua di creta non ancora finita. Aspetta che ti pulisco la faccia... ma dove l'ho messo...?» Cercò qualche momento, per poi far comparire un fazzoletto perfettamente pulito da una delle sue tasche. Cominciò a rimuovere il fango sulla faccia della bambina, quando si accorse degli strani tatuaggi che aveva sulle tempie. «Ehi ma questi... io già li ho visti! Però non mi ricordo dove... mah... ehi dov'è finito Sturmolo?» Cominciò a chiamarlo, non sapendo cosa gli fosse successo. Una vocina nella sua mente gli ripeteva che quei tatuaggi erano qualcosa di molto importante, ma lui non le diede ascolto. Anche se ci avesse provato comunque, non sarebbe riuscito a ricordare. Durante la sua lunga vita aveva visto molte più cose di quelle che una mente della sua razza potesse accumulare e sicuramente non avrebbe ricordato una cosa vista più di 1200 anni prima, quando l'Era del Caos era al suo apice e le divinità camminavano tra i mortali.

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