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I Nostri PG, Storie e Background


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Asrep Etnem, il mio primo PG Druido mezz'elfo

Un vecchio Druido trova, su di un prato nel proprio bosco, un ragazzo privo di sensi dall'età imprecisata, data dalla mescolanza della razza umana ed elfica. Il ragazzo, dopo le cure del vecchio druido, riprende i sensi ma non ricorda nulla di quello che è successo prima di allora. Il vecchio druido, avendo un malsano senso dell'umorismo, lo chiama Asrep Etnem (mentE persA). Gli oggetti trasportati dal ragazzo sono nascosti o buttati dal vecchio druido, tanto che nemmeno sa di averli posseduti. Ogni volta che il mezz'elfo impara qualcosa, ha delle visioni della vita precedente da Druido, e in una di queste memorie vede una donna, che sembra esserne la moglie e un figlio. Le immagini si sovrapponevano tra loro ma scorse persino un possente drago verde.

Decide di andarsene e rinunciare alla protezione del vecchio e del bosco per cercare di trovare una soluzione a quelle visioni e ritrovare la propria vita passata perduta.

Dopo innumerevoli avventure le visioni coinvolgono il vecchio druido, e il mistero s'infittisce quando viene a conoscenza che il vecchio druido ha perduto i favori divini perché malvagio. Mentre cerca di trovare la verità, combatte contro i propri demoni interiori, sempre pronti a interferire con i voleri divini.

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Ranger elfo, in un'avventura di pirati:

L’inizio della mia avventura lo conoscete, mi hanno ritrovato in mare, attaccato a un legno di barca.

Ero la vedetta della Floralis, la nave di mio padre, su cui era imbarcato anche mio fratello. Mio padre morì nella traversata dalla nostra isola all’isola di fronte a cui mi hanno trovato; una strana malattia lo ha portato via. Mio fratello sapeva che mio padre era malato, ma io no. La sua scomparsa è stata dolorosa, ma affrontata con molto rispetto e compostezza, in fondo è tornato all’elemento che più amava, il mare.

Mio fratello, un abile mercante, divenne capitano della nave. Un giorno però incontrammo una tempesta. Io, come secondo in comando, non avrei dovuto compiere grossi sforzi, ma essendo la principale vedetta mi arrampicai per legare le vele per far sì che non si strappassero, ma una volta sull’albero, una folata di vento e un colpo alla nuca arrivato da non so cosa o chi, mi fecero svenire e cadere in mare. Il viaggio di mio fratello dopo quest’isola, ne prevedeva altre, chissà se mai ci è giunto, e chissà cosa mi colpì quella notte.

Ma prima di andare per mare avevo un’altra storia: vivevo in un grosso villaggio con la mia famiglia, mercanti di oggetti in legno e artigiani. Io però sentivo un legame particolare con la natura, i boschi e il mare, così divenni guardiaboschi e guardiacoste. La vita non era molto tranquilla, soprattutto perché erano molti i cacciatori di frodo, i delinquenti e soprattutto per la presenza di un necromante: Bu-Belze, un mezzorco molto malvagio che nel cimitero abbandonato si divertiva a far rinascere i cadaveri e far apparire non morti. Al suo servizio vi erano anche giganti e costrutti che ci minacciavano e contro cui abbiamo molto lottato.

Non ero solo ad affrontarlo, con me vi erano un Nano Kimpling e un elfo, il druido Minius. Lottammo molto con Bu-Belze e più volte egli sparì nel suo rifugio per curarsi, un giorno però riuscimmo a sconfiggerlo e da allora la vita divenne più serena.

Per la mia prima spedizione, quella raccontata precedentemente, il druido mi fece un dono: un falco, Millenium, come aiuto e come animale da compagnia. La mia vita è ora legata a lui.

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Cheremone era cresciuto senza genitori nel villaggio di Rab’adak, entrambi erano morti di febbre alta quando lui era ancora neonato. Era stato allevato da uno dei saggi della tribù Goldor: l’anziano Musadari; egli si era preso cura di lui come se fosse stato realmente suo figlio e lo aveva fatto crescere forte e sano senza fargli mai mancare niente. Cheremone trascorreva molta parte del suo tempo, con la figlia del capo villaggio, era più giovane di lui di qualche anno e gli confidava i suoi più intimi segreti, da mesi ormai era innamorata di Neom’erak un giovane ragazzo della sua tribù ma suo padre, avendo già in mente un matrimonio con qualcuno di ben più importante, non lo accettava e faceva quanto in suo potere per impedire i loro incontri. Cheremone nutriva un profondo affetto per Aglavia e per quanto difficile, aveva fatto il possibile per assecondare i suoi desideri.

Mancavano pochi giorni al matrimonio che il capo villaggio Rahid aveva programmato per sua figlia, così Aglavia decise di scappare sulle montagne con il giovane ragazzo che amava. Cheremone aveva il compito di distrarre le sentinelle che circondavano l’accampamento permettendo così ai due ragazzi di scappare. In verità il piano non era ben congegnato e i tre si fecero raggiungere dalla squadra di ricerca che il padre aveva organizzato, la notte stessa. La condanna che dovettero subire fu tremenda, il giovane ragazzo venne pesantemente frustato il giorno seguente e Aglavia costretta a rimanere nella tenda fino al giorno del matrimonio. La condanna che doveva subire Cheremone fu lungamente discussa per giorni fino alla notte in cui Aglavia, realizzando che non avrebbe più potuto realizzare il suo sogno decise di togliersi la vita. Trafugò “Istmeor”: il pugnale rituale della tribù che suo padre, in qualità di capo villaggio tramandava di generazione in generazione. Il suicidio della giovane ragazza complicò irrimediabilmente tutto, fortunatamente per lui, il giovane Neom’erak era già stato frustato e poté così scampare la morte in quanto la legge della tribù non permetteva che un uomo potesse essere condannato due volte per lo stesso crimine.

Le cose rischiavano invece di volgere al peggio per Cheremone che da giorni aspettava un giudizio, era stato confinato e non poteva farsi vedere al villaggio se non scortato da due guardie quando andava a trovare il vecchio Musadari. Nei giorni immediatamente successivi alla fuga dei ragazzi, l’anziano uomo fu costretto a rimanere a letto per via di un’improvvisa e debilitante malattia, non poche persone iniziavano a pensare che per l’anziano fosse venuto il momento di ricongiungersi alla terra. Fu finalmente emesso il giudizio che condannava in modo inappellabile Cheremone all’esecuzione capitale per decapitazione, il capo del villaggio aveva individuato in lui la persona da accusare per aver organizzato la fuga della figlia Aglavia con il giovane, la fuga che aveva successivamente portato al suicidio della stessa e per la quale non si poteva lasciare che tutto passasse senza che qualcuno fosse giustiziato. Al di là delle accuse formali che furono mosse durante il consiglio degli anziani, non esisteva nessuna ragione plausibile per cui si dovesse responsabilizzare Cheremone dell’accaduto, la sua uccisione non avrebbe riportato in vita la giovane e non rispondeva a nessun ideale di giustizia, ma era l’unica iniziativa che Rahid riteneva plausibile, non per compiere la sua vendetta, ma unicamente per coprirsi dalla vergogna derivante dalla disobbedienza della sua unica figlia, perché avrebbe dovuto altrimenti ammettere che la situazione gli era sfuggita di mano e che aveva sbagliato nel non prestare prima la dovuta attenzione alle richieste della ragazza.

Musadari era ormai prossimo a spirare, non era questo però che lo preoccupava: aveva avuto una vita lunga e piena di soddisfazioni, aveva cavalcato insieme agli altri grandi guerrieri Goldor combattendo coraggiosamente ogni volta che si era reso necessario, da anni era entrato a far parte del consiglio dei saggi ed era diventato un punto di riferimento per tutti i giovani, il suo unico rammarico era di non essere riuscito a strappare alla morte la sua giovane moglie colpita dalla peste parecchi anni prima, per essere rimasto solo e senza un figlio a cui poter trasmettere la sua conoscenza. Aveva adottato Cheremone e adesso nel giovane raccolto al suo capezzale vedeva la sua discendenza, egli che in tutti gli anni trascorsi insieme non aveva mai smesso di imparare, di far tesoro dei consigli dell’anziano tutore, ora era condannato a morte dal consiglio della tribù e questo lo angosciava terribilmente. Solo l’ultimo desiderio di un anziano destinato a morire poteva salvarlo, e così fu. Musadari chiese infine che fosse concessa salva la vita al giovane come atto di clemenza verso il ragazzo e soprattutto di riconoscenza verso di lui, tutto il consiglio compreso il capo dovettero loro malgrado accettare quell’ultima richiesta e fu quindi ordinato a Cheremone di abbandonare l’accampamento Rab’adak per non poterci tornare mai più. Solo lontano dalla processione avrebbe potuto assistere al funerale del benamato padre adottivo e da quel momento non avrebbe più fatto parte della tribù dei Goldor. Non era più uno di loro, da quel momento sarebbe stato solo cenere nel vento. Windashes.

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Basilio Eudonio nacque da una nobile famiglia di Absalom; per 23 anni trascorse una vita tra gli agi e i piaceri che una famiglia ricca e benvoluta riuscì a garantirgli, almeno fino a che, per screditare il padre in lizza per una carica importante, non venne ingiustamente accusato di aver preso parte a festini di debosciati e di aver stuprato una donna. Costretto alla fuga per risparmiare alla famiglia il disonore di avere un figlio condannato in un processo farsa lasciò il paese via mare.

Proprio durante la fuga si risvegliarono in lui i poteri di stregone; esiliato e in disgrazia vaga ancora in cerca di notizie su Aroden e la Starstone, così da tentare la prova e tornare in città per cambiare le cose.

L'ambientazione è Golarion, come si può intuire.

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Afalais Ergos druido gnomo: campagna in pbem, ambientazione( accozzaglia di ere) giocata per circa un paio di settimane.... peccato perché era un Pg ben costruito

Afalais Ergos, era uno gnomo ben istruito all’arte della natura. Proteggeva, assieme ad uno sparuto gruppo di druidi, una porzione della Grande Foresta, ad ovest delle Montagne Infinite, a molti chilometri da Capodimonte.

La vita alla Grande Foresta era tranquilla, i pochi viaggiatori non costituivano un problema, gli animali erano felici e spensierati. I forestieri potevano tranquillamente avvicinarsi agli animali che questi non davano cenno di aver paura. Le poche persone che disturbavano la quiete della Grande Foresta, semplicemente non ci faceva più ritorno. Nemmeno a casa propria.

Afalais camminava, monotono, tra le sequoie e querceti quando s’imbatté in uno strano tipo. Se ne stava seduto all’ombra di una quercia e fissava qualcosa ai piedi di quest’ultima. << Forestiero, serve aiuto?>> disse lo gnomo avvicinandosi tranquillo a quest… non capiva se si trattava di un uomo, una donna oppure qualcos’altro

<< Tu! Servi la natura in un modo indescrivibile>> disse la strana creatura << Ma qui non servi a nulla.>> tacque un secondo di più per dare enfasi alle proprie parole

<< sotto le radici di quest’albero c’è tuo fratello, prendetene cura e cerca di capirlo: lui ti concederà la Verità>> Svanì.

Afalais, non seppe quando, ma la creatura proprietaria di quella magnifica voce, semplicemente svanì. Il Druido era uno gnomo che conosceva bene la magia, e quello a cui aveva appena assistito era superiore alle proprie conoscenze. Si avvicinò al luogo in cui prima c’era l’enigmatica figura ma non scorse nulla di strano, tranne un uovo.

Un uovo grande quanto lui.” E adesso pensò, che me ne faccio?” pensava Afalais, poi al posto dello gnomo prese forma un orso, un orso nero come la notte, prese l’uovo e si avviò verso la propria dimora.

Passata qualche settimana, nacque una creatura. Una creatura mai vista prima, sembrava una lucertola, ma camminava su due zampe, la chiamò Aragos.

Afalais l’accudì come se fosse un figlio e con essa crebbe pure lui! Gli insegnò tutto il possibile ma alla fine, la voce della verità non si faceva sentire. Le uniche voci che sentiva, sempre più insistenti erano quelle dei forestieri che parlavano di una società in grado di riesumare i ricordi assopiti.

Prese le sue poche cose e si incamminò verso l’origine delle voci, abbandonò la sicurezza della propria casa assieme ad Aragos.

Con i suoi 75 anni, ed era ancora giovane, aveva visto quasi tutte le creature del mondo, prima di fare radici nella grande foresta, ma la vita riserva sempre sorprese e insegnamenti. Incontrò la società cui membri venivano chiamati Sensiti.

Li chiese se potesse ricevere qualche informazione, gli stessi videro la saggezza negli occhi di Afalais e gli proposero di farne parte. Qui incomincio la sua avventura.

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Non sarà il massimo, visto che devo giocarlo tra mezz'ora, un'ambientazione creata dal master....

druido gnomo

Urug Ben è nato da una famiglia nobile. Dopo alcuni anni ha deciso di intraprendere una vita di avventura, la sua natura robusta ma debole lo ha aiutato a divenire uno dei più saggi intorno alla Grande Montagna Del Sacro guardiano. Un giorno Urug, stava bazzicando per il bosco ai confini con la Montagna Del Sacro Guardiano quando venne avvicinato da una figura incappucciata. Questi si chiamava Leveg, un druido della Montagna Del Sacro Guardiano, esso chiese a Urug quanto ci tenesse alla vita, e Urug disse: non sono io a decidere. La strana figura incappucciata tolse il copricapo, ne saltò fuori una figura femminile dalle forme incantevoli. Seguì un lungo dibattito e più di qualche volta Urug diede filo da torcere alla bellezza druidica.

Urug decise che la Montagna Del Sacro Guardiano diventasse la sua dimora. Qui apprese l’arte magica della natura e assieme a Leveg ottenne i privilegi di druido.

Una lunga cerimonia ufficiata solamente da Leveg, Urug, altri due gran druido e un’arcidruido, nella tenebrosa alba di plenilunio la nebbia si alzò spessa, gli uccelli smisero di cantare, i roditori di scavare e il vento calmò il proprio spirito. Un fuoco si accese e la terra cominciò a tremare, il vento soffiò forte, mentre fulmini squarciavano il cielo dando la benedizione a Urug offrendogli un fratello per la vita: un fulmine attraversò il fuoco, fendette l’aria e colpì la terra, quale vomitò Faregh, un cane da galoppo nero e grigio.

Passarono lunghi anni, e Urug si prestò ad addestrare il fidato Faregh per consentirgli di muoversi più agilmente tra un appostamento e l’altro. Ora Urug era considerato un druido saggio, potente delle sue arti magiche e molti chiedevano consiglio lui sulle più ostiche delle questioni, cercava di essere coerente e buono. Un giorno Leveg, la quale era abile come artigiana druida, relagò lui una sella magnifica, che consentiva lui cavalcare Faregh e trasportare i suoi pochi averi senza aver problemi di sorta.

Estroverso e allegro, Urug non cerca certo di passare in osservato, mantiene comunque una certa distanza da chi cerca guai, aiuta chiunque cerchi aiuto, ma alle volte si perde nei propri pensieri.

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Un ladro per un vecchio pbv:

Vann Carter

Parsuss, più che una città è una topaia, mantenuta a galla soltanto dalla corruzione, dal contrabbando e dalla prostituzione. Un fetore di decomposizione e di escrementi aleggia perenne sulla città, e questa calura di certo non migliora le cose; è cosa normale scaricare i propri rifiuti in strada, così facendo facilitano la vita ai ratti, che ormai hanno invaso tutta la città. Le case, sono costruite una sull’altra e affiancate a tal punto da non permettere il passaggio neanche di due uomini a cavallo, l’intera città è un intricato labirinto di stradine e viuzze, probabilmente se fosse scoppiato un incendio, prima di riuscire ad isolarlo avrebbe consumato tutta la città.

La cosa che peggiora tutti questi problemi, è la feccia che vi abita, puttan*, assassini e tagliaborse, le guardie cittadine poi, hanno l’aspetto più disonesto degli altri.

Una sola via è abbastanza larga da permettere il passaggio di un carro, la strada principale o “la malanotte” come la chiamano gli abitanti, attraversa tutta la città, dalla cinta di mura esterna fino a quella più interna.

Dopo avermi sentito parlare così vi stupirà sapere che sono un ladro, uno dei migliori anche, e che mia madre era una prostituta.

Sapete perché sono uno dei migliori? Naturalmente non sarò il più agile, svelto o furbo della città . . . vi chiedete ancora il perché? L'anonimato! Nessuno andrà mai ad urlare da quelle fott**e guardie: Mi hanno derubato, è stato Vann Carter, arrestatelo! No! Per questo non mi prenderanno, perché non mi interessa rivendicare un furto nella casa più impenetrabile di Parsuss.

Questa è la migliore arma di un ladro!

Ora immagino vogliate sapere qualcos'altro su di me . . . beh, dobbiamo cominciare dall'inizio; mia madre, Elenie, nacque povera ed irrimediabilmente finì sulla strada, crescendo ebbe la fortuna di essere “ingaggiata” dal bordello La Rosa Blu, dove la sua bellezza la rese famosissima e ricercata dagli uomini più ricchi della città . . . così quando la proprietaria della Rosa Blu morì senza eredi lasciò tutti i suoi averi e possedimenti alla sua ragazza preferita: Elenie.

Lei ristrutturò il bordello e lo rinominò La dama in nero, trasformandolo poi nel più famoso di Parsuss, roba da ricchi . . . infine da un’avventura con un mercante straniero ebbe due gemelli: io e mia sorella, Vann e Mia Carter.

Tutto questo è successo vent’anni or sono, ora mia sorella si chiama Mia White; ha sposato Arthur White il capitano delle guardie, un tipo tutto fiero e impettito . . . se sapesse il lavoro che faccio mi avrebbe già buttato in cella, nonostante tutto credo di essergli simpatico. Mia grazie alle vaste conoscenze di nostra madre è riuscita ad aprire un negozio di oggetti magici “L’ampolla incantata”, rifornita dai migliori mercanti sulla piazza. E grazie all’intercessione di Mia con Arthur sono riuscito a farmi assegnare una vecchia torre di guardie in disuso nella cinta di mura intermedia, ci sono volute molte settimane per rimetterla in sesto ma ora niente più spifferi, il camino funziona di nuovo ed il tetto ha smesso di gocciolare quando piove . . . dall’esterno ha sempre lo stesso aspetto fatiscente di quindici anni fa’, meglio non attirare sospetti.

Inoltre ho un altro nascondiglio, il mio magazzino più che altro, al quarto ed ultimo piano della dama in nero ho modificato il sotto-tetto lasciando come unica uscita una botola sul tetto; qui nascondo la refurtiva.

Ultimamente si è aggiunta alla famiglia una gattina nera, ho provato a lungo a scacciarla ma alla fine mi sono arreso e mi ci sono affezionato, l’ho chiamata Erya.

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Pathfinder Eberron, con Krinn come master (credo ci sia ancora in questo forum...è più o meno in tutti)

Morfeo (alias Khalid Madani)

Khalid Madani è originario di Riedra, e ha vissuto la prima parte della sua vita come servitore degli Ispirati, più o meno come ogni cittadino di tale parte di Sarlona. Viveva come contadino, una vita semplice e generalmente piatta. Improvvisamente, venne senza alcuna motivazione apparente preso da un gruppetto di Ispirati e portato in uno dei loro templi, dove uno spirito quori fu punito venendo imprigionato in Khalid, con grande terrore per questi. Diventò un elan. Questo evento straziante iniziò a cambiargli la vita e aprirgli gli occhi. Iniziò a vedere la malvagità degli Ispirati, sebbene inconsciamente, ed ebbe paura di addormentarsi per quei suoi pensieri proibiti. Sapeva che “lassù” ovunque quel lassù fosse qualcuno poteva guardare i suoi sogni…e trarne le giuste conclusioni, e decise di voler imparare a sognare indipendentemente.

Ci fu nella sua città una battaglia tra ispirati e kalashtar, dove i primi rimasero temporaneamente sconfitti e Khalid venne preso in ostaggio dai kalashtar. Compreso che non volevano fargli del male, seppure fossero sospettosi e crudeli con lui, Khalid supplicò il telepate Uudjav [VU- U - DIAV] di portarlo con sé ad Adar. Dopo aver dimostrato la sua sincerità ad Uudjav conducendo lui e i suoi compagni in un posto al sicuro dalle sentinelle, la sua mente venne sondata dallo psionico, ed Uudjav decise che valeva la pena di rischiare portandolo con sé. Venne portato ad Adar a missione compiuta, e dopo circa una settimana di sonno leggero e agitato, Khalid Madani poté finalmente dormire tranquillo, e cambiò il suo nome in Morfeo, per simboleggiare la sua nuova identità. Venne alfabetizzato, e diventò avido di conoscenza. Gli vennero insegnate le arti marziali, come per tutti gli Adaran, venne avvicinato al il-Yannah e iniziò a lavorare come bibliotecario, studiando il mondo che avrebbe conosciuto un’ottantina di anni più tardi. Uudjav (chiamato da allora “Maestro Uudjav”) lo aiutò a sviluppare i suoi poteri psionici, sebbene si accorse che la sua più grande propensione era per la sfera della conoscenza e della percezione, più che per il puro potere mentale.

Carattere: Curioso, generalmente calmo ma mai veramente quieto. Razionale. Percettivo. All’inizio della sua vita come elan, Morfeo era paranoico, ma la disciplina di Adar e la riabilitazione hanno fatto sì che la sua paranoia non impedisse il suo rapporto con gli altri e che si trasformasse più in prudenza. Morfeo è spesso intento a ragionare su questioni filosofiche. Morfeo disprezza il servilismo, il dogma e la fede cieca, perché gli ricorda la sua vita in Riedra. Anche se da fuori può sembrare che sia insensibile, al suo interno invece c’è spesso una cascata di emozioni.

La morale secondo Morfeo. Mantieni la parola data, quando possibile. Sii gentile con chi ti fa un piacere. Non avere pietà con gli sciocchi, ma sopportali e guidali se ci riesci. Ci sono deboli che non hanno modo di difendersi, ed è tuo compito fare tutto ciò che è in tuo potere per loro, nei limiti del ragionevole. Chiedi rispetto, porta rispetto. Evita di allearti con il male, tantomeno con i maledetti ispirati e i maledetti quori. Ognuno ha diritto a vivere i suoi sentimenti, nessuno ha il diritto di oltrepassare la tua libertà (evitare dominazione), a meno che tu non abbia fatto qualcosa di male per meritarlo.

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Classe stregone (con uno spiccato amore per la piromanzia :D) Razza umano

Cos'è il fuoco? Quello che a prima vista sembra essere soltanto una manifestazione luminosa del calore , in realtà è molto di più. Il fuoco nell'alchimia rappresenta la vita, ma è anche il principio della distruzione e del caos, come ha imparato a sue spese Alester. All'età di 8 anni, dopo aver subito l'ennesima punizione dal padre, scopre di poter manipolare il fuoco, può spegnere le candele e farle riaccendere, far apparire piccole fiammelle in aria di pura luce. Ma la sua carriera nel mondo della magia è destinata a perire giovane, il padre desidera che lui diventi un cavaliere e vede di cattivo occhio l'uso della magia. Ma gli ordini del padre non possono fermare il richiamo che la magia ha su Alester e il ragazzo continua, di nascosto, a praticare l'Arte. Tuttavia creare luci ormai suscita ben poco interesse nel ragazzo e, all'età di 10, grazie all'aiuto della madre, riesce a procurarsi il suo primo libro di magia. Ma quello che doveva essere il suo regalo più grande si traduce in realtà in un fallimento, il libro è a dir poco criptico e Alester non ha la più pallida idea di cosa significhino gli strani glifi che dovrebbero dargli il potere di imbrigliare il potere magico. Non si rende continua a studiare, cercando nelle librerie della casa della madre qualcosa che possa aiutarlo a controllare i suoi poteri che nel frattempo sono cresciuti esponenzialmente... Ora non fatica più a tenere accese le luci , ma dove prima si formavano innocue fiammelle, adesso genera fiamme bollenti dalla punta delle dita quando è arrabbiato, cosa che ormai accade spesso. Suo padre lo considera un mostro ed è solo grazie a sua madre che è ancora vivo, ne è certo. Accetta quindi con accondiscendenza di andare al castello di suo zio per continuare l'apprendistato forzato al cavalierato. qui passa gran parte del tempo in camera sua, pregando Mystra (Di cui ha letto molto durante il suo studio della magia) di uccidere suo padre. Le sue preghiere non si avverano, ma almeno gli offrono una speranza a cui aggrapparsi, esile forse come una tela di ragno, ma sempre speranza. A 16 anni torna per la prima volta dopo 6 anni a casa, ma qui lo attende solo una tragica notizia: sua madre è morta e suo padre lo ha ripudiato per il suo nuovo figlio Peter. Ora l'odio contenuto a stento per 8 anni non può essere contenuto e Alester sa che ora il fuoco gli obbedirà: lo sente parlare a cena, una piccola voce che gli sussurra parole finalmente comprensibili e quando finalmente giunge la sera , quello che doveva essere solo un pensiero maligno si trasforma in Inferno. Il fuoco è ovunque, ma non brucia Alester, poiché ne è lui la causa: un bagliore sinistro gli illumina gli occhi mentre, avanzando lentamente per quella che era la sua casa, osserva la servitù cercare di spegnere il fuoco. Ma non ci riusciranno, di questo è certo Alester, perché tutto è avvenuto quando era protetto dall'oscuro manto della notte. Persino suo padre dormiva... Lui è stato il primo a morire, e ora moriranno tutti. Esce e si dirige al giardino alberato che senza le cure di sua madre si è lentamente trasformato in un contorto intrico di rovi. Vorrebbe farlo tornare allo splendore di un tempo, ma non ne ha le forze, la magia di prima lo ha come prosciugato. Riesce solo a lanciare qualche debole raggio di gelo a bloccare alcuni tentacoli di fuoco che si stavano avvicinando al Giardino Segreto: quello deve rimanere intatto, in memoria di sua madre, si inoltra sempre di più nel piccolo bosco fino a raggiungere la radura interna. Quello era il vero Giardino Segreto: un giardino nel giardino, un segreto fra sua madre e lui. Ma qualcosa è cambiato, un blocco di marmo bianco sorge al centro della radura, accanto al piccolo stagno dove un tempo fiorivano le ninfee. Una tomba. Quella di sua madre. Coglie un fiore, un'orchidea selvatica, unica superstite di quello che era una volta un piccolo angolo di paradiso, e la depone sulla tomba della madre. Vorrebbe fare di più ma non ne ha le forze. Trattenendo le lacrime si volta ed esce dal Giardino e vede per la prima volta quello che la sua magia ha causato: quella che pochi minuti fa

(ma erano davvero passato solo così poco tempo)

era una delle più belle case di un ricco mercante, era ridotta in un ammasso di macerie ed era tutta colpa

(di suo padre, solo sua)

sua,

(perché suo padre non capiva)

se solo avesse provato a capire, forse

(era LUI la causa della sua morte, tu non centri)

questo non sarebbe successo

(SI! sarebbe accaduto ugualmente)

La voce nella sua testa continua a tormentarlo, quella voce che un tempo trovava così confortante, perché era ora così fredda e distante. Urla, chiude gli occhi e spera che quanto accaduto sia solo un'illusione, che tutto sia accaduto nella sua mente, ma quando li riapre lo scenario non è cambiato: la casa è ancora distrutta e le ultime lingue di fuoco si stanno estinguendo consumando i resti di qualche antico tappeto o prezioso tavolo. E quando la disperazione finisce rimane solo la fredda consapevolezza. Il fuoco continuerà sempre a sussurrargli all'orecchio, forse non più come una tenera amante, ma comunque come un amico, pronto a sorreggerlo nel suo viaggio, sa che per quanti incantesimi imparerà, non potrà mai e poi mai abbandonare il fuoco, perché è ormai parte di lui, ma questo va bene, gli ricorderà per sempre cosa ha fatto, un monito indelebile inciso a fuoco nella sua anima.

Spero che non sia troppo noioso

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Altro Background Classe: Mago (Divinatore) razza: Umano

La sensazione del vento sopra il volto… La gelida carezza del vento di Auril… Il dolce frusciare della veste che sbatacchia nell’aria… L’amato profumo del freddo…

Tutto questo e ancora di più si può provare a cavallo di un drago, le più maestose e perfette creature del cielo, le incarnazioni stesse delle parole “Aria”, “Vento”, “Libertà”, “Potere”. E lui le stava provando. Era a cavallo di un drago! Apre le braccia, godendosi della potenza che faceva vibrare l’aria. Un grido di felicità e di sorpresa quando la sua cavalcatura decide di cimentarsi in una picchiata. Si stringe sulla pelle corazzata di lucide scaglie color perla, per evitare di essere sbalzato via, ma lo fa senza effettivo timore. Non prova paura, solo una sorta di piacere folle, che sovrastrava tutto. Persino la naturale e logica paura che coglierebbe una persona se si ritrovasse a cadere da svariate leghe dal suolo. Perché oltre al divertimento, c’è un’altra sensazione che lo spinge a scacciarla. Fiducia nel suo drago, fiducia in se stesso e fiducia in ciò che li lega il…

« DRACONOMIOCON!” » Una parola che risuonò forte nell’aula avvolta nel più totale silenzio. Poi le risate dapprima timide, poi via via sempre più forti. Stava dormendo… E sognando probabilmente, peccato che le aule dell’accademia non siano il luogo migliore per farlo. Si sedette mentre ogni fibra del suo corpo avvampa di vergogna, pregando e sperando che un incantesimo lanciato male nelle altre aule potesse far si che il pavimento lo inghiotta. Attaccati alla sua veste Merenwen e Daeron la stavano strattonando in tutte le direzioni… Il vento gelido che faceva ondeggiare la veste quando “cavalcava” il drago. Il primo, un grosso gatto color fulvo, vedendo che era sveglio, saltò sulle gambe del suo padrone. La seconda, una donnola color viola-grigio, rimase invece accanto ai suoi piedi, lasciando la veste, adesso tutta bucherellata sull’orlo a causa degli artigli combinati di quei due famigli «Non proprio il momento migliore per dormire no Arthur?» L’unica persona che non ha riso, ma che adesso lo sta guardando, nascosto dietro un libro alzato, con un ghigno da iena «Stai zitto Leonard» Replicò con la voce impastata dal sonno , troppo stanco perfino per battibeccare con uno dei pochi veri amici che si è fatto lì all’accademia. «Almeno potresti ringraziarmi» La risposta del secondo ragazzo non tardò ad arrivare «Eppure sono stato io a chiedere a Merenwen di svegliarti e tu… Tu mi ricambi con la tua fredda e gelida…» «Mai pensato di darti al teatro? TI riesce naturale immedesimarti nelle tragedie» La svogliata risposta del mago, mentre trafficava con qualcosa nelle tasche «La prossima volta ti lascerò dormire, e, per la cronaca, si può sapere perché diavolo frequenti le lezioni se per metà del tempo dormi?» Il mago non rispose, non subito almeno, troppo impegnato a cercare qualcosa nel suo grimorio «Tranquillo, faccio io…» Leonard bisbigliò a mezza voce alcune parole, muovendo nel contempo le dita. In breve le orecchie del vecchio mago che stava noiosamente spiegando l’utilità della divinazione, si sarebbero riempite di un fastidioso ronzio. Abbastanza leggero da non essere notato subito, sufficientemente alto da permettere ai due di chiacchierare senza rischiare di essere scoperti. E fu esattamente quello che fecero. Fregandosene altamente del fatto che erano a lezione, mentre i loro famigli si inseguivano fra le sedie e i piedi dei presenti, in una corsa senza fine. La donnola che insegue il gatto, il gatto che insegue la donnola.

Erano molto simili sotto ogni aspetto, la corporatura, il carattere, tutto, e non era raro che qualcuno gli scambiasse per fratelli. Ma ciò che più li accomunava era la passione per la magia. Seppure sotto diversi aspetti. Arthur era un mago, talvolta freddo e calcolatore, ma comunque fin troppo distratto nei momenti meno opportuni, per usare la magia doveva necessariamente studiare. Leonard era uno stregone, impulsivo, brillante e con la capacità naturale di modellare a proprio piacimento la trama, una capacità che riteneva più un modo per divertirsi che altro. Quello che tutti si chiedevano era perché diavolo entrambi studiassero la divinazione. Chiedendolo a Leonard la risposta sarebbe stata “Perché non è difficile… basta agitare un pendolo e muovere uno specchietto e tutti ti considerano un mago migliore degli altri… E poi Arthur studia qui…”. Arthur avrebbe invece risposto “Perché mi hanno incastrato: all’inizio ti fanno illudere che riuscirai a predire il futuro o cose del genere, poi si rivela per quello che è… Ma almeno sarà utile per trovare i draghi… E poi Leonard studia qui…” Questo all’età di 13 anni…

E intanto continuavano i loro studi, trascurandone alcuni, concentrandosi su cose che la maggior parte dei maghi riteneva poco più che un trucchetto per incantare i bambini, come farsi che i propri incantesimi assomiglino a serpenti (per Leonard) o fiori cristallizzati (per Arthur) oppure come usare incantesimi esistenti per inventare nuovi passatempi.

Alla fine però il tempo dei divertimenti e degli scherzi ha sempre vita breve… L’ultimo anno, il più difficile fu anche quello più noioso…. Niente allenamenti di nascosto o partite a scacchi o altro, solo studio, studio e ancora studio… Almeno per Arthur, e sebbene Leonard tentasse in tutti i modi di aiutare l’amico, il differente approccio alla magia dei due rendeva quell’anno ancora più insopportabile e lungo. Alla fine l’esame fu quasi una liberazione: niente più studi, niente più nottate insonni passate a studiare. Solo il caldo tepore dell’estate e giornate passate all’ombra delle querce del giardino dell’Accademia. Poi l’inevitabile: la loro separazione… Esattamente al contrario di quello che tutti si aspettavano: con Leonard che rimaneva all’Accademia per approfondire gli studi, e Arthur che invece se ne andava, senza una vera e propria motivazione. Destinazione del suo viaggio ignota a tutti tranne che ad una persona.

Ps, so che assomigliano più a racconti che a veri e proprio BG, ma li uso anche per allenamento per la scrittura :cool:

PPS @Latarius ... Sei un genio fine... Non c'è altro da dire :)

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ecco alcuni dei personaggi che ho giocato, tutti in Forgotten Realms

Thamior stregone mezzelfo

nato nel Cormanthor, ha la capacità di vedere alcuni spiritelli che lo guidano

durante l'avventura si scopre che in realtà viene da un piano materiale alternativo (per la precisione il piano dell'ambientazione di warhammer) ed è un mezzo asrai.

per varie vicissitudini muore e, al cospetto di Kelemvor viene a prenderlo Isha (divinità elfica del mondo di warhammer) e gli da la possibilità di ritornare in vita come elfo puro

ritornato nel Faerun come elfo, continua le sue avventure e si specializza nella magia draconica, acquisendo anche un cucciolo di drago di rame come famiglio

terminate le sue avventure, ritorna nel Cormanthor per studiare meglio i draghi e la loro magia

Godric chierico/tecnofabbro gnomo

è uno gnomo di Lantan, chierico di Gond ed è specializzato nella costruzione di automi

il suo automa personale è stato distrutto il primo giorno in cui l'ho usato XD

in realtà non ho usato molto questo pg quindi le sue avventure non sono poi così eccitanti ^^"

Shinnach derviscio kitsune (è un po' particolare perchè col gruppo siamo passati a pathfinder, cmq è un umanoide mezzo volpe bardo specializzato nel combattimento rapido con la scimitarra, simile al derviscio di D&D)

viene dal mondo di Golarion (quello di Pathfinder) ma per vicissitudini misteriose (che il master mi deve ancora far scoprire!!) è stato ritrovato in fasce nella foresta del Cormanthor dove una vecchia compagna di Thamior, un'elfa selvaggia esploratrice, lo trova e lo alleva nel suo clan, spacciandolo come elfo vista la capacità trasformista dei kitsune

viene addestrato da un membro del clan all'uso della scimitarra e parte all'avventura con la madre adottiva

(in pratica abbiamo ripreso l'avventura del gruppo di Thamior un centinaio di anni dopo e la mia amica ha tenuto la sua elfa, ormai piuttosto vecchia e tutta acciaccata mentre io ho cambiato con questo nuovo pg)

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Mi ero dimenticato di questo...

Classe Bardo

Razza Umani

Il castello, sede dell'ordine dei cavalieri del giglio risplendeva ancora dell'antica gloria che aveva in passato. I tetti che si dicevano essere d'oro, mandavano bagliori luccicanti nella mattina, e i vessilli color bianco garrivano al vento. Ma Elisabeth, secondogenita del Marchese di Fiddien, capo dell'ordine dei cavalieri del giglio, non era in grado di apprezzare l'imponenza e l'antica bellezza del castello sua dimora anche se si trovava a poca distanza da esso, nel giardino. Questo perché i suoi occhi erano incapaci di vedere da quando lei aveva cinque anni

Per lei tutto era un indistinto universo avvolto dalla più totale oscurità, nel quale, sebbene avesse più volte cercato di immaginare il castello, spiccava solo una cosa: Il suono del suo flauto. Lo strumento di acciaio ora era riposto sulle sue gambe, sopra il vestito di seta che le avevano detto essere verde mentre, seduta su una delle panchine del giardino, si godeva il cinguettio dei pettirosso al mattino tentando di trovare l'ispirazione per un nuovo componimento. Prese in mano lo strumento e ne appoggiò l'imboccatura sulle labbra, prima di sentire un fruscio alle sue spalle.

Con una agilità decisamente poco adatta ad una lady, ruotò il flauto fra le sue dita, finendo per tenerlo come se fosse una spada, ruotò il busto e puntò la punta dello strumento verso il petto della persona alle sue spalle. La benda che aveva sugli occhi (In modo che nessuno notasse gli occhi terribilmente martoriati dalla malattia che le aveva strappato la vista) seguì la sua traiettoria con un piccolo fruscio.

-Non sta bene avvicinarsi di soppiatto ad una Lady, Alois- disse al fratello

-Come facevi a sapere che ero io?- Fu la risposta che udì. Probabilmente stava sorridendo, visto il tono. Elisabeth allontanò il flauto traverso e lo ripose di nuovo sulle sue ginocchia

-Solo tu ti avvicini di spalle, e soprattutto hai una cadenza di passi ben precisa...- rispose con un sorriso. Le piaceva la presenza di suo fratello, più grande di lei di due anni e già cavaliere del giglio a tutti gli effetti, un onore che a lei non sarebbe mai toccato.

-Stavi suonando?- lo sentì chiedere mentre si avvicinava. Percepì la sua presenza al suo fianco.

-Tentavo, vuoi ascoltarmi?- Le dita stavano accarezzando la superficie liscia e perfetta del flauto -Ma ad una condizione, mi fai fare un paio di tiri con la tua spada- Il fratello le aveva insegnato di nascosto come usarla, ma non ne aveva una sua.

-Condizioni accettate- Seguì una piccola risata divertita. La ragazza sorrise, poi accostò di nuovo lo strumento alle labbra, posizionando le dita sui fori con delicatezza. Prese fiato e soffiò dolcemente nello strumento, le dita che aprivano e chiudevano sapientemente i fori. La musica che ne uscì ricordava vagamente il canto degli uccelli che cinguettavano negli alberi intorno a loro, abbinandosi al loro canto in una dolce sinfonia che durò alcuni minuti. Un ultima nota e posò lo strumento

-E ora la tua parte dell'accordo- Disse mentre riponeva lo strumento nella sua custodia. Elisabeth si alzò e tese la mano aspettando che il fratello le passasse l'impugnatura. Uno stridio, poi la sensazione del freddo metallo sulle dita. Le chiuse sull'elsa e cominciò l'allenamento, seguendo le indicazioni che le dava Alois. Quel piccolo paradiso che era il suo mondo aveva meno di un paio di ore di vita ancora.

Cominciò la sera. Elisabeth stava camminando per i corridoi ora semideserto dopo che l'ordine aveva perso gran parte della sua antica gloria, quando sentì le grida provenire dalle mura. Con il flauto come sempre nella borsa che teneva al fianco si diresse verso la direzione da cui provenivano le grida. Sentì gridare qualcosa, ma non e comprese il significato. Continuava a camminare per i corridoi contando mentalmente i passi quando qualcuno la bloccò

-Sei impazzita, dove ti eri cacciata, ti stavamo cercando ovunque- Suo fratello, dal tono di voce terribilmente agitato. Tentò di rispondere qualcosa, quando udì l'esplosione dal piano di sotto. Alois imprecò. -Andiamo, qui non è sicuro- Cominciò a tirarla per il polso, trascinandola per le scale.

-Che sta succedendo? Cosa sono le esplosioni?- La voce di Elisabeth si udiva a stento sotto il fragore delle esplosioni.

-Il castello è sotto attacco, non so i dettagli, mi spiace, ma devo portarti fuori, ordini di nostro padre- Le urlò di rimando suo fratello. In breve tempo si ritrovarono fuori, nel giardino. Sotto i piedi Elisabeth poteva sentire l'erba frusciare ad ogni suo passo, mentre correva in quel mare di oscurità che era il suo mondo, fuori dai confini del castello. I rumori si fecero più flebili, forse per la distanza, o forse perché non c'era più nessuno in grado di emettere suoni. Una voce si alzò nelle tenebre parlando in elfico. Uno dei vantaggi di essere ciechi è che hai una quantità di tempo libero praticamente illimitato. Elisabeth lo aveva utilizzato per imparare a fare un po' di tutto, dal parlare lingue al suonare il flauto al maneggiare la spada

-Arrendetevi, e vi sarà concesso di vivere- Elisabeth si bloccò immediatamente, e suo fratello fece altrettanto, ma solo per sfoderare la spada e bisbigliare all'orecchio della ragazza

-Rimani qui- le lasciò le mani, poi cominciò il cozzare delle spade, mentre cominciava a piovere. Alcuni gemiti di dolore, ma lei non sapeva a chi appartenessero, poi un grido strozzato. Strinse le dita sulla borsa che conteneva il flauto mentre la pioggia le bagnava i vestiti.

-Stupido umano- Altre parole in elfico, e per Elisabeth fu come se il mondo le fosse caduto addosso. Non si accorse nemmeno di cadere a terra, mentre la consapevolezza che suo fratello era ferito, o forse peggio, morto, la schiacciava come un macigno. Silenziose lacrime cominciarono a bagnare la benda che le copriva gli occhi. Udì qualcuno avvicinarsi a lei, poi un sibilo, un altro rantolo e qualcuno che cadeva a terra. Qualcuno parlò in elfico, forse un capitano, perché ordinò a qualcuno di reagire, prima che le sue parole venissero stroncate da un altro sibilo. Frecce, intuì Elisabeth, poi un urlo squarciò la notte

-Pagherete per questo! Tyr, donami la forza per sconfiggerli- Un altra voce si unì all'invocazione del mancino, questa volta però Elisabeth non comprese le parole, ma comprese la musica che seguì. Eterea e bellissima, al tempo stesso malinconica e felice, delicata, ma decisa. Una musica che lei non sarebbe stata in grado di uguagliare. Alcune urla, poi il clangore delle spade che cozzano e tutto finì, lasciando posto al silenzio, rotto solo dai singhiozzi della ragazza, ancora in ginocchio sull'erba che si stava facendo via via sempre più viscida mentre la pioggia continuava a battere senza sosta. Si sentì toccare la spalla

-Stai bene?- La ragazza sobbalzò alla voce e al tocco sconosciuto, mentre la mano correva verso il flauto e lo puntava nella direzione da cui proveniva la voce -Credo che quello non ti servirà a molto- Le rispose la voce. Una voce maschile, gentile. Abbassò il flauto e a tenoni cercò la custodia.

-Dov'è Alois?- chiese con voce rotta -Dov'è?- Altre lacrime si correvano lungo le sue guance, gli occhi ciechi che si spostavano inutilmente alla ricerca del fratello. La benda ora era scivolata via e le cingeva il collo come una sciarpa -Io non posso vedere, per favore ditemi come sta...- La voce esce a fatica dalle labbra scosse dai singhiozzi

-Muoviti Alexander, non è per questo che siamo qui...- Una seconda voce, più musicale, ma al tempo stesso più dura

-Un attimo... Shireen ha già finito all'ingresso?- Il primo uomo rispose alla seconda voce, poi si rivolse di nuovo a Elisabeth -Forse è meglio se sei cieca, non è un bello spettacolo- La mano sulla spalla si spostò, scivolando via mentre anche la presenza dell'uomo si allontanava. Elisabeth afferrò la mano dell'uomo

-Io voglio sapere come sta... vorrei vederlo...- La voce le usciva strozzata mentre tentava di cacciare indietro le lacrime -Non so nemmeno che volto abbia... io... lui è mio fratello, il mio unico fratello...- le dita persero forza e lasciò la mano dell'uomo. Sentì un sospiro, poi di nuovo quella musica celestiale

-Se è quello che desideri davvero posso ridarti la vista, ma preparati al peggio, il mondo non è una vista gradevole purtroppo- Con queste parole le si avvicinò di nuovo e le toccò il volto, con una carezza leggera, poi si riallontana -Arrivo- Le ultime parole rivolte alla seconda voce.

Elisabeth era senza parole mentre osservava le sue dita, gli occhi che riacquistavano nuovamente a vista. si volò verso le due figure, due semplici sagome scure che sparivano nell'oscurità, poi si voltò nell'altra direzione. Davanti a lei c'erano una decina di elfi, alcuni trafitti da frecce, altri orribilmente mutilati, ma fu un altro corpo a riempire i suoi occhi di orrore. Suo fratello, l'unico umano in quella strage era riverso a terra, il petto sguerciato in più punti. Si alzò tremante e vi si avvicinò, per poi sedersi al fianco del fratello, osservandone per la prima volta dopo anni il volto. Si era fatto crescere la barba, bionda come i suoi capelli, in un pizzetto curato. Accarezzo il viso e poi lasciò che le lacrime scorressero libere, silenziose, l'unico rumore nella radura la pioggia che continuava a cadere incurante del suo dolore e della morte. Crudele.

Nessuno arrivò dal castello, nessuno gridava, nessuno sembrava più in vita al forte. Sempre piangendo, prese la spada e il fodero, osservandone per la prima volta l'elsa e la lama, sfiorò nuovamente il volto di Alois e mormorò una preghiera. Poi si alzò, guardò un ultima volta la radura e i corpi distesi sull'erba fradicia

"Riempi i tuoi occhi di questo orrore, perché non dovrai dimenticare, mai!" si fissò il fodero al fianco, infilando la spada al suo interno. Poi raccolse il flauto, osservando con occhi pieni di lacrime e stupore le forme ormai così familiari dello strumento, poi semplicemente cominciò a camminare, senza una meta precisa, sola…

Di nuovo, non proprio un BG....

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  • 3 settimane dopo...

Valandor, mezz'elfo druido.Tutto iniziò con l’abbandono di Valandor, alle porte di un villaggio, vicino al tempio di un dio qualsiasi. La madre umana non riusciva a comprendere il motivo della sua lenta crescita. Senza marito, ebbe un’avventura amorosa con un uomo bellissimo, con gli zigomi alti e un grazia degna di un principe. Ella ebbe un figlio, da quella “scappatella”, ma dopo cinque anni il bambino ne dimostrava la metà. Decisa di liberarsi di quel bambino e affidarlo alle mani di un Dio, non sapendo ne leggere ne scrivere e avendo paura del giudizio dei compaesani, Sara, lo abbandonò in un vicino villaggio, sotto il tempio di Obad-Hai. Lasciando come eredità un ciondolo, simbolo della propria famiglia: una rosa che si arrampica su di un martello.

Il ragazzo crebbe sano e forte. Apprese l’arte di colloquiare e rapportarsi alla gente. L’unica cosa che il chierico di Obad-Hai non tollerava era la propensione di Valandor per la caccia. Infatti, molto spesso, il ragazzo andava nel bosco più vicino a cacciare. Non cacciava con archi, lance o giavellotti ma ritornava molto spesso con prede sufficienti a sfamare l’intera chiesa, che comprendeva due chierici e quattro chierichetti.

Un giorno, Valandor, stava camminando alla ricerca di una preda quando vide un enorme palco di corna spuntare dalla vegetazione. Si avvicinò di soppiatto e appena sbucò dal cespuglio vide che non si trattava di un cervo, ma di un uomo, un anziano con uno strano elmo fatto di corna di cervo. Costui lo chiamò per nome e gli disse che lo stava aspettando. Redagar, questo era il nome del druido, lo accolse come un figlio e gli insegnò le arti magiche della natura e come rapportarsi con gli animali.

Valandor si rivelò un valido allievo e in un plenilunio, il rito di affiliazione si completò, trovando in un lupo un fratello mai avuto. Redagar spinse il ragazzo a ritrovare la propria strada, e con rammarico lasciò il ragazzo compi il proprio destino come “Druido del Sacro Bosco Dei Lupi”. L’arcidruido consegnò lui un’armatura di legno, un bastone e un ciondolo col simbolo di Obad-Hai. << Va>> gli disse << E scopri la tua via nel mondo e ricordati che servire la natura non è solamente starsene in solitudine nel bosco, ma proteggere tutto il mondo, affinché prosperi e la vita percorra la strada attraverso le nere tenebre del fato>>.

Valandor chiamo il lupo Arnagar e si avviò alla ricerca delle parole donatagli da Redagar. Della famiglia non si curava, ma appena arrivato sul primo villaggio cercò di integrarsi con gli abitanti. Rimase lì per un paio d’anni, servendo la natura nei modi che conosceva. Gli abitanti del villaggio si abituarono presto a Valandor e Arnagar che più di una volta avevano evitato che i Goblin saccheggiassero il villaggio stesso. Li conobbe una ragazza, e sebbene non avesse nessun problema a rapportarsi con gli altri, con lei Valandor assomigliava molto più a uno scoiattolo spaventato che ad un giovane druido etroverso.

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Fiori. Sparsi un po’ dappertutto nella radura. In fondo è primavera, quasi estate, una scena del genere è normale, erba verdissima per le piogge primaverli, un vento caldo che profuma d’estate, il profumo del polline di migliaia di fiori, erbe alberi che pervade l’aria saturandola con il suo dolcissimo odore. Idillico come scenario, quasi da far invidia ai paradisi gemelli di Bytopia, eppure è nella luce che si annidano le ombre più nere. Accanto alla radura, oltre le case del piccolo borgo, sorge un bosco non troppo fitto, e nemmeno pericoloso, ma abbastanza fitto da tenere alla larga molte persone, soprattutto in virtù del fatto che non vi è selvaggina, solo qualche rara lepre che ha deciso di instaurarsi da quelle parti per un po’. Nella parte più “fitta” se così si può chiamare, una ragazzina si sta freneticamente lavando le mani nel ruscello. Nel verde del bosco i suoi capelli, ramati, sembrano risplendere come fiamme roventi. Lacrime bollenti solcano il viso della bambina, di massimo 6, 7 anni, singhiozza piano mentre tiene le mani nell’acqua gelida del torrente.

«Andatevene, per favore… Sparite» Il suo è poco più di un mormorio, una preghiera rivolta a chiunque possa farle smettere. Un lampo nella sua mente che riporta alla luce le urla di sua madre

“Sei un mostro” Urla la voce nella sua mente, tagliente come un rasoio. La bambina affonda le mani nell’acqua. Ormai stanno diventando rosse per la bassa temperatura.

“Nessuno soffrirà se morirai” Un altro grido nella sua mente. Accompagnato da una fitta al fianco. La dove il coltello che sua madre usava per le verdure ha inciso la carne. È riuscita a scappare, per fortuna, ma quanto potrà fuggire? Infila ancora più a fondo le mani nell’acqua, quasi fin sopra il gomito, sperando che il suo peccato sparisca, che se ne vada. Solleva le mani dall’acqua, lasciando che scorra anche sulle braccia, tanto ormai non sente più nulla. Solo uno strano formicolio che prevade tutte le braccia. “Perché sono cattiva? Eppure io voglio essere buona…” sorride fra le lacrime mentre nota come non ci sia traccia del suo peccato. Il sorriso muore sulle sue labbra mentre una piccola fiamma scaturisce dal suo indice

«No…»Geme a bassa voce mentre le lacrime ricominciano a scendere. Adesso le fiamme stanno crescendo, avvolgendole le mani, come per riscaldare «NOOOOO!» Grida rificcandole nell’acqua gelida. Sottile rivoli di vapore la avvolgono «NOOO! Perché a me? Andatevene! Spegnetevi! SPEGNETEVI!» continua a piangere, non riesce a trattenersi e intanto la voce nella sua mente continua a gridare “Mostro, mostro, mostro” «Spegnetevi…» si accascia a terra signhiozzando. Le fiamme ignorano la supplica della ragazza, almeno per il momento, continuando a bruciare vivide per alcuni secondi. Poi si spengono, dopo averle riscaldato le mani. Rimane lì a terra, piangendo, perde la cognizione del tempo, mentre la ferita al fianco continua a bruciare e la voce della adre urla nelle sue orecchie “Muori, muori”

«Si, devo morire… I bambini cattivi come me devono morire…» La voce roca per il gridare di poco fa. Prova ad alzarsi, ma le gambe cedono. Non si ricorda quanto tempo fa ha mangiato… Sicuramente tanto «Devo… Morire…» Mormora rialzandosi «Devo… Morire…» Si incammina ancora più all’interno del bosco. Ricorda vagamente di aver sentito che alla foce del torrente c’è una piccola rupe, magari una caduta da quell’altezza è sufficiente ad uccidere una bambina cattiva come lei. Continua a camminare nel bosco per quelle che paiono ore: la luce sta sparendo, il sole tra poco andrà a dormire… Eppure nessuna rupe o cose del genere, solo rovi, che le vanno a graffiare le gambe. “Sei cattiva… ti meriti questo e altro” Non pensa ad altro.

«Per quanto hai intenzione di scappare?» Una voce ruvida, che proviene dalle sue spalle. Maschile. SI volta, per urlargli contro

«Vattene… Io sono un mostro!» L’uomo però continua ad avanzare, fino a toccarla sulla spalla

«Laciami… LASCIAMI! Io sono un mostro, un demonio! Il demone che governa le fiamme» Tenta di controllarle come davvero ha detto, ma non può, la rabbia, il dolore, la disperazione, troppe emozioni solo per riuscire a pensare «Lasciami…» Singhiozza piano. Non si accorge nemmeno che lo sconosciuto si è chinato alla sua altezza, sedendosi sui talloni.

«Non sei un mostro» Le dice con quella sua voce ruvida «Sei umana… Sei speciale… Benedetta da Kossuth» La abbraccia, lui è molto più alto e massiccio di lei, eppure la sua stretta è gentile. Non prova nemmeno a sottrarsi a quella stretta, semplicemente si getta al petto dello sconosciuto riscoppiando a piangere a dirotto «Loro mi hanno detto che sono cattiva…» Singhiozza «Che nessuno si preoccuperà quando morirò» Continua a piangere, non può fermare le lacrime.

«Smettila di piangere» Quasi un ordine, sebbene velato di gentilezza. La allontana leggermente, mentre lei fa di tutto per ricacciare indietro le lacrime. Si sente toccare sulla ferita, e istintivamente prova a ritrarsi «Non ti voglio fare del male», poi una sensazione strana. Fresca e calda allo stesso tempo. Come il vento di fine primavera, che porta via con se ogni cosa brutta.

«Cosa mi hai fatto?» chiede tirando su con il naso

«Un piccolo incantesimo di guarigione» è la secca risposta. L’uomo si alza «Tieni, cerca altre persone con questo simbolo, loro sapranno aiutarti» Estrae qualcosa dal tascapane e glielo porge, una moneta, no, un sigillo. Dorato con fiamme ruggenti color porpora

«Chi sei? Come hai fatto?» Chiede mentre segue affascinata il motivo a fiamme del sigillo. Ma l’uomo se ne è già andato.

Questa è la mia storia… Il resto non è certo un segreto. Quel simbolo è lo stesso che porto tutt’oggi: il simbolo sacro del mio Dio… Kossuth… Sono diventata una sacerdotessa, imparando che le fiamme altro non sono che il risultato del suo volere e del suo potere. Sono una delle sue intermediarie… Non so chi fosse quell’uomo, ne perché mi abbia curato: so solo una cosa di lui: le iniziali del suo nome: “S” . E’ per questo che sono partita per il mio viaggio: per cercarlo, e fargli vedere come la bambina che ha salvato, sia diventata donna.

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Mi inchino a te Arcanista, avrei voluto darti altra rep ma non posso :cry:

Propongo questo (che non ho mai realmente giocato).

Non mi risulta molto facile sedermi qui e parlarvi di me, ma sfortunatamente è il mio turno e quindi immagino di doverci provare almeno. Il mio nome è Maximilian Wiery [si pronuncia “uaery”], nacqui nelle Badlands, un’immensa distesa di spoglie colline. Il mio villaggio Lasthope, si trovava al confine tra queste terre ed un’oscura foresta che gareggiava con le Badlands per grandezza. La prima era abitata da un infinito numero di rettili ed animali a sangue freddo uno più pericoloso dell’altro, mentre La Tela, la foresta, era abitata da ogni sorta di creatura mostruosa.

Come avrete immaginato non era una vita facile, nessuno poteva abbandonare la sicurezza delle mura, cacciatori esclusi . . . e anche quelli molte volte non tornavano.

Mio padre si chiamava Lucas Wiery, sinceramente non so come abbia fatto uno con quel nome a finire a Lasthope . . . ma lasciamo perdere, era un cacciatore anche lui. Quando non era fuori a caccia si chiudeva nel suo laboratorio, era uno dei fabbricanti di balestre del villaggio, e con l’aria che girava lì c’era sempre bisogno di nuove balestre; crescendo lo aiutavo nel lavoro . . . lui fabbrica le balestre ed io i quadrelli.

Il giorno in cui mio padre non tornò da una battuta di caccia presi la mia decisione, aspettai la notte e poi raccolte le mie cose insieme ad una delle balestre fabbricate da mio padre approfittai dell’oscurità per superare le mura ed allontanarmi dal villaggio.

Ero stanco di aspettare la creatura che prima o poi sarebbe arrivata per porre fine alla mia vita, quello non era vivere, era sopravvivere . . . avevo sedici anni.

Non potevo addentrarmi nelle Badlands, sarei morto di sete in due giorni! perciò optai per la Tela, decisione che non presi a cuor leggero. Di giorno cercavo di avanzare quanto più possibile mentre la notte mi arrampicavo su un albero; non so quanti giorni passai in quella foresta, so solo che ne persi il conto, ma ricordo benissimo gli istanti in cui ero costretto a rifugiarmi in qualche cespuglio per nascondermi alla vista di qualche predatore.

Pensavo di avercela fatta, di aver raggiunto la fine di quell’incubo, quando fui assalito da un’enorme creatura alta 5 piedi, sembrava un grosso felino i cui due canini sporgevano dalle fauci e raggiungevano la lunghezza di una spada corta. Non me ne accorsi fin quanto non mi stritolò il braccio con le fauci e cominciò a strattonarlo; sentii un dolore indescrivibile mentre sentivo i tendini strapparsi e le ossa frantumarsi sotto la furia di quella morsa, con un ultimo barlume di coscienza riuscii a mettere la mia balestra tra me e la cosa ed a sparargli un dardo in un occhio.

La creatura morì sul colpo, ma si portò il mio braccio destro con se.

Non mi ricordo cosa successe dopo, so solo che mi svegliai in un letto troppo piccolo per me; scoprii che quella era la casa di una famiglia di gnomi . . . il padre Lorn Lusq mi disse che dormivo da una settimana e che prima un elfo dalla pelle verdastra mi aveva lasciato sulla sua soglia senza proferire parola. Mi aveva accudito insieme alla moglie Miira e al figlio Fen. Lorn era un inventore, e proprio in quel periodo stava lavorando ad un nuovo progetto, mi chiese se volevo sottopormi ad un esperimento grazie al quale avrei potuto riottenere il braccio destro.

Mi drogarono per non farmi sentire il dolore e quando rinvenni sentii una strana sensazione al braccio destro, mi stupii quando ne sentii la presenza . . . aprii gli occhi e lo guardai; non era di pelle, carne ed ossa ma bensì di metallo, era formato da varie piastre di metallo che scorrevano tra di loro ed attorno a delle sfere posizionate nelle articolazioni.

Rimasi un anno con loro, durante il quale mi abituai al nuovo braccio . . . quando li lasciai Lorn mi fece un regalo, durante il tempo che avevo passato con loro lui aveva lavorato ad un prototipo, una micidiale balestra capace di scagliare due dardi contemporaneamente.

Durante il mio vagabondare ho avuto molto impieghi: sono stato un cacciatore, la guardia del corpo di un lord di una piccola contea, per un paio di anni sono stato all’interno di una piccola compagnia di mercenari ed infine ho cominciato a fare il cacciatore di taglie.

Ho riportato indietro più criminali di quanti ne ricordi . . . fin quando nel mio viaggiare ho trovato il piccolo insediamento di Gertanis, lì conobbi Elise, una bellissima ragazza di cui mi innamorai.

Aveva i capelli rossi che portava legati in una lunga treccia, aveva un viso molto dolce costellato di lentiggini, con due occhi verdi acqua-marina; le sue forme e le sue curve poi erano perfette. Dopo averle fatto la corte per un lungo periodo riuscii a ottenere la sua mano e il borgomastro di Gertanis ufficializzò la nostra unione.

In quel periodo avevo acciuffato alcuni dei più pericolosi criminali della zona, che mi avevano fruttato una bella cifra; cifra che spesi per aprire una locanda, decisi di chiamarla La dama rossa, nonostante le “finte” proteste di Elise, che nonostante non volesse ammetterlo ne era estasiata.

Passai circa un anno a gestire la locanda insieme a mia moglie, ma non sono mai stato un tipo sedentario, sentivo il mio spirito fremere ai racconti dei viaggiatori che passavano alla locanda. Perciò imbracciai la balestra e ripresi “le vesti” di cacciatore di taglie, nonostante tutto non mettevo mai tra me e Elise più di una settimana di cammino; anche se era Elise che mi aveva spinto a ricominciare, aveva capito che non ero fatto per quella vita. Quando capitava facevo anche qualche lavoretto per Jorel, il borgomastro di Gertanis, con cui avevo stretto una profonda amicizia, ogni tanto mi invitava nel suo studio per bere qualcosa insieme e per sfogarsi raccontandomi le carognate che la moglie gli combinava.

Fu Elise a raccontarmi del labirinto e della sua storia, ed ora che il momento è giunto sento di dover partecipare anche io a questa folle caccia al tesoro.

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  • 1 mese dopo...

Nam'har aveva solo undici anni quando per la prima volta partecipò ad una razzia, apparteneva ai Binwabi dei Bedine, nell'Anarouch, e la sua tribù non aveva mai conosciuto altro modo per sopravvivere se non depredare le carovane dei mercanti che osavano avventurarsi in quelle lande.

Per lui, che all'epoca era solo un ragazzino, fu molto più di una razzia: fu il battesimo del sangue. I suoi confratelli non ebbero alcuna pietà dei mercanti e delle loro famiglie, non ne avevano e non ne avrebbero mai avuta, solo il sole infuocato che imperversava sul deserto sapeva essere più feroce di loro.

Dopo l'iniziale smarrimento dovuto all'improvviso inizio della battaglia, anche Nam'har si getto a testa bassa nella mischia, la sua smania di imitare i più guerrieri più anziani ed esperti gli trasmise la sete di sangue; uno dei soldati di scorta si aggirava ferito per il campo, lui si trovò casualmente alle sue spalle, lo trafisse con il suo spadino, solo quando questi cadde riverso a terra si rese conto di quello che aveva appena fatto: per la prima volta aveva ucciso una persona; lì per lì neanche vi prestò particolare attenzione.

Il ricordo di quel giorno si perse presto nella memoria, i mesi, gli anni successivi, quello stesso rito si ripeté più volte, sempre sotto la guida del crudele Alzhael, sempre con più facilità toglieva la vita a quella gente di cui nulla sapeva se non che avevano commesso l'errore di trovarsi a passare per il loro territorio.

Eppure quel volto, sfigurato dal dolore e dalle ferite che lui stesso gli aveva inflitto, quel volto non lo aveva mai dimenticato: che tipo di persona era? Onorevole o no, aveva anche lui ucciso in vita sua per denaro o magari era un uomo mite? Nam'har iniziava a chiedersi se quello che faceva fosse giusto...

Passarono così sei lunghi anni, tanti la tradizione prevedeva che fossero affinché un ragazzo potesse chiamarsi “uomo”, lontano dalla propria famiglia natale, solo con i propri confratelli per imparare l'arte della sopravvivenza.

Poi un giorno successe qualcosa che avrebbe cambiato la vita di Nam'har. Gli esploratori avevano adocchiato un piccolo campo di mercanti in viaggio verso sud, Alzhael “la cuspide” già pregustava l'odore del sangue, al suo ordine si scatenò l'inferno, un copione già visto e rivisto, i morti riversi in terra, le urla delle donne e la morte, ovunque. Nam'har stava girovagando in prossimità del punto della raccolta dei carri, nell'eventualità di trovare qualche oggetto di valore che fosse sfuggito. Ci scorse invece una ragazzina, raggomitolata tra due grosse casse di legno, tremava come una foglia. Le si avvicinò con cautela, considerando anche una sua possibile reazione violenta, ma questa non si mosse, alzò solo la testa per guardarlo in faccia e riprese nuovamente a tremare, con maggiore intensità se possibile: "Stai tranquilla, non ti faccio del male."

Il suo tentativo di tranquillizzarla fu interrotto da una voce proveniente da fuori: "Nah'mar hai trovato nulla?!"

Fece solo in tempo a bisbigliare alla ragazzina: "Tornerò, non ti muovere". Saltò quindi rapidamente fuori dal carro: "No Alzhael, qui non c'è nulla".

Lo disse con tono fermo e deciso, impossibile capire se stesse mentendo o meno, eppure il suo capo lo fissò intensamente per lunghi attimi: aveva forse udito le sue parole di poco prima, gli aveva letto la verità negli occhi?

"Va bene, allora ti aspettiamo nella tenda più grande per festeggiare questo nuovo giorno di vittoria!" Spronò il cavallo e si allontanò, sembrava passato.

Per le ore successive Nam'har non fece altro che pensare a come far uscire quella ragazzina dal campo, era innocente, non faceva parte della tribù dei Binwaba, non era una Bedine, eppure non riusciva a trovare un solo motivo per cui le si dovesse fare del male.

Prima di mezzanotte, i suoi compagni nella grande tenda erano già ubriachi, alcuni dormivano, altri confrontavano tra loro i diversi monili che avevano rinvenuto. Per lui quello era il momento giusto, si defilò da tutti e rapidamente puntò verso il carro dove la ragazzina, di cui non conosceva neanche il nome, lo stava aspettando. Eppure qualcosa non andava: le aveva raccomandato di non fare il minimo rumore e nondimeno si poteva udire anche da fuori il suo piagnisteo.

Guardando con più attenzione Nam'har capì: alla luce di una torcia scorse chiaramente il torso nudo di Alzhael, chinò sulla ragazzina: si accingeva a stuprarla. Le gambe presero a tremargli, non per quello che stava vedendo ma per quello che sapeva a breve avrebbe fatto: silenzioso e agile salì sul carro, estrasse la sua khopesh e puntò deciso al collo del suo capo. Non seppe mai dire se Alzhael fosse riuscito a percepire la sua presenza e quindi schivare parzialmente il colpo, oppure fu la paura delle conseguenze a tradirlo, in ogni caso il colpo non fu mortale. Quella belva immonda si accasciò imprecando selvaggiamente. Nam'har non perse tempo, si caricò di peso la ragazzina sulla spalla e con lei montò lesto sul suo destriero.

Cavalcò con lei tutta la notte, senza che uno dei due dicesse una parola, finché non passarono il confine dell'Anarouch. Lì si imbatterono finalmente in un drappello di cavalieri armati, Nam'har gli si fece avanti con le mani alzate. Nel breve colloquio con il capitano Mooth Ror, Nam'har lo pregò soltanto di riconsegnare quella ragazzina a qualcuno che se ne potesse prendere cura, un parente magari, ammesso che fosse ancora possibile. Un rapido scambio di sguardi mentre lei smontava dal suo cavallo, fu l'unico saluto che si concessero. Nam'har voltò presto le spalle e prese a galoppare verso est: non poteva più tornare tra i suoi confratelli, lo avrebbe atteso la morte certa e neanche suo padre avrebbe potuto impedirlo. L'unica cosa che poteva fare era fuggire, nell'attesa che un giorno fosse stato abbastanza forte per tornare e sfidare Alzhael “la cuspide”, in un duello mortale.

Ciao, MadLuke.

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