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La Notte Eterna


Messaggio consigliato

E rieccoci qua con un vecchio racconto che avevo abbandonato ma che recentemente (dopo aver lavorato in una casa editrice per l'esattezza XD) ho ripreso con molta voglia.

vi posto il primo capitolo del libro che sto scrivendo, spero sia di vostro gradimento e di ricevere molte critiche costruttive^^

Silenzio, nessun rumore penetrava nella stanza buia mentre la ragazza apriva gli occhi. Piccole schegge di legno le si infilarono nelle mani mentre a tentoni cercava di capire dove si trovasse. Il legno con cui era stata costruita era di ottima qualità ma in diversi secoli di usura si era seccato, sopratutto in questo piano dove il legno in alcune parti della casa era così vecchio da esser pieno di piccole schegge che facilmente si infilavano nei calzari. I pensieri erano lenti e offuscati ma realizzò di aver paura, le viscere si attanagliavano mentre i pensieri lentamente le tornavano. Si trovava sdraiata per terra con gli occhi ancora cechi a causa buio ma presto, sapeva, si sarebbero abituati e sarebbe tornata a vedere. Seppe dove si trovava nel momento in cui, andando a tentoni, fece cadere un lungo cappotto pesante appartenuto a suo fratello. Era nel piccolo stanzino che solitamente usava suo fratello per riporre gli abiti, ora escluso il cappotto, era vuoto, suo fratello era in viaggio e si era portato tutto dietro. La testa pulsava dolorosamente impedendole di ragionare. Gli occhi di Illune si stavano abituando alle tenebre e i contorni dello stanzino si fecero più nitidi. Improvvisamente la stanza parve girare e la testa farsi pesante, dovette sbattere più volte le ciglia per scacciare la nausea, tra le mani stringeva il cappotto del fratello con tutte le sue forze. Soltanto osservando le macchie umide sul cappotto si rese conto di star piangendo. Dovette sforzarsi per potersi asciugare le lacrime con il dorso della mano che stringeva il giubbotto. Chiuse gli occhi e la stanza per un momento scomparì.

Furono diversi rumori di vetri frantumati e mobili ribaltati a riportarla alla realtà. Non sapeva che ore fossero o quanto tempo fosse passato da quando prima aveva chiuso gli occhi. Sapeva che suo fratello era via e non sarebbe arrivato prima di domani, non poteva sperare che fosse lui. Il villaggio di Asher era sempre stato tranquillo con al massimo qualche piccolo furto nei negozi compiuto da ragazzini annoiati. Il dolore alla testa si era attenuato ma continuava ad avere le vertigini e non ricordava ancora come fosse finita lì. Si alzò di scatto, la testa iniziò a pulsare ancora di più e una fitta lancinante la sbilanciò costringendola ad appoggiarsi alla parete mentre l'urlo di dolore le moriva in gola. Rimase ferma diversi secondi inspirando profondamente in attesa che la stanza smettesse di girare. Si passò una mano tra i folti capelli biondi e si prese la fronte tra le dita nel tentativo di lenire il dolore. Ogni sua cellula le gridava di sbrigarsi, di muoversi, di fare qualcosa per non rimanere intrappolata per sempre in quel piccolo stanzino. Tenendosi appoggiata alla parete cercò di ricordare ma le nebbie nella sua mente erano ancora fitte. Non poteva capitarle davvero, non capiva perché proprio a lei dovesse succedere.

Un tempo nessuno avrebbe osato fare una cosa del genere nel villaggio dove si celebrava la guerra, dove genti da tutto il mondo venivano per assistere agli scontri nell'arena o veniva per allenarsi con i migliori mastri d'arma di tutto il regno. All'epoca si tenevano grossi tornei nel paese e la gente più variopinta si presentava ad Asher per sperperare i propri averi per la gioia dei mercanti. Un tempo i maestri non solo insegnavano la via della spada ma anche le ormai perdute arti magiche. Poi venne la guerra e il fiorente paese si svuotò e i maestri d'armi non fecero più ritorno. Con la sconfitta non persero solo l'orgoglio e l'indipendenza ma anche la loro magia.

I maghi vennero cacciati e sterminati per diversi secoli; Sopravvissero solo in pochi, costretti a nascondersi, braccati dal Grande Impero e odiati dalla popolazione. La gente sotto l'influenza dell'Impero aveva dimenticato di essere stata parte di una grande nazione la cui sconfitta aveva segnato l'inizio di un'era in cui la magia venne dimenticata e la scienza ostacolata da una dinastia di regnanti terrorizzati da quel che non potevano comprendere. L'impero si trasformò nel Regno delle Corone Unite, in cui tredici Re, uno per ogni regno conquistato durante i secoli, decidevano le sorti della grande nazione.

Nel Regno le arene vennero dichiarate illegali e il villaggio di Asher perse la sua fondamentale fonte di reddito. In molti se ne andarono ma le botteghe riuscirono con grandi sforzi a sopravvivere, anche se impossibilitati a produrre armi se non per l'esercito regolare. Grazie alle miniere di ferro e alle numerose vene sotterranee di metalli preziosi il villaggio non venne completamente abbandonato. Il conto degli anni utilizzato prima della conquista è andato perduto, non si sa con precisione quando il regno è caduto e la cittadina sia andata in disgrazia. Le vecchie case son state distrutte o utilizzate come materiale da costruzione e l'arena è soltanto un vecchio rudere in cui i bambini vanno a giocare ignari del suo glorioso passato, la memoria del vecchio regno è andata quasi perduta, il solo ricordo è quell'arena diroccata e un pugno di case sopravvissute al tempo. La leggenda narra che le case rimaste intatte appartenessero ai sette grandi direttori e che siano state incantate da essi in modo da non poter essere distrutte. Nessuno sa veramente chi fossero o se effettivamente abitassero lì ma questo permette ai residenti della città di ricordare ciò che era stato, un privilegio che non a tutti era stato concesso.

In una di queste antiche case la ragazza respirava a fatica, tremante e in preda al panico cercava di aprire la porta tirando e spingendo con tutta la forza rimastagli, gridava per sfogarsi.

Si trovava in una casa isolata su una piccola collina leggermente fuori dal villaggio, si pensa che in passato questa fosse la casa di un direttore, la più antica per l'esattezza. Un tempo entrandoci si sarebbe potuto sentire la casa vibrare di potere residuo ma esso lentamente stava sparendo. Il cuore di Illune batteva talmente forte che sembrava volesse uscire dalla cassa toracica, alzandosi a stento arrancò fino alla parta e tentò di nuovo di aprirla. La porta vibrava e si muoveva ma non accennava ad aprirsi. Dopo diversi minuti lo sconforto aumentava fino al punto che smise di tirare e in lacrime iniziò a prenderla a pugni disperatamente. Dopo essersi ferita con diverse schegge si calmò e si sedette con le spalle appoggiate alla porta. Pianse implorando a chiunque l'avesse chiusa lì di lasciarla andare. Si passò le mani sulla testa cercando la fonte del dolore che la attanagliava da quando si era svegliata. Toccò una profonda ferita insanguinata che si trovava sulla nuca, sussultò dal dolore. Non ricordava come se l'era procurata ma poteva benissimo immaginare chi fosse stato a fargliela, pregò silenziosamente qualsiasi divinità affinché l'aiutassero. Gli occhi ormai si erano abituati al buio e i sensi erano in massima allerta. Era come un gatto messo in un angolo, che senza vie di fuga tirava fuori gli artigli pronto a lottare per la sua vita con il massimo delle sue forze sapendo, cosa sarebbe significato perdere quella lotta. In quel momento tramite quei pensieri riuscì a riprendere la sua determinazione e risoluta commise un'errore fatale.

Fattasi forza si sollevò ignorando il grosso mal di testa che come un campanello d'allarme continuava a tormentarla sin da quando si era ripresa. La vista era annebbiata e spesso diverse macchie gliela offuscavano ancora di più. Barcollando raggiunse la porta ma dovette fermarsi per trattenere il conato di vomito che la nausea le stava provocando. Si sorresse al vecchio legno della porta e osservò il fumo entrare dai suoi spiragli e dal legno del pavimento che si faceva sempre più rovente. Il panico scivolava via mentre vedeva la scena come se non fosse lei ad essere in quello stanzino ma come se fosse soltanto una spettatrice. I pensieri diventavano sempre di più difficili a causa delle esalazioni di fumo. Tossì ripetutamente e così forte da rimanere in ginocchio mentre si sorreggeva alla porta. Nel fumo vedeva il fratello lo vedeva correre verso di lei rivolgendole parole inudibili, sorrise osservandolo da vicino, era robusto e particolarmente attraente, osservava dentro i suoi occhi neri profondi e densi. Era alto circa quanto lei e avevano gli stessi capelli neri e folti.

“Sai già cosa sta succedendo, vero?” diceva il fratello con voce forte e calda. Illune annuì stordita dalla visione

“Si ma non voglio...” disse lei con un filo di voce mentre il fratello con forza la sollevò interrompendola

“Hai già visto questo, sai che io non sono davvero qua” le diceva osservandola negli occhi “Si ma io ancora non ho fatto nulla non pensavo arrivasse così presto” disse mentre le lacrime iniziavano a scorrerle sul volto “volevo vederlo ancora, io speravo di aiutarlo non posso lasciarlo solo ora, non posso!” urlo rivolto alla visione perlacea.

“ora è il momento, devi accettarlo vieni con me” disse tendendole la mano, lo osservò sorda alle sue parole e pietrificata dal terrore. Sospirò “so che doveva andare così...” la voce si faceva sempre più debole mentre il fumo tossico le penetrava le membra rendendole sempre più pesanti, non sentiva il calore alzarsi e non vedeva le fiamme iniziare a divorare la porta “è difficile” piangeva le ultime lacrime mentre gli occhi fattesi sempre più pesanti si chiudevano, la visione spariva ed insieme ad essa spariva il mondo sotto i suoi occhi, il suo adorato mondo venne avvolto dalle tenebre insieme a lei. Gli occhi si chiusero e lentamente la vita scappava da lei come la sabbia scappa dalle mani quando stretta troppo. Il silenzio scese sulla stanza mentre le fiamme iniziavano a divorare voracemente tutto e mentre una nuova mattina si alzava all'orizzonte.

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  • 5 mesi dopo...

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capitolo n° 2 spero vi piaccia =) Se volete lasciate pure dei commenti che se siete interessati continuo a postarne altrimenti finisco qua :P

Mentre il sole sorgeva Marek percorreva il sentiero che lo avrebbe portato a casa sua, nel villaggio di Asher. Era partito al tramonto e sfruttando le tenebre era riuscito ad essere a casa per il mattino, lavorava nella forgia ed era piuttosto in gamba. Ogni fine settimana tornava al suo villaggio da sua sorella e per farlo il più in fretta possibile percorreva la strada durante la notte. Era stanco ma felice di ritornare a casa. Però più strada faceva e più si sentiva inquieto, non aveva incontrato nessuno lungo la strada che solitamente era abbastanza trafficata. Arrivò al villaggio quando il sole era ormai alto nel cielo, non c'erano mura a proteggerne gli abitanti ma soltanto un piccolo manipolo di miliziani locali. Quel giorno nessuno si trovava all'ingresso, Marek si sentiva strano, non c'era nessuno per strada e il mercato era ancora chiuso nonostante il sole fosse sorto da diverse ore. Inquietato accelerò l'andatura e lanciando il cavallo al galoppo si diresse verso la sua abitazione. “Per tutti gli dei che cosa è successo?” esclamò quando uscito dal centro cittadino riuscì a vedere la sua casa, o meglio, ciò che ne rimaneva. I resti anneriti della casa bruciata svettavano sulla terra come i pinnacoli neri di una torre infame. Quella non poteva essere la sua casa, quei resti deformi non potevano essere ciò che rimaneva. “Illune!” esclamò urlando avvicinandosi alla sua dimora. Attorno alla casa si era radunato l'intero villaggio, Marek osservava ogni persona alla disperata ricerca di sua sorella. Sordo ad ogni voce scese da cavallo ignorando tutte le voci attorno a lui. La cenere ancora fresca volava spostata dai forti venti appiccicandosi ad ogni superficie. La folla davanti a lui si aprì spontaneamente e riuscì finalmente a vederla. Tutte le emozioni sparirono inondate dal dolore soverchiante, la terra sotto i suoi piedi cedeva mentre con sguardo vacuo si avvicinava al drappo bianco sporco di cenere sotto cui si celava sua sorella. Ogni passo era sempre più pesante e difficile, ogni movimento era lungo un'eternità. Marek si sentiva come il condannato che si avvicina al patibolo, che con il cuore pesante sente la disperazione farsi sempre più opprimente man mano che si avvicina alla sua fine già stabilita. I suoi passi si fermarono davanti al lenzuolo sotto il quale si poteva intravedere il corpo bruciato di sua sorella. Pensava a quanto stonava quel drappo bianco in tutta quella oscurità che lo circondava. Le ginocchia non ressero più il suo peso e si trovò prono davanti al corpo vuoto dentro il quale si trovava l'anima di Illune prima che partisse lontana da lui. Le lacrime iniziarono a scendergli copiose sul volto mentre passava una mano sui capelli bruciati della sorella. Si chinò sul corpo piangendo a dirotto e urlando al vento il suo dolore, intorno a lui c'era il silenzio. Spostò con mani tremanti il lenzuolo dal suo volto. Con la vista offuscata dalle lacrime passò delicatamente la mano sul suo viso. L'acre odore di bruciato lo faceva respirare male ma almeno copriva l'odore della carne bruciata. Non si accorse per quanto tempo rimase accucciato sulla sorella a piangere e a disperarsi, diverse mani lo toccarono ma le respinse tutte. Fu soltanto dopo diverso tempo che riuscirono a spostarlo dal corpo. Con gli occhi ancora coperti dalle lacrime osservò il suo amico Olaf, aveva pianto anche lui, gli parlava ma non capiva. Come un fantoccio lo portò fino a casa sua e lo fece sedere. Lo sentiva mentre gli preparava un bagno caldo, lo vedeva prendere le pietre e riscaldarle sul fuoco ma era ancora tutto privo di senso per lui. Olaf lo prese per le spalle e sollevandolo lo accompagnò fino alla tinozza con l'acqua. Lo immerse e lo lasciò con una ragazza di cui non riusciva a ricordarsi il nome. Sentì le mani calde e delicate toccargli la pelle e lavargli via lo sporco. L'acqua era piacevolmente calda e le mani che lo accarezzavano e lo pulivano riuscivano a fargli calare la tensione. Lentamente la stanchezza prese il sopravvento e cadde in un sonno inquieto e tormentato, vide sua sorella e si chiese cosa sarebbe successo se fosse stato a casa prima. Durante il sonno pianse ancora, colpito dal senso di colpa.

Con gli occhi ancora chiusi si risvegliò ancora intontito dal sonno, gli occhi bruciavano come se avesse pianto per ore, ci mise un po' a ricordare. L'angoscia lo pungeva dolorosamente mentre apriva gli occhi, riconobbe il piccolo bagno bianco del suo amico. Chiuse e riaprì la mano più volte scacciando il fastidioso formicolio provocato dalla scomoda posizione in cui si trovava. Si alzò sgranchendosi le ossa, afferrò l'asciugamano appoggiato al lavello e dopo essersi rinfrescato il viso con dell'acqua gelida prese i vestiti puliti che Olaf gli aveva lasciato mentre lui dormiva. C'era anche un vassoio di legno con della marmellata di ciliege, del pane e una caraffa di latte fresco ma il suo stomaco era ancora chiuso e non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

Si soffermò davanti alla porta e con un sospiro decise di uscire. Percorse il corridoio fino al salone, non voleva pensare alla realtà e si concentrò sullo scricchiolio del legno sotto i suoi piedi. Soltanto quando arrivò a destinazione venne riportato bruscamente alla realtà dalla voce squillante di Olaf “finalmente ti sei svegliato” disse con voce affranta “mi spiace davvero per quello che è accaduto” ma Marek non sembrò reagire a quelle parole limitandosi soltanto a un cenno con la testa. “c'è qualcosa che posso fare? ” diceva cercando di ottenere la sua attenzione “siediti per favore”. Con movimenti lenti prese una sedia e dopo essersi seduto lo osservò “com'è successo?” gli chiese con voce cupa. “non lo so, quando ce ne siamo accorti era troppo tardi” “come farò ora senza di lei? Perché doveva succederle questo?” disse sbattendo un pugno sul tavolo “devo sapere il perché” Marek si alzò di scatto senza badare all'espressione stupita del suo amico o alla sedia che cadeva, si diresse verso la porta senza degnarlo di uno sguardo “fermo dove stai andando?” gli chiese ma lui non gli rispose nemmeno e sbattendo rumorosamente la porta in faccia al suo amico uscì. Il sole era alto nel cielo e la vita attorno a lui era ripresa, camminò lungo la strada ignorando la gente attorno a lui. Solo in pochi mentre lui camminava gli rivolsero uno sguardo o gli sussurrarono parole di conforto, la maggior parte lo ignorava, la vita per loro era già ripresa come se nulla fosse successo. Passò attraverso al mercato, a nulla valsero gli schiamazzi dei mercanti e i forti odori delle merci esposte troppo a lungo al sole. La sua mente ripercorreva la giornata trascorsa, sua sorella si sarebbe vergognata a vederlo così debole e sperduto, doveva riprendersi. Superato il mercato a passo spedito percorse diverse strade fino ad arrivare alla caserma. “Vorrei parlare con Cheven” disse rivolgendosi alla guardia davanti all’ingresso. “ ah si il capitano ti stava aspettando, entra pure” rispose la guardia aprendo il cancello. Marek lo attraversò senza badare all’uomo che chiudendo il cancello gli rivolgeva le condoglianze. Le mura che circondavano la caserma erano scavate dalle intemperie e dalla scarsa manutenzione. Ma una volta entrati dentro ci si ritrovava in un grosso cortile al cui interno sorgevano diversi edifici. Quello più importante era anche l’unico costruito di recente e lì si trovavano gli alloggi e l’unico riparo in caso di attacco. L’imponente edificio quadrato era alto circa tre piani, si affacciava direttamente sulla piazza d’armi e ad ogni lato aveva una torre d’osservazione da cui si potevano vedere anche le campagne circostanti. Diversi soldati si allenavano all’interno e marek fu costretto a passarci in mezzo per poter entrare nell’edificio. Osservò la bandiera raffigurante un’aquila rossa con un pesce tra le zampe che volava sopra un cielo blu scuro, essa svettava su una torre mossa dal furore dal vento. L’intero edificio era stato ricostruito una decina di anni fa a causa del crollo di una parte della vecchia caserma. L’intero androne era stato ricostruito utilizzando le pietre sopravvissute al crollo. Senza perdere molto tempo Marek si diresse a passo sicuro verso l’ufficio del capitano. Ci era già stato altre volte ma solo per affari, questa volta non portava spade o armature.

Bussò tre volte alla sua porta sembrava essere lì da un’eternità quando finalmente la porta si aprì. “ah Marek sei tu, ti stavo aspettando” disse Cheven con tono rude. Non si erano mai piaciuti ma avevano imparato a sopportarsi. Si osservarono per diversi secondi prima di decidersi ad entrare. “dimmi che almeno tu sai chi è stato” disse entrando nel piccolo ufficio, il piccolo ambiente era illuminato da una finestra posizionata esattamente dietro la scrivania, appoggiata al muro giaceva una vecchia armatura completa ammaccata, i guanti si appoggiavano direttamente su una spada scheggiata e piena di tacche. “è successo tutto così in fretta, ieri eravamo assieme a passeggiare per le strade ed oggi devo organizzare il suo funerale” disse Cheven passandosi una mano tra i capelli neri, “ti prego dimmi che almeno tu sai qualcosa, non può essere stato un incidente, non può!” disse marek scosso dall’emozione “chiunque sia stato nessuno lo ha visto entrare o uscire” “non posso rimanere ancora qua, non ci riesco” disse alzandosi dalla sedia “marek aspetta” Cheven fece una pausa e lo guardò dritto negli occhi con una convinzione e serietà che non si sarebbe mai aspettato “io non posso farlo ma giurami sulla vita di Illune che troverai il colpevole e la vendicherai, è il solo desiderio che ancora mi sostiene” “mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio magari saremmo pure potuti andare d’accordo, addio” disse chiudendo la porta, non si voltò nemmeno una volta mentre un passo dopo l’altro lasciava la sua vita senza avere la minima idea di cosa il futuro gli avrebbe riservato.

Osservò per l’ultima volta le strade pulite del villaggio, sicuro che non sarebbe mai tornato, si sentiva vagamente triste ma non c’era più nulla a tenerlo nel villaggio e sentiva di doversene andare.

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  • 3 mesi dopo...

secondo capitolo riveduto e corretto =) le critiche come sempre sono ben accette ^^

Mentre il sole sorgeva Marek percorreva il sentiero che lo avrebbe portato a casa sua, nel villaggio di Asher. Era partito al tramonto e sfruttando le tenebre era riuscito ad essere a casa per il mattino, lavorava nella forgia ed era piuttosto in gamba. Ogni fine settimana tornava al suo villaggio da sua sorella e per farlo il più in fretta possibile percorreva la strada durante la notte. Era stanco ma felice di ritornare a casa. Però più strada faceva e più si sentiva inquieto, non aveva incontrato nessuno lungo la strada che solitamente era abbastanza trafficata. Arrivò al villaggio quando il sole era ormai alto nel cielo, non c'erano mura a proteggerne gli abitanti ma soltanto un piccolo manipolo di miliziani locali. Quel giorno nessuno si trovava all'ingresso, Marek si sentiva strano, non c'era nessuno per strada e il mercato era ancora chiuso nonostante il sole fosse sorto da diverse ore. Inquietato accelerò l'andatura e lanciando il cavallo al galoppo si diresse verso la sua abitazione. “Per tutti gli dei che cosa è successo?” esclamò quando uscito dal centro cittadino riuscì a vedere la sua casa, o meglio, ciò che ne rimaneva. I resti anneriti della casa bruciata svettavano sulla terra come i pinnacoli neri di una torre infame. Quella non poteva essere la sua casa, quei resti deformi non potevano essere ciò che rimaneva. “Illune!” esclamò urlando avvicinandosi alla sua dimora. Attorno alla casa si era radunato l'intero villaggio, Marek osservava ogni persona alla disperata ricerca di sua sorella. Sordo ad ogni voce scese da cavallo ignorando tutte le voci attorno a lui. La cenere ancora fresca volava spostata dai forti venti appiccicandosi ad ogni superficie. La folla davanti a lui si aprì spontaneamente e riuscì finalmente a vederla. Tutte le emozioni sparirono inondate dal dolore soverchiante, la terra sotto i suoi piedi cedeva mentre con sguardo vacuo si avvicinava al drappo bianco sporco di cenere sotto cui si celava sua sorella. Ogni passo era sempre più pesante e difficile, ogni movimento era lungo un'eternità. Marek si sentiva come il condannato che si avvicina al patibolo, che con il cuore pesante sente la disperazione farsi sempre più opprimente man mano che si avvicina alla sua fine già stabilita. I suoi passi si fermarono davanti al lenzuolo sotto il quale si poteva intravedere il corpo bruciato di sua sorella. Pensava a quanto stonava quel drappo bianco in tutta quella oscurità che lo circondava. Le ginocchia non ressero più il suo peso e si trovò prono davanti al corpo vuoto dentro il quale si trovava l'anima di Illune prima che partisse lontana da lui. Le lacrime iniziarono a scendergli copiose sul volto mentre passava una mano sui capelli bruciati della sorella. Si chinò sul corpo piangendo a dirotto e urlando al vento il suo dolore, intorno a lui c'era il silenzio. Spostò con mani tremanti il lenzuolo dal suo volto. Con la vista offuscata dalle lacrime passò delicatamente la mano sul suo viso. L'acre odore di bruciato lo faceva respirare male ma almeno copriva l'odore della carne bruciata. Non si accorse per quanto tempo rimase accucciato sulla sorella a piangere e a disperarsi, diverse mani lo toccarono ma le respinse tutte. Fu soltanto dopo diverso tempo che riuscirono a spostarlo dal corpo. Con gli occhi ancora coperti dalle lacrime osservò il suo amico Olaf, aveva pianto anche lui, gli parlava ma non capiva. Come un fantoccio lo portò fino a casa sua e lo fece sedere. Lo sentiva mentre gli preparava un bagno caldo, lo vedeva prendere le pietre e riscaldarle sul fuoco ma era ancora tutto privo di senso per lui. Olaf lo prese per le spalle e sollevandolo lo accompagnò fino alla tinozza con l'acqua. Lo immerse e lo lasciò con una ragazza di cui non riusciva a ricordarsi il nome. Sentì le mani calde e delicate toccargli la pelle e lavargli via lo sporco. L'acqua era piacevolmente calda e le mani che lo accarezzavano e lo pulivano riuscivano a fargli calare la tensione. Lentamente la stanchezza prese il sopravvento e cadde in un sonno inquieto e tormentato, vide sua sorella e si chiese cosa sarebbe successo se fosse stato a casa prima. Durante il sonno pianse ancora, colpito dal senso di colpa.

Con gli occhi ancora chiusi si risvegliò ancora intontito dal sonno, gli occhi bruciavano come se avesse pianto per ore, ci mise un po' a ricordare. L'angoscia lo pungeva dolorosamente mentre apriva gli occhi, riconobbe il piccolo bagno bianco del suo amico. Chiuse e riaprì la mano più volte scacciando il fastidioso formicolio provocato dalla scomoda posizione in cui si trovava. Si alzò sgranchendosi le ossa, afferrò l'asciugamano appoggiato al lavello e dopo essersi rinfrescato il viso con dell'acqua gelida prese i vestiti puliti che Olaf gli aveva lasciato mentre lui dormiva. C'era anche un vassoio di legno con della marmellata di ciliege, del pane e una caraffa di latte fresco ma il suo stomaco era ancora chiuso e non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

Si soffermò davanti alla porta e con un sospiro decise di uscire. Percorse il corridoio fino al salone, non voleva pensare alla realtà e si concentrò sullo scricchiolio del legno sotto i suoi piedi. Soltanto quando arrivò a destinazione venne riportato bruscamente alla realtà dalla voce squillante di Olaf “finalmente ti sei svegliato” disse con voce affranta “mi spiace davvero per quello che è accaduto” ma Marek non sembrò reagire a quelle parole limitandosi soltanto a un cenno con la testa. “c'è qualcosa che posso fare? ” diceva cercando di ottenere la sua attenzione “siediti per favore”. Con movimenti lenti prese una sedia e dopo essersi seduto lo osservò “com'è successo?” gli chiese con voce cupa. “non lo so, quando ce ne siamo accorti era troppo tardi” “come farò ora senza di lei? Perché doveva succederle questo?” disse sbattendo un pugno sul tavolo “devo sapere il perché” Marek si alzò di scatto senza badare all'espressione stupita del suo amico o alla sedia che cadeva, si diresse verso la porta senza degnarlo di uno sguardo “fermo dove stai andando?” gli chiese ma lui non gli rispose nemmeno e sbattendo rumorosamente la porta in faccia al suo amico uscì. Il sole era alto nel cielo e la vita attorno a lui era ripresa, camminò lungo la strada ignorando la gente attorno a lui. Solo in pochi mentre lui camminava gli rivolsero uno sguardo o gli sussurrarono parole di conforto, la maggior parte lo ignorava, la vita per loro era già ripresa come se nulla fosse successo. Passò attraverso al mercato, a nulla valsero gli schiamazzi dei mercanti e i forti odori delle merci esposte troppo a lungo al sole. La sua mente ripercorreva la giornata trascorsa, sua sorella si sarebbe vergognata a vederlo così debole e sperduto, doveva riprendersi. Superato il mercato a passo spedito percorse diverse strade fino ad arrivare alla caserma. “Vorrei parlare con Cheven” disse rivolgendosi alla guardia davanti all’ingresso. “ ah si il capitano ti stava aspettando, entra pure” rispose la guardia aprendo il cancello. Marek lo attraversò senza badare all’uomo che chiudendo il cancello gli rivolgeva le condoglianze. Le mura che circondavano la caserma erano scavate dalle intemperie e dalla scarsa manutenzione. Ma una volta entrati dentro ci si ritrovava in un grosso cortile al cui interno sorgevano diversi edifici. Quello più importante era anche l’unico costruito di recente e lì si trovavano gli alloggi e l’unico riparo in caso di attacco. L’imponente edificio quadrato era alto circa tre piani, si affacciava direttamente sulla piazza d’armi e ad ogni lato aveva una torre d’osservazione da cui si potevano vedere anche le campagne circostanti. Diversi soldati si allenavano all’interno e marek fu costretto a passarci in mezzo per poter entrare nell’edificio. Osservò la bandiera raffigurante un’aquila rossa con un pesce tra le zampe che volava sopra un cielo blu scuro, essa svettava su una torre mossa dal furore dal vento. L’intero edificio era stato ricostruito una decina di anni fa a causa del crollo di una parte della vecchia caserma. L’intero androne era stato ricostruito utilizzando le pietre sopravvissute al crollo. Senza perdere molto tempo Marek si diresse a passo sicuro verso l’ufficio del capitano. Ci era già stato altre volte ma solo per affari, questa volta non portava spade o armature.

Bussò tre volte alla sua porta sembrava essere lì da un’eternità quando finalmente la porta si aprì. “ah Marek sei tu, ti stavo aspettando” disse Cheven con tono rude. Non si erano mai piaciuti ma avevano imparato a sopportarsi. Si osservarono per diversi secondi prima di decidersi ad entrare. “dimmi che almeno tu sai chi è stato” disse entrando nel piccolo ufficio, il piccolo ambiente era illuminato da una finestra posizionata esattamente dietro la scrivania, appoggiata al muro giaceva una vecchia armatura completa ammaccata, i guanti si appoggiavano direttamente su una spada scheggiata e piena di tacche. “è successo tutto così in fretta, ieri eravamo assieme a passeggiare per le strade ed oggi devo organizzare il suo funerale” disse Cheven passandosi una mano tra i capelli neri, “ti prego dimmi che almeno tu sai qualcosa, non può essere stato un incidente, non può!” disse marek scosso dall’emozione “chiunque sia stato nessuno lo ha visto entrare o uscire” “non posso rimanere ancora qua, non ci riesco” disse alzandosi dalla sedia “marek aspetta” Cheven fece una pausa e lo guardò dritto negli occhi con una convinzione e serietà che non si sarebbe mai aspettato “io non posso farlo ma giurami sulla vita di Illune che troverai il colpevole e la vendicherai, è il solo desiderio che ancora mi sostiene” “mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio magari saremmo pure potuti andare d’accordo, addio” disse chiudendo la porta, non si voltò nemmeno una volta mentre un passo dopo l’altro lasciava la sua vita senza avere la minima idea di cosa il futuro gli avrebbe riservato.

Osservò per l’ultima volta le strade pulite del villaggio, sicuro che non sarebbe mai tornato, si sentiva vagamente triste, ma non c’era più nulla a tenerlo nel villaggio e sentiva di doversene andare.

Il cavallo che montava si chiamava chesnut a causa del mantello color castagna e dei crini dello stesso colore, la muscolatura era ben definita e molto asciutta, era uno tra i migliori cavalli del villaggio e aveva ricevuto molte offerte da gente interessata a comprarglielo, lo aveva preso che ancora era un puledro e da allora lo accompagnava in ogni suo viaggio. Ormai era l’unica cosa che ancora possedeva e di cui ancora gli importava. A passo d’uomo stava arrivando alle porte della cittadina quando un uomo dai vestiti laceri gli venne incontro “ehi tu, ascoltami” tossì rumorosamente piegandosi in due, la faccia era scavata e butterata probabilmente a causa del vaiolo che aveva colpito la regione diversi anni fa, i cenci che indossava un tempo dovevano essere neri ma adesso erano sbiaditi e tendevano più ad un grigio molto scuro. Quando l’uomo riprese a parlare si accorse che sapeva di vino “ho visto tutto” gli disse con un ghigno sul volto. Marek, che stava per andarsene senza degnarlo di uno sguardo si fermò di colpo “cosa?” disse incredulo

“per due monete forse potrei ricordarmi meglio” gli disse con un sorriso che metteva in mostra tutti i denti mancanti e le carie

“perché dovrei darti dei soldi?” rispose Marek alterato dall’insolenza del mendicante

“e dai dalle queste monete ad un povero mendicante” tossì ancora una volta sputando anche alcune gocce di sangue sul terreno “meglio che un pugno di mosche vero?” gli disse continuando poi a tossire

Marek lo osservò e con una certa riluttanza mise mano al borsello e lanciò al mendicante un paio di monete di ferro con un basso rilievo raffigurante la testa d’un drago placcata in oro “ora parla e non farmi pentire di averti dato quelle monete”.

“molto gentile signore davvero molto” disse ridacchiando “ieri notte mi trovavo proprio qua sdraiato dopo essermela spassata alla locanda quando per un pelo non venivo investito da un gruppo di cavalli lanciati al galoppo a grande velocità” fece una pausa per controllare l’autenticità delle monete, le mise poi in un sacchetto sotto ai cenci prima di riprendere a parlare “erano in cinque ed erano completamente avvolti in grandi mantelli neri come la notte, anche i loro cavalli erano talmente neri che sembravano fatti d’ombra, li ho visti percorrere la strada principale in direzione della città di Stonewall” gli occhi gli si illuminarono quando Marek rimise la mano sul borsello e gli lanciò un’altra moneta “molte grazie signore la sua generosità è infinita” gli disse prendendo la moneta “che la vostra fiasca sia sempre piena del miglior nettare e il vostro talamo accogliervi ogni notte”

“vi ringrazio” disse lanciando il cavallo al trotto e superando le porte della città.

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hai ragione, su word sembrava molto meno pesante ora lo correggo adeguatamente ^^

secondo te così è più leggibile? (purtroppo è difficile mettere in un solo post 3 pagine di scritte senza che risulti pesante, hai qualche consiglio?)

Silenzio. Nessun rumore penetrava nella stanza buia mentre la ragazza apriva gli occhi. Piccole schegge del vecchio legno usurato le si infilarono nelle mani e nei calzari mentre a tentoni cercava di capire dove si trovasse. Il legno con cui era stata costruita era di ottima qualità, ma essendo antico di diversi secoli stava iniziando a perdere colpi. I pensieri erano lenti e offuscati ma realizzò di aver paura, le viscere si attanagliavano mentre lentamente ritrovava lucidità. Si trovava sdraiata per terra con gli occhi ancora accecati a causa del buio, ma presto si sarebbero abituati e sarebbe tornata a vedere. Realizzò dove si trovava nel momento in cui, andando a tentoni, fece cadere un lungo cappotto pesante appartenuto a suo fratello. Era nel piccolo stanzino che lui era solito usare per riporre i propri abiti : ora, escluso il cappotto, era vuoto. Suo fratello infatti era in viaggio e si era portato tutto con sé. La testa le pulsava dolorosamente impedendole di ragionare. Gli occhi di Illune si stavano abituando alle tenebre ed i contorni dello stanzino si fecero più nitidi. Improvvisamente la stanza parve girare e la testa farsi pesante, dovette sbattere più volte le palpebre per allontanare la nausea, mentre tra le mani stringeva il cappotto del fratello con tutte le sue forze. Soltanto osservando le macchie umide sul cappotto si rese conto di piangere Con il dorso della mano che stringeva l’abito si asciugò le lacrime. Chiuse gli occhi e la stanza per un momento scomparve.

Furono diversi rumori di vetri frantumati e mobili ribaltati a riportarla alla realtà. Non sapeva che ore fossero o quanto tempo fosse passato da quando prima aveva chiuso gli occhi. Sapeva che suo fratello era via e non sarebbe arrivato prima di domani, non poteva sperare che fosse lui. Il villaggio di Asher era sempre stato tranquillo con al massimo qualche piccolo furto nei negozi compiuto da ragazzini annoiati.

Il dolore alla testa si era attenuato ma continuava ad avere le vertigini e non ricordava ancora come fosse finita lì. Si alzò di scatto, la testa iniziò a pulsare ancora di più e una fitta lancinante la sbilanciò costringendola ad appoggiarsi alla parete mentre l'urlo di dolore le moriva in gola.

Rimase ferma diversi secondi inspirando profondamente in attesa che la stanza smettesse di girare. Si passò una mano tra i folti capelli biondi e si prese la fronte tra le dita nel tentativo di lenire il dolore. Ogni sua cellula le gridava di sbrigarsi, di muoversi, di fare qualcosa per non rimanere intrappolata per sempre in quel piccolo stanzino. Tenendosi appoggiata alla parete cercò di ricordare ma le nebbie nella sua mente erano ancora fitte. Non poteva capitarle davvero, non capiva perché proprio a lei dovesse succedere.

Un tempo nessuno avrebbe osato fare una cosa del genere nel villaggio dove si celebrava la guerra, dove genti da tutto il mondo venivano per assistere agli scontri nell'arena o veniva per allenarsi con i migliori mastri d'arma di tutto il regno. All'epoca si tenevano grossi tornei nel paese e la gente più variopinta si presentava ad Asher per sperperare i propri averi per la gioia dei mercanti. Allora i maestri non solo insegnavano la via della spada ma anche le ormai perdute arti magiche. Poi venne la guerra e il fiorente paese si svuotò e i maestri d'armi non fecero più ritorno. Con la sconfitta non persero solo l'orgoglio e l'indipendenza ma anche la loro magia.

I maghi vennero cacciati e sterminati per diversi secoli; Sopravvissero solo in pochi, costretti a nascondersi, braccati dal Grande Impero e odiati dalla popolazione. La gente sotto l'influenza dell'Impero aveva dimenticato di essere stata parte di una grande nazione la cui sconfitta aveva segnato l'inizio di un'era in cui la magia venne dimenticata e la scienza ostacolata da una dinastia di regnanti terrorizzati da quel che non potevano comprendere. L'impero si trasformò nel Regno delle Corone Unite, in cui tredici Re, uno per ogni regno conquistato durante i secoli, decidevano le sorti della grande nazione.

Nel Regno le arene vennero dichiarate illegali e il villaggio di Asher perse la sua fondamentale fonte di reddito. In molti se ne andarono ma le botteghe riuscirono con grandi sforzi a sopravvivere, anche se impossibilitati a produrre armi se non per l'esercito regolare. Grazie alle miniere di ferro e alle numerose vene sotterranee di metalli preziosi il villaggio non venne completamente abbandonato. Il conto degli anni utilizzato prima della conquista è andato perduto, non si sa con precisione quando il regno è caduto e la cittadina sia andata in disgrazia. Le vecchie case son state distrutte o utilizzate come materiale da costruzione e l'arena è soltanto un vecchio rudere in cui i bambini vanno a giocare ignari del suo glorioso passato, la memoria del vecchio regno è andata quasi perduta, il solo ricordo è quell'arena diroccata e un pugno di case sopravvissute al tempo. La leggenda narra che le case rimaste intatte appartenessero ai sette grandi direttori e che siano state incantate da essi in modo da non poter essere distrutte. Nessuno sa veramente chi fossero o se effettivamente abitassero lì ma questo permette ai residenti della città di ricordare ciò che era stato, un privilegio che non a tutti era stato concesso.

In una di queste antiche case la ragazza respirava a fatica, tremante e in preda al panico cercava di aprire la porta tirando e spingendo con tutta la forza rimastagli, gridava per sfogarsi.

Si trovava in una casa isolata su una piccola collina leggermente fuori dal villaggio, si pensa che in passato questa fosse la casa di un direttore, la più antica per l'esattezza. Un tempo entrandoci si sarebbe potuto sentire la casa vibrare di potere residuo ma esso lentamente stava sparendo. Il cuore di Illune batteva talmente forte che sembrava volesse uscire dalla cassa toracica, alzandosi a stento arrancò fino alla parta e tentò di nuovo di aprirla. La porta vibrava e si muoveva ma non accennava ad aprirsi. Dopo diversi minuti lo sconforto aumentava fino al punto che smise di tirare e in lacrime iniziò a prenderla a pugni disperatamente. Dopo essersi ferita con diverse schegge si calmò e si sedette con le spalle appoggiate alla porta. Pianse implorando a chiunque l'avesse chiusa lì di lasciarla andare. Si passò le mani sulla testa cercando la fonte del dolore che la attanagliava da quando si era svegliata. Toccò una profonda ferita insanguinata che si trovava sulla nuca, sussultò dal dolore. Non ricordava come se l'era procurata ma poteva benissimo immaginare chi fosse stato a fargliela, pregò silenziosamente qualsiasi divinità affinché l'aiutassero. Gli occhi ormai si erano abituati al buio e i sensi erano in massima allerta. Era come un gatto messo in un angolo, che senza vie di fuga tirava fuori gli artigli pronto a lottare per la sua vita con il massimo delle sue forze sapendo, cosa sarebbe significato perdere quella lotta. In quel momento tramite quei pensieri riuscì a riprendere la sua determinazione e risoluta commise un errore fatale.

Fattasi forza si sollevò ignorando il grosso mal di testa che come un campanello d'allarme continuava a tormentarla sin da quando si era ripresa. La vista era annebbiata e spesso diverse macchie gliela offuscavano ancora di più. Barcollando raggiunse la porta ma dovette fermarsi per trattenere il conato di vomito che la nausea le stava provocando. Si sorresse al vecchio legno della porta e osservò il fumo entrare dai suoi spiragli e dal legno del pavimento che si faceva sempre più rovente. Il panico scivolava via mentre vedeva la scena come se non fosse lei ad essere in quello stanzino ma come se fosse soltanto una spettatrice. I pensieri diventavano sempre di più difficili a causa delle esalazioni di fumo. Tossì ripetutamente e così forte da rimanere in ginocchio mentre si sorreggeva alla porta. Nel fumo vedeva il fratello lo vedeva correre verso di lei rivolgendole parole inudibili, sorrise osservandolo da vicino, era robusto e particolarmente attraente, osservava dentro i suoi occhi neri profondi e densi. Era alto circa quanto lei e avevano gli stessi capelli neri e folti.

“Sai già cosa sta succedendo, vero?” diceva il fratello con voce forte e calda. Illune annuì stordita dalla visione

“Si ma non voglio...” disse lei con un filo di voce mentre il fratello con forza la sollevò interrompendola

“Hai già visto questo, sai che io non sono davvero qua” le diceva osservandola negli occhi “Si ma io ancora non ho fatto nulla non pensavo arrivasse così presto” disse mentre le lacrime iniziavano a scorrerle sul volto “volevo vederlo ancora, io speravo di aiutarlo non posso lasciarlo solo ora, non posso!” urlo rivolto alla visione perlacea.

“ora è il momento, devi accettarlo vieni con me” disse tendendole la mano, lo osservò sorda alle sue parole e pietrificata dal terrore. Sospirò “so che doveva andare così...” la voce si faceva sempre più debole mentre il fumo tossico le penetrava le membra rendendole sempre più pesanti, non sentiva il calore alzarsi e non vedeva le fiamme iniziare a divorare la porta “è difficile” piangeva le ultime lacrime mentre gli occhi fattesi sempre più pesanti si chiudevano, la visione spariva ed insieme ad essa spariva il mondo sotto i suoi occhi, il suo adorato mondo venne avvolto dalle tenebre insieme a lei. Gli occhi si chiusero e lentamente la vita scappava da lei come la sabbia scappa dalle mani quando stretta troppo. Il silenzio scese sulla stanza mentre le fiamme iniziavano a divorare voracemente tutto e mentre una nuova mattina si alzava all'orizzonte.

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