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Sacro Liberatore


Renis

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Il seguente background è ispirato all’ambientazione La Notte Eterna, marchio registrato di Ali Ribelli.

Le strade affollate e polverose scorrevano come fiumi vocianti di persone. Dai bazar esotici si levavano le grida dei mercanti, pronti a giurare qualsiasi menzogna pur di vendere la propria merce; ai margini delle strade, maghi e saltimbanchi si esibivano nel loro meraviglioso spettacolo; carovane magnifiche sfilavano pompose, sospinte a forza fra la folla dalle arroganti guardie del nobile di turno. Questa era ed è Zey[1], una metropoli pulsante di vita, il centro nevralgico dell’intera regione.

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la regione nota come Cenere di Lanie

illustrazione di Claudio Trangoni

La vita sa essere dura, insopportabile a volte. Lo sapeva bene il piccolo Aruk, mentre si caricava sulla schiena due pesanti ceste piene di frutti ok’koror[2]. Non aveva molta scelta questo piccolo uomo-leopardo: quelli della sua razza erano ritenuti alla stregua di bestie, forse peggio. A Zey, essere un uomo-bestia significa vivere un’esistenza di immense tribolazioni. Aruk era stato portato via dalla sua tribù quando lui era appena un cucciolo. Chiedeva al padrone qualche notizia dei suoi ma costui, uno gnomo grasso e testardo, si limitava a ricordargli che a quelli come lui non spettava alcun nome e che il suo unico scopo nel mondo era di servire ciecamente il “padrone.” Aruk accettava la sua condizione con la rassegnazione che contraddistingue tutti gli schiavi di Neir, indipendentemente dalla razza cui appartengono e, anche se a volte gli capitava di sognare una vita diversa, non si lamentava mai.

Eppure, il destino aveva altro in serbo per lui. Un sorgere di luna, mentre trascinava delle casse, il piccolo uomo-leopardo sentì le forze abbandonarlo e all’improvviso il mondo si sfocò fino a divenire buio. Poco dopo, Aruk fu svegliato da violente frustate dietro la schiena, colpi sferrati con cattiveria dal suo padrone.

«Svegliati, bestiaccia!» Gli gridava, e per quanto soffrisse Aruk non riusciva ad alzarsi da terra. Sentì il sangue bruciare come lava bollente dietro la sua schiena e in quel momento il piccolo uomo-bestia conobbe l’odio. Svenne una seconda volta.

Il padrone avrebbe continuato a frustarlo fino allo sfinimento se uno straniero coperto interamente da una lunga mantella bianca, un abito adatto a riparare il pellegrino dal gelo e dalle tempeste di sabbia di Lanie, non fosse intervenuto a bloccargli la mano con una presa d’acciaio.

«Come osate?!» Gridò con voce stridula il padrone.

«Lasciate stare questo ragazzo.» Disse lo straniero a cavallo di un grande, nobile cavallo bruno. Da questa posizione sopraelevata, lo straniero fissò negli occhi il grasso e sudato padrone prima di lasciargli andare il polso con fare disgustato. «Conoscete la legge sugli schiavi. È proibito frustarli a morte senza un valido motivo.»

Una piccola folla si era frattanto raccolta intorno ai due. I poveri di Zey erano abituati ad assistere a scene simili e sapevano fin troppo bene che, alla fine di tutto, si riuscivano sempre a raggranellare soldi e gioielli dai cadaveri rimasti a terra.

«Come osate parlare di legge a me? Faccio parte della gilda dei mercanti, io!» Fu l’altezzosa, pronta risposta del mercante.

Il cavaliere allora aprì la mantella, svelando una scintillante cotta di maglia. Sull’armatura era disegnato una luna rossa, che simboleggiava il grado di comandante delle guardie. Guardandola, lo gnomo impallidì all’istante.

«Signore! Questo schiavo si è ribellato ai miei ordini, dovevo punirlo!» Mentì spudoratamente il mercante con un tono supplichevole e la lingua viscida che biascicava ogni parole.

«Non mentire! Ho veduto tutto. Lascerai che questo schiavo venga con me.»

«M-ma certo, Signore. Prendetelo pure.»

Il comandante scese da cavallo con un agile balzo e, raccolto Harad da terra, lo caricò dolcemente in groppa alla nobile bestia. Non degnò il mercante di uno sguardo, ma passandogli accanto sputò a terra il suo disprezzo. Cavallo e cavaliere scomparvero dentro una stradina.

***

Aruk riaprì gli occhi. Giaceva su una comoda branda – migliore, certamente, della paglia su cui aveva sempre dormito – e si sentiva riposato come mai era stato nella sua vita. C’era quiete intorno a lui, e il piccolo si domandò dove fosse finito. L’ultimo ricordo prima dell’oblio era fuoco sulla schiena. Il ricordo gli riportò in mente il dolore e Aruk mosse istintivamente la mano dietro la schiena, che era stata bendata con cura da qualche ignoto benefattore.

Una porta si aprì di scatto. L'uomo dall’ampia mantella bianca varcò la soglia ma Aruk, non conoscendolo e vedendo che era armato, pensò di trovarsi in carcere. «Non fatemi del male!» Gridò con le lacrime agli occhi.

«Sta tranquillo, ragazzo. Nessuno qua vuole farti del male. Dimmi, qual è il tuo nome?»

«Il mio nome?» Lo stupore si dipinse sul volto delicato del ragazzo. Mai nessuno gli aveva chiesto il suo nome fino allora. «Il mio nome è Aruk.»

«Piacere di conoscerti, Aruk.»

Il piccolo era incapace di formulare domande. Agli schiavi, in fondo, non era permesso neppure quello.

«Conosco le domande che assillano il tuo cuore. Sei lontano da Zey, in una piccola fortezza nel deserto, non distante dalle Dune Mobili[3].» La voce profonda dell’uomo ispirava sicurezza, ma anche un certo timore nel ragazzo, che scosse il capo in senso di diniego. «Ero certo che non avevi mai sentito nominarle. Si tratta di un’area piuttosto vasta a nordest della Cenere di Lanie, una regione isolata dalla civiltà.»

Aruk si limitò a fissarlo con i suoi grandi occhi felini.

«Eh! Ti starai chiedendo se sono pazzo. Devi sapere che io, insieme ad altri valorosi guerrieri, faccio parte di un gruppo chiamato Janessar. Noi difendiamo i confini della Cenere di Lanie dalle incursioni dei predoni oscuri e Zeyd, e ci facciamo portavoce di una causa giusta: la causa della libertà.» Detto ciò, l’uomo rimase in silenzio, lasciando che il piccolo uomo-bestia rielaborasse a modo suo quanto aveva detto.

Dopo un lungo minuto, Aruk sgranò gli occhioni con fare incerto: «Cos’è la libertà?» Quindi chiese, e questa fu la prima domanda che pose in tutta la sua vita.

***

Non fu facile capire il senso della parola ‘libertà’. Naigret – così si chiamava il cavaliere e suo futuro tutore – insieme con gli altri Janessar, glielo spiegò con il modello della propria vita. Quest’uomo combatteva per l’ideale in cui credeva, e si batteva bene e con coraggio. Conduceva una vita fatta di rinunce e isolamento pur di rendere Neir un posto migliore. Spesso, il cavaliere rischiava la vita pur di salvare i bisognosi in difficoltà. Delle volte, invece, Naigret si recava a Zey, oppure alla città-avamposto di Manor[4], e qui si spacciava per una guardia o qualche altro pezzo grosso e liberava quanti schiavi poteva, correndo enormi pericoli ma evitando, per quanto gli fosse possibile, di spargere sangue.

Per seguire la vita esemplare del suo salvatore, Aruk dovette dare il meglio di sé. Lo seguì sin da giovanissimo nei suoi pellegrinaggi nel deserto, imparando a sopravvivere in uno dei luoghi più ostili di Neir. Ma la via della spada egli scelse su tutte. Con la sua lama, il pellegrino guerriero che vaga sulla terra aveva il potere di scrivere il destino dei suoi nemici.

Il giorno in cui la vita del suo vecchio mentore si spense, Aruk promise a sé stesso che avrebbe dedicato la sua intera esistenza all’ideale che lo aveva reso un individuo cosciente dei propri diritti.

Al momento di partire dalle Dune Mobili, i suoi compagni Janessar gli donarono l’Anello della Speranza. L’Anello della Speranza è un oggetto tenuto in alta considerazione fra questi uomini coraggiosi, dato che si ottiene solo tramite enormi sacrifici. Questo anello magico ha il potere di sprigionare un bagliore di luce nelle notti senza luna, una stella cadente illusoria che solca il cielo a gran velocità e si spinge fino a decine di miglia di distanza. Il segnale avvisa altri Janessar nelle vicinanze che un loro compagno si trova in gravi difficoltà. Seguendo la scia di luce, che riconoscerebbero fra altre mille, gli Janessar giungono in soccorso del proprio compagno.

Aruk oggi vaga per le distese sabbiose di Lanie in sella al fedele Shazar, discendente del purosangue cavalcato a suo tempo da Naigret. Sotto la lunga mantella bianca che lo copre dal capo ai piedi, si nasconde un uomo-bestia che ha conosciuto la cocente frusta di un padrone, che ha conosciuto odio e dolore, e che è pronto a lottare fino all’ultima goccia di sangue per la libertà. I tiranni del mondo faranno bene a tremare sui loro troni di acciaio!!

[1] L’Oasi di Zey è generalmente ritenuta l’ultima città prima che la Cenere di Lanie, il vasto deserto all’estremo sud di Neir, inghiotta fra le sue dune ogni traccia di civiltà.

[2] Originari del sottosuolo di Neir, i frutti ok’koror assomigliano a mele verdi ma sono di gran lunga più dolci. Questi frutti non temono il freddo, ma eccessive precipitazioni rischiano di uccidere la pianta.

[3] Le Dune Mobili sono un’area a nordest della regione nota come Cenere di Lanie. Famigerate per inghiottire gli ignari viandanti che osano percorrerle, le Dune Mobili costituiscono forse la zona meno frequentata del deserto.

[4] Manor è un avamposto militare dell’Impero delle Terre Nascoste ai limiti settentrionali della Cenere di Lanie.

di J.R. Forbus

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