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La Regola del Tre


Nathaniel Joseph Claw

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Tre soli principi governano l'intero multiverso. Il primo, la Regola del Tre, afferma semplicemente che il tre è un numero che ricorre molto più spesso di quanto non ci si aspetti e che tutto tende ad accadere in base a tale cifra. I principi stessi obbediscono a questa regola. Il secondo, l'Unità degli Anelli, si fonda sul fatto che molte cose riguardanti i piani sono circolari, sia dal punto di vista geografico che filosofico. Il terzo principio, il Centro di Tutto, afferma l'esistenza del centro del multiverso o, piuttosto, spiega che, ovunque una persona si trovi, quel luogo si identifica con il centro di ogni cosa, perlomeno dal suo punto di vista. Visto che la maggior parte dei piani sono infiniti, provare il contrario risulta impossibile. Anche in questo caso, il significato è sia geografico che filosofico.

Molte città pretendono di essere considerate il centro dell'universo, ma, se ce n'è una che può arrogarsi a buon diritto tale nomea, questa è Sigil. Situata al centro dei piani esterni, è senza dubbio la metropoli planare più famosa e visitata di tutte e capire il perché non è difficile: si dice che, se puoi immaginare un luogo, a Sigil troverai almeno un portale per raggiungerlo. Per questa stupefacente peculiarità è stata soprannominata "la Città delle Porte", sebbene i suoi abitanti preferiscano chiamarla "la Gabbia". Hai sentito parlare molte volte di questo "centro del multiverso", descritto da chi l'ha visitato come il più grande paradosso dell'esistenza, ma non sai niente su cosa aspettarti dalla prima visita.

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Finalmente sei arrivato a Sigil. Il portale che hai attraversato era quello giusto, a differenza delle altre volte. Tuttavia, per l'eccitazione del viaggio, ti saresti decisamente aspettato un'accoglienza diversa, diciamo più calorosa. Sei sul margine di quella che puoi a buon diritto definire la piazza più squallida che tu abbia mai visto: di forma approssimativamente pentagonale, è talmente piena di gente da farti sentire quasi soffocato, nonostante le notevoli dimensioni dello spazio attorno te. La presenza di così tante persone, invece di rallegrarti, ti carica di angoscia e trasmette un forte senso di solitudine: tutti camminano lungo la propria strada, evitando il più possibile di incrociare lo sguardo con gli altri passanti. I pochi che cercano di stabilire un qualche contatto non sono di certo dei tipi raccomandabili, segnati da orribili cicatrici e pronti ad estrarre armi arrugginite malamente fissate alla cintura.

A rendere l'atmosfera decisamente lugubre è il gigantesco edificio sbiadito che troneggia alla tua sinistra, occupando un'intero lato del pentagono, a cui si accede tramite una maestosa scalinata posta oltre una strana opera architettonica formata da un cancello costruito come una serie di cancelli, l'uno più piccolo dell'altro, concatenati sulla stessa superficie. Non che le case squallide e pericolanti che circondano l'intera piazza siano allegre, ma almeno non sembrano un triste luogo di morte. Le uniche costruzioni nel centro della piazza sono una grossa torre a base quadrata realizzata in un materiale nero mai visto prima, una locanda dalla forma priva di senso (la cui larghezza di ogni sezione è proporzionale all'altezza in quel punto) e un edificio dalle fattezze un po' più rispettabili degli altri.

Sebbene sia un po' spaesato, ti è chiarissimo l'obiettivo per cui sei giunto a Sigil: tutti gli indizi che hai recuperato indicano che Silckeiron, un tomo di incantesimi talmente potente da possedere persino un nome proprio, è da qualche parte nella Città delle Porte. Diverse storie vedono implicato questo misterioso libro, passato tra le mani di tutti i maghi più potenti che la storia ricordi, eppure nessuno sa dire con precisione dove si trovi, né chi sia l'attuale proprietario; tuttavia, ti è giunta voce che un certo Jeskal, di cui non sai assolutamente nulla, potrebbe avere informazioni al riguardo.

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E così, eccoci qui.

Sospiro pensando al lavoro che mi aspetta, e che non ho praticamente idea di dove cominciare.

Se non altro sono arrivato. Cerchiamo un po' di capire dove siamo.

Estraggo dallo zaino il mio Tomo della Conoscenza Universale e lo consulto per fare il punto della situazione; mentre sfoglio le pagine cerco pigramente di ricordare qualcosa su Sigil.

Spoiler:  
Prova di Conoscenze (piani) +21 e Conoscenze del chierico cenobita +11
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Ti trovi nell'Alveare, l'area più squallida e degradata di tutta Sigil: qui vivono i poveri, gli straccioni e i nullatenenti. Il grosso e tetro edificio alla tua sinistra, a cui si accede tramite una scalinata ostruita a metà da un cancello talmente macabro da scoraggiare chiunque dall'avvicinarsi, è il Morturario, la sede di uno dei gruppi di potere più importanti della città, la fazione dei Cinerei. La filosofia di vita dei membri di questa fazione è tanto semplice quanto disarmante: "l'esistenza di ogni uomo è pura illusione, l'unica vera vita si ottiene attraverso la morte"; coerentemente, i Cinerei si occupano di custodire nel Mortuario tutti i morti della città. Tuttavia, paradossalmente, questa è una delle zone più nevralgiche di Sigil.

Le case squallide e traballanti che circondano la piazza devono essere le abitazioni dei più "fortunati" tra gli umili, visto che le costruzioni che intravedi nei vicoli che si allontanano dal pentagono sembrano addirittura, se possibile, più tetre e deprimenti. I tre edifici che dominano il centro dell'area sono delle appendici del Mortuario: la "piramide al contrario" è la locanda in cui i Cinerei passano il loro tempo libero, annegando la loro triste filosofia nell'alcol; l'altissima torre realizzata in pietra nera è un monumento piuttosto famoso qui a Sigil, però non riesci a ricordare quale sia la sua funzione; l'edificio a tre piani che, rispetto agli altri due, spicca per normalità (per quanto l'architettura della Città delle Porte possa rientrare nei canoni di "normalità" di Abeir-Toril) è la vecchia residenza di un avvocato famoso per un qualche motivo che ti sfugge di mente, ora divenuto proprietà dei Cinerei e abbandonato al suo destino.

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La torre, la torre... Diamine, non mi riesce di ricordare! Oh, beh, vorrà dire che lo scoprirò. Vediamo intanto di trovare una sistemazione e qualche informazione. E magari qualcosa da mettere sotto i denti...

Mi incammino quindi verso la locanda con l'intenzione di entrarvi.

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Mentre sistemi il tomo nello zaino, una ragazza ti si avvicina sgusciando agilmente tra i passanti. Il volto ha lineamenti umani, ma tutti gli angoli sembrano accentuati in modo innaturale: le sopracciglia sono piegate a metà in una strana curvatura, i lati della bocca si arricciano leggermente verso l'alto, risultando quasi inquietanti, e gli occhi, leggermente rigonfiati verso il basso, ti mettono a disagio. La carnagione estremamente pallida diventa rossiccia sui gomiti e attorno ai capelli, corti e crespi. Un corpetto di cuoio, strappato in vari punti e sistemato con cordini rudimentali, lascia intravedere tutto il corpo; stretti pantaloni in pelle aderiscono perfettamente alle gambe. Arrivata ad un passo da te, afferra l'estremità del libro con due mani, guardandoti intensamente e sorridendo. Ora che noti le sue dita, ti rendi conto che le ultime falangi sono completamente nere e segnata da piccole striature di sporcizia.

« Non è furbo leggere storielle per le strade dell'alveare, sai? » ti sussurra, inclinando la testa di lato e facendo fuoriuscire spesso di poco la lingua dalle labbra. « Il mio nome è Jeskal, "straniero" »

Il modo in cui pronuncia la parola "straniero" ti fa venire i brividi.

« Il tuo? »

La ragazza che hai davanti è una tiefling, il frutto (oppure il lontano risultato) dell'unione tra un umano e un esterno malvagio o un qualche altro tipo di essere immondo. Sebbene con il succedersi delle generazioni gli effetti del retaggio demoniaco possano attenuarsi, ne rimangono sempre tracce fisiche e comportamentali che distinguono senza possibilità d'errore un tiefling da un comune essere umano. È difficile trovare nel multiverso qualcuno disposto a fidarsi di questa razza planare, famosa per essere composta da individui malvagi, pericolosi e inaffidabili.

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La tiefling rimane per un attimo interdetta, con le mani sospese a mezz'aria dove poco prima si trovava il libro; mentre ti allontani, facendoti largo tra la folla che riempie l'intera piazza, ti fissa con sguardo confuso, per poi seguirti con passo svelto. La semplicità con cui riesce a trovare sempre un varco tra la fiumana di persone è disarmante: nel tempo in cui tu avanzi di un paio di metri, lei colma tutta la distanza a cui l'avevi lasciata.

« Tutto bene, straniero? » il tono è un misto di sorpresa e stupore. « Dal momento in cui hai messo piede qui, ti sei fatto un sacco di nemici, sai? »

Sorride, ma è in evidente difficoltà.

« Non credi sia meglio ripagare con la gentilezza un'offerta di amicizia? »

Con movenze sinuose, ti poggia una mano sulla spalla e tende l'altra davanti a te, voltando il palmo verso l'alto e piegando il polso fino a formare un angolo di novanta gradi con l'avambraccio.

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E va bene, ho capito che tipo di persona sei.

Sospiro sconsolato rallentando il passo.

Non mi lascerai più andare se non ti do retta, vero? Bene. Sentiamo, cosa mi proponi? Vorresti essere mia amica?

Solo ora noto la posizione del suo braccio.

Che diavolo vorrà mai dire questo gesto? Dovrei ricambiare?

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Più parli, più la tiefling ti guarda come se ci fosse qualcosa di sbagliato in te, come se si aspettasse una reazione completamente diversa.

« Cosa io propongo a te? » si porta una mano al collo per accarezzarlo lentamente. « Ma... »

Ti fissa intensamente, nello stesso modo in cui tu ti concentri su di una formula magica che non riesci a comprendere. Dopo qualche secondo, scuote la testa, tornando a sorriderti.

« Ricominciamo da dove abbiamo interrotto, che ne dici? »

Schiarendosi la voce con un colpetto di tosse che risuona quasi aggraziato, fa un leggero inchino con il capo e ripete le stesse parole con cui ti ha salutato appena ti ha incontrato, ricalcando il tono di ogni sillaba alla perfezione.

« Il mio nome è Jeskal, "straniero", il tuo? »

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Quando imiti il suo gesticolare, probabilmente risulti più ridicolo del dovuto: allontanando il collo all'indietro, la tiefling ti guarda con aria divertita. Appena accenni alla sistemazione, ti fa cenno di sì col capo e sul volto le si dipinge un'espressione calma e rassicurata.

« Ottimo » sussurra, muovendosi verso la folla. « Ti chiedo scusa per non aver capito subito »

Continuando a sorridere, si volta e, a passo sveltissimo, sguscia via nel grande ammasso di gente, sparendo dal tuo campo visivo senza lasciarti il tempo di reagire.

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Per raggiungere la locanda, ti fai strada a fatica tra un gran numero di creature di ogni genere: umani, elfi, gnomi, halfling, nani, tiefling e individui che ti sembrano una via di mezzo tra due di queste razze. Senza troppo stupore, ti imbatti frequentemente in razze planari che raramente hai incontrato durante i tuoi viaggi su Abeir-Toril: githyanki, githzerai, lamia e lucertoloidi, oltre a numerosi slaadi che, al contrario degli altri presenti, rimangono fermi al loro posto invece di camminare freneticamente per la piazza. In numero minore, ma comunque più di quanto ti potessi aspettare, incontri creature di cui hai solo potuto leggere storie e racconti sui numerosi libri che ti sono passati fra le mani durante la tua vita: bariaur, muscolosi centauri con la parte inferiore del corpo da ariete e due corna ricurve sul capo, mephling, figli umanoidi dei mephit disprezzati e rinnegati dai loro genitori, e strane specie di cui non riesci neanche a ricordare il nome. Per un istante, ti sembra di aver visto praticamente ogni essere vivente del multiverso.

Senza rendertene conto, sei arrivato all'ingresso della locanda. Spingendo la pesante porta, ti ritrovi in un ambiente che non ha niente a che fare con la confusa ressa in cui ti sei avventurato poco fa: pochi avventori occupano gli spogli tavoli della taverna e nessuno sembra interessato a scambiare una parola con gli altri presenti. Quando la tavola di legno si richiude alle tue spalle, incastrandosi nella parete con un tonfo, tutti puntano gli occhi su di te, per poi ignorarti e tornare a fissare il proprio boccale. L'enorme stanzona è nel complesso buia, avvolta in un'oscurità che ben si addice all'atmosfera tetra e lugubre del luogo. Un lungo bancone occupa il lato alla tua destra, tavoli circolari, bassi e rovinati, sono sparsi in tutto il resto della locanda. Tutti gli avventori indossano esclusivamente lunghe tuniche logore i cui colori variano dal grigio sbiadito al nero scuro: non puoi sbagliare affermando che questi siano i famosi Cinerei di cui hai a tanto letto durante i tuoi rapidi studi su Sigil.

Impalato davanti all'ingresso, ti senti profondamente a disagio e, come se non bastasse, nessuno sembra intenzionato a prendere una tua ordinazione.

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Che accoglienza... Oh, beh. Cerchiamo di trovare un posto dove sedersi.

Cammino quindi verso il bancone, cercando di fare meno rumore possibile, per poi sedermi alla sedia o al tavolo più vicino. Aspetto con evidente imbarazzo che qualcuno venga a prendere la mia ordinazione, ma nel caso non lo facesse nessuno cerco di attirare l'attenzione della persona più simile ad un locandiere.

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Gli sgabelli, come tutte le superfici del locale, sono ricoperti da uno spesso strato di polvere, meno evidente nei pochi punti in cui qualcuno ha recentemente poggiato i gomiti o un boccale: probabilmente nessuno ha mai pulito questo luogo dalla sua apertura. Forse per effetto dei tenui e rari raggi di luce che penetrano dalle minuscole feritoie nelle pareti poste a più di cinque metri d'altezza, persino le persone sembrano avvolte nella polvere. Tutti i tavoli attorno al tuo sono vuoti e ad accentuare maggiormente il senso di solitudine contribuisce la forma stessa delle superfici (incrostate di lanugine e piene di sudice chiazze solidificate): il diametro di quasi tre metri ti fa sentire completamente isolato rispetto al resto della taverna.

Aspetti per quasi un minuto che qualcuno ti si avvicini, ma nessuno dei presenti si alza dal proprio sgabello e il silenzio, interrotto solo da qualche raro sospiro e dallo strusciare delle pesanti tuniche, si fa sempre più pesante. Quando cerchi di individuare un possibile locandiere, complice anche la scarsissima illuminazione, tutti i Cinerei ti sembrano identici: lugubri figure avvolte in pesanti vesti polverose che lasciano scorrere il tempo, appoggiate con il mento sull'orlo del boccale o direttamente con la testa abbandonata fra le braccia sul tavolo.

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Ma che succede in questo posto?

Penso molto a disagio mentre intacco lo sporco sul bancone con un'unghia.

Forse non dovrei attirare l'attenzione, ma...

Mi metto a bussare piano sul legno del bancone, poi sempre più forte, ma senza esagerare. Se nessuno arriva comincio a chiamare ad alta voce il padrone di questo posto. Se ancora non dovessi ricevere risposta uscirei di nuovo in strada.

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L'unica risposta al tuo bussare è una breve serie di rauchi colpi di tosse dal fondo della locanda, a cui segue il rumore di forti manate sul petto. Quando chiami ad alta voce il proprietario, un uomo si alza sbuffando da un tavolo nel centro della stanza, avvicinandosi al bancone con passo lento, quasi trascinando i piedi sul pavimento. Dopo un paio di metri, le larghe maniche ripiegate sui gomiti gli scendono lungo tutto il braccio, fino a superare ampiamente le mani. Arrivato accanto a te, poggia gli avambracci sul tavolo, alzando svogliatamente gli occhi in direzione dei tuoi.

« Hai bisogno di qualcosa? » ti chiede con voce roca e polverosa. « Sei qui per un contratto? Posso darti 50 monete di rame per una firma immediata »

Il pallido volto dell'uomo è quasi più logoro e consunto della sua veste: gli zigomi scarni lo fanno sembrare più morto che vivo; i capelli scuri e arruffati sono l'unico a spetto che tende a dare una parvenza di vitalità alla figura complessiva. Oltre al viso, non riesci a scorgere nessun'altra parte del corpo del Cinereo, avvolto com'è nella pesante tunica grigiastra.

Spoiler:  
Non hai idea di che genere di contratto stia parlando.

Tiri:

Spoiler:  
Conoscenze (piani): 3+16 = 19
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Ma di che diamine sta parlando?

Ehm, credo che lei mi confonda con qualcun altro. Sono solo un cliente, volevo sapere se in questa locanda affittate camere e se sia possibile mangiare qualcosa.

Mi interrompo per qualche secondo, poi ricomincio a parlare

Ad ogni modo, di che contratto sta parlando? Sono appena arrivato a Sigil e non sono molto pratico, ma guadagnare qualche spicciolo può sempre fare comodo.

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Quasi infastidito dalle tue parole, l'uomo chiude gli occhi per un istante, scuotendo la testa e sbuffando controvoglia.

« Qui non abbiamo camere per "quelli come te" » sottolinea le ultime parole con disgusto. « Ma, se aspetti Gerod, forse ti preparerà qualcosa da mangiare »

Infila la mano nella larga tasca destra della tunica, estraendo un malloppo di fogli di pergamena ingialliti e consumati. Poggiandolo sul tavolo, fa scorrere l'indice sulle varie righe (scritte con calligrafia illeggibile e ormai cancellate dal tempo e dall'usura) e, senza darti tempo di leggere, riassume il contratto.

« In cambio di una somma proporzionata al tempo che ti resta da trascorrere in questa vita, quando i Raccoglitori ti troveranno tra le strade di Sigil e porteranno il cadavere al Morturario, noi Cinerei saremo autorizzati ad usare i tuoi resti per creare un servitore. Non preoccuparti, il processo non interferisce con l'approdo alla vera vita »

Estraendo un rozzo pennino dall'altra tasca e poggiandolo sopra ai fogli, ti fa un cenno di consenso con il capo.

« Vuoi firmare o no? »

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Guardo stranito quello che credo essere il padrone di questo luogo.

Prego? Dovrei autorizzarvi a COSA? Per di più, quale disperato firmerebbe un contratto senza leggerlo? Se me ne dà il tempo forse, e ripeto forse, lo firmerò. Credo che approfitterò dell'attesa prima che arrivi questo Gerod per dargli una scorsa, tanto non mi sembrate andare molto di fretta.

Dico in maniera scostante.

Credo inoltre che vi sarei grato se mi indicaste un posto in cui fanno dormire anche "quelli come me". Sono disposto a pagare l'informazione, se è questo che importa.

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