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C'era una volta...


Samirah

Messaggio consigliato

Eccomi qua, a postare queste righe nate da uno scherzo e poi sviluppatesi giorno dopo giorno fino a diventare una piccola fiaba che vi regalo per augurarvi un buon Natale.

Ho scritto di getto, spontaneamente, e spero che mi perdonerete le imperfezioni e le imprecisioni che sicuramente le più pigne di voi sapranno trovare!

Chiedo scusa in anticipo a tutti coloro che non sono riuscita a ricordare, ma siete veramente tanti, e soprattutto mi scuso nel caso qualcuno dovesse sentirsi offeso dalle mie parole: non era di certo mia intenzione.

Spero che vi divertirete a leggere almeno quanto io mi sono divertita a scrivere.

Buona lettura e... Buon Natale!!

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C’era una volta, tanto tempo fa, un castello incantato…

Il castello era abitato da strane creature, che vivevano in armonia fra di loro… o quasi.

A guardia del cancello si ergeva un enorme cane a tre teste, che impediva l’ingresso ad ogni viandante così folle che osasse avvicinarsi al castello. Perché soltanto coloro che avevano ricevuto il consenso dal possessore delle chiavi erano autorizzati ad entrare nel castello. Costui era un uomo dai modi schivi e dalla parole stringate, ma la sua conoscenza era smisurata ed il suo potere incommensurabile.

Ma una volta entrati, lo spettacolo che si presentava agli occhi era stupefacente!

Un maggiordomo dai modi impeccabili elargiva i migliori benvenuti a tutti i nuovi visitatori, riservando le attenzioni più ragguardevoli alle dolci donzelle che si presentavano alla porta del grande castello. Dopodiché il bardo di corte si premuniva di presentare i nuovi giunti a sua maestà, il lich… Al suo cospetto chiunque veniva colto da grande timore e tutti i suoi sudditi agivano secondo la sua fredda volontà.

In particolare i suoi servitori più devoti, i guardiani del castello, si aggiravano per il castello cercando di contentare il loro padrone al meglio delle loro possibilità.

Chi si aggirava terrorizzando i sudditi troppo rumorosi, chi si preoccupava che l’arredamento fosse sempre impaccabile. Tra questi era poi presente il folle giullare, che raccoglieva a sé i migliori artisti del regno e vagava giorno e notte per il castello allietando (o spaventando) con le sue folli storie gli abitanti ormai rassegnati alle sue pazzie.

Gli faceva una strenua concorrenza il malefico gnomo rompiscatole, in grado di creare un caos terrificante nel giro di pochi secondi, per poi tornare velocemente nella sua tana, dove passava il tempo ad inventare nuovi ed esilaranti trucchetti per far impazzire il malcapitato di turno.

Ma alcuni dei servitori erano ben più oscuri. Il boia del castello si aggirava nelle ombre per sorprendere gli incauti che osavano trasgredire le ferree regole del castello. Non aveva alcuna pietà dei poveri sventurati che capitavano fra le sue grinfie.

Molti dei sudditi erano rispettosi e ben pochi osavano alzare la voce per contrastare il grande potere che li sovrastava. Ma fra questi, alcuni coraggiosi (o molto ingenui), cercavano di creare zizzania per il semplice gusto di far correre come matti i poveri guardiani. Costoro si avvalevano di straordinari poteri di illusione e riuscivano sempre ad evadere qualunque tipo di sorveglianza da parte dei guardiani. Uno di questi, conosciuto come il temibile pinguino, aveva la capacità spaventosa di cambiare aspetto repentinamente e senza preavviso. Suoi compagni di marachelle erano un uomo di cui poco si conosceva, se non il suo carattere irascibile e le sue infime velleità da molestatore ed un pazzo, che amava farsi chiamare re dagli abitanti del castello.

Contro costoro combatteva un valoroso guerriero, discendente di un drago splendente, di cui si narrano gesta eroiche, ma anche ire funeste. Solo i folli avrebbero osato mettersi contro di lui. Ma anche quest’uomo aveva i suoi punti deboli… una tremenda allergia al pelo di gatto! Solo il gatto di corte era talmente temerario da affrontarlo, e spavaldo come solo i gatti sanno essere, si divertiva a far infuriare il guerriero, che dal canto suo non risparmiava fendenti mortali e ruggiti poderosi. Solo la sera, di fronte al caldo del camino, tornava a regnare la pace nel grande castello, il momento magico in cui tutti placavano i propri animi.

Ma nelle torri più recondite qualcuno non riposava mai. Là, in una stanza nascosta e dimenticata da tutti, il folle alchimista proseguiva i suoi esperimenti senza tregua. Il suo sogno era quello di creare il sasso spannomerale, in grado di creare e diffondere il caos in questo luogo di scherzi e delizie. A volte usciva dal suo laboratorio per cercare nuovi adepti per la sua causa, in particolare cercava di far cadere in tentazione i nuovi arrivati. Se con le promesse di potere non otteneva nulla, allora offriva loro una ghianda. I suoi adepti erano numerosi e crescevano di numero ogni giorno di più.

Questa era la tranquilla vita del castello.

Il Natale era ormai alle porte e tutti si stavano preparando al meglio. Gli addobbi erano già sistemati, molti avevano tolto dagli armadi il vestito della festa e la bella giardiniera, dolce compagna del bardo di corte, stava sistemando le ultime decorazioni che avrebbero reso il già stupendo giardino ancora più incantevole. Tutto sembrava filare liscio, quando la vigilia di Natale si presentò alle porte del castello una strana figura. Nevicava fitto quel giorno ed era avvolta da un lungo mantello per proteggersi dalle gelide folate. Arrivò davanti al grande cancello, il cane a tre teste cominciò a ringhiare, ma una mano avvolta da un caldo guanto di pelle si protese verso lo strano animale, che si acquietò all’istante. Il maggiordomo aprì lo spioncino per vedere chi fosse lo strano visitatore e si vide presentare un pezzo di pergamena ripiegato. Il maggiordomo lo valutò ed aprì il portone per lasciar entrare il nuovo arrivato. La strana figura entrò con passi lenti, quasi non volesse far udire neanche un suo passo all’interno del castello. Abbassò il cappuccio svelando un viso dalla pelle d’ebano. Il maggiordomo ebbe un brivido lungo la schiena ma si risparmiò ogni commento. La donna dalla pelle nera come la notte, una strega dai grandi poteri malvagi, porse il suo mantello al maggiordomo, che… malauguratamente se lo fece scappare dalle mani! La donna spalancò gli occhi di uno strano colore viola, li puntò minacciosi sul pover’uomo ed esclamò: “Come hai osato? D’ora in poi sarai il mio mortale nemico!!”, ed indignata si allontanò dal maggiordomo, che sussurrò fra i denti: “E tu, la mia mortale nemica…”.

La sera giunse a riportare la calma nel tumultuoso castello, anche se l’atmosfera della vigilia permeava ogni angolo. Tutti giravano allegri nei saloni e nei corridoi, pensando alla grande cena che si sarebbe tenuta di lì a poco.

Nel salone delle feste erano presenti già in tanti, pronti ad ingozzarsi smodatamente per tutta la notte, finché non fosse giunta l’ora di aprire i regali. Ma qualcuno ancora non si vedeva in giro. La strega non si era più fatta vedere dal suo arrivo ed il maggiordomo, curioso come una scimmia, decise di dare un’occhiata in giro. Si recò dal possessore delle chiavi per sapere in quale stanza alloggiasse la sua mortale nemica e rimase stupito di sapere che si era sistemata in una delle stanze riservate ai guardiani. Il suo stupore crebbe quando vide il boia di corte uscire proprio da quella porta salutando cordialmente. Si fece coraggio e si avvicinò silenziosamente alla porta che il boia aveva appena chiuso. Appoggiò l’orecchio per riuscire a percepire qualunque rumore potesse provenire dall’interno della stanza, ma non udì nulla. Allora sfilò da sotto la giacca una copia della chiave universale, che gli era appena stata spedita dall’associazione “Maggiordomi solerti per padroni contenti”, e la infilò con delicatezza nella serratura. Con straordinaria abilità riuscì a farla scattare e, premendo appena sulla maniglia, la porta si aprì senza alcun rumore.

La stanza era completamente immersa nell’oscurità e sembrava che non ci fosse nessuno. Eppure il boia era appena uscito salutando. Il maggiordomo inghiottì per farsi coraggio e si addentrò nella stanza. Dopo qualche secondo i suoi occhi cominciarono ad adattarsi al buio e cominciò a distinguere i contorni dei vari mobili. Poi qualcosa cominciò a brillare al centro della stanza: una sorta di sfera luminescente cominciò ad apparire sopra ad un tavolino rotondo. Il maggiordomo si avvicinò incuriosito e si rese conto con sommo stupore che si trattava di una boccia di vetro con un pesce rosso! Strabuzzò gli occhi per l’incredulità e si avvicinò ancora di più per osservare meglio quello strano fenomeno. Senza rendersene conto il suo viso arrivò a sfiorare la boccia di vetro ed improvvisamente si ritrovò scaraventato a terra. Cercò di rialzarsi ma era come se non riuscisse più a rimettersi in piedi, come se non avesse la forza di sollevare il proprio corpo. Ma dopo qualche secondo si rese conto di essere perfettamente in piedi, ma… al livello sbagliato! Era ben al di sotto del bordo del tavolino e tutto sembrava infinitamente più grande attorno a lui. Con grande terrore abbassò gli occhi ed osservò il proprio corpo… era diventato… cos’era diventato? Il suo corpo era giallo e sembrava una sorta di cubo bucherellato; si tastò e l’effetto fu stranissimo, sembrava… una spugna! Anzi, era una spugna!

Il povero maggiordomo cominciò a disperarsi, ma le sue lacrime non fecero che peggiorare la situazione, perché venivano assorbite dal suo nuovo corpo, che si gonfiava sempre più e gli impacciava i movimenti. Cercò di correre fuori dalla stanza, ma una figura imponente gli sbarrò la strada. Era la strega, che lo osservava con un ghigno beffardo.

“Vedi cosa succede a diventare il mio mortale nemico?”

“Maledetta mortale nemica!” squittì lui con una vocina che non riconosceva come la propria.

“Sai che hai solo un modo per tornare com’eri prima: impegnarti nel voto sacro del caffè!”.

Il maggiordomo inorridì, perché il voto sacro del caffè era vincolante più di un patto di sangue. Ma il problema era anche un altro: riuscire a convincere il cuoco a farsi dare del caffè. Sapeva che non sarebbe stata un’impresa facile…

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Si recò difatti tutto sconsolato verso le cucine, dove il cuoco si stava esibendo nel grande rituale della preparazione del cenone della vigilia. Costui era un individuo assai strano, tanto che andava ciarlando in giro di essere un dio, ma la gente di solito non ribatteva niente perché era un ottimo cuoco e quindi c’era poco da lamentarsi. Quando la spug… ehm, il maggiordomo si presentò in cucina, il cuoco lo avventò senza pensarci: “Ah ecco dov’era finita!” e cominciò a lavare la montagna di piatti che aveva già accumulato nel lavabo.

“EHI!!!” gli urlò con la vocetta stridula il maggiordomo.

Il cuoco strabuzzò gli occhi e si rese conto con vero stupore che la spugna che aveva in mano stava parlando. Cominciò a balbettare e divenne paonazzo.

Finalmente riprese il controllo di sé ed esclamò: “E tu chi diavolo sei?!”.

Il maggiordomo cercò di spiegarsi il meglio possibile ed alla fine il cuoco dovette cedere all’evidenza.

Intanto nel salone si stava facendo la conta dei presenti. Il gran cerimoniere Della Tavola Lunga, uno dei guardiani più severi ed intransigenti, fece l’appello e si accorse che mancavano ancora alcuni dei partecipanti. In quel mentre entrò ansimando un nano: “Uff, scusate questo vecchio spaccarocce, ma il Sacro Forgiatore ha posto sul mio cammino, per mettere alla prova la mia devozione, un maledetto orecchie a punta! Ma eccomi! Son arrivato giusto in tempo! Il Grande Padre non avrebbe permesso che questo suo figlio giungesse tardi a questo evento!”. Il gran cerimoniere sbuffò e propose di attendere ancora qualche minuto i soliti ritardatari.

Intanto, in cucina, il povero maggiordomo era giunto alla fine del suo racconto e finalmente fece la sua richiesta al cuoco: una tazza di caffè.

La faccia del cuoco divenne di tutti i colori, cominciò a tremare visibilmente di rabbia, stritolando la spugna nel suo pugno.

“COSAAAAAAAAAAAAAA??!?!?? Ma come osi fare una richiesta del genere! Sai benissimo che tutte le scorte di caffè del castello sono destinate al nostro amatissimo lich. Ha bisogno di berne una tazza ogni ora per mantenere smagliante la sua non vita. Quindi la questione è chiusa!” e detto questo, scaraventò la spugna per terra.

Il poveretto non sapeva come fare: non aveva accesso al caffè ed il cuoco era irremovibile.

Uscì sconsolato dalla cucina e prese una direzione a caso, già rassegnato a passare il resto della sua vita in quella ignobile forma. All’improvviso ebbe un’idea malvagissima! Tornò quatto quatto in cucina e si nascose, attendendo pazientemente.

La cena si svolse nel migliore dei modi e tutti erano satolli e soddisfatti. Il grande lich ovviamente non aveva toccato cibo, ma aveva presenziato al lauto pasto dal posto di capotavola, attendeva con impazienza la fine della cena per il suo caffè. Finalmente si giunse ai dolci ed il cuoco si accinse a preparare la calda bevanda che il suo signore amava tanto. La piccola spugna si agitò lievemente per l’impazienza nell’angolo in cui si era nascosta e tese le orecchie, per capire quale sarebbe stato il momento giusto per agire. Finalmente sentì il gorgoglio dell’acqua ed i passi del cuoco in direzione del fuoco. Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e vide il cuoco versare l’acqua bollente in una grande tazza. Si fece coraggio e si avvicinò al tavolo. Con grande fatica salì su uno sgabello, poi dopo qualche salto riuscì ad afferrare il bordo del tavolo ed a tirarsi su. Quando il cuoco si voltò dall’altra parte per dare un’occhiata ai commensali, corse senza pensare verso la tazza e… ci si tuffò dentro! Solo in quel momento si rese conto che probabilmente il dolore pazzesco poteva anche ucciderlo, ma invece dovette constatare con stupore che l’unica sensazione che avvertì fu quella di una improvvisa pesantezza: stava assorbendo il caffè.

Prima che il cuoco si girasse di nuovo verso di lui, schizzò fuori dalla tazza, ma si rese subito conto del punto debole del suo piano: così appesantito riusciva a malapena a camminare. Cercò di spostarsi il più velocemente possibile, ma prima che fosse giunto al bordo del tavolo, il cuoco si voltò e lanciò un urlo agghiacciante. Si avventò sulla spugna, che di riflesso si gettò giù dal tavolo, piombando sul pavimento con un tonfo sordo e lasciando una vistosa macchia marrone su di esso.

Cercò di rialzarsi il più in fretta possibile e sgusciò dalle dita del cuoco, che già lo stavano avvinghiando, anche grazie all’abbondante liquido di cui si era impregnato. Riuscì a raggiungere la porta e quindi il corridoio. Il cuoco lo inseguì, ma si vide bloccare la strada da uno degli uomini più oscuri che si aggiravano per il castello: il detentore della legge. Era un uomo terribile, intransigente e senza emozioni, che faceva rispettare le leggi del reame all’interno del castello. Tutti lo temevano, qualcuno lo odiava, in pochissimi osavano mettersi contro di lui.

Impose una mano davanti al cuoco per fermarlo: “Dove credi di andare?”, lo apostrofò.

“Quella spugna sta fuggendo col caffè del grande lich…” rispose il cuoco tremando.

“Impossibile, ti rendi conto della stupidità della tua affermazione?”

“Ma, ma… è proprio lì, dietro di te, che sta scappando!”

“Le spugne che corrono non esistono, quindi non è possibile che una spugna stia correndo per questo corridoio! O vuoi forse insinuare che in questo castello possano accadere cose che le leggi non contemplano?!” tuonò minaccioso.

Al che il povero cuoco dovette tornarsene tutto afflitto in cucina, pensando a come fare per rimediare al pasticcio. Se il lich non avesse ricevuto il suo caffè in tempo, avrebbe scatenato la sua ira sul poveraccio.

Intanto il maggiordomo correva per i corridoi, trascinandosi tutto il peso del caffè, ma cercando di non lasciarsi sopraffare dalla stanchezza. Raggiunse finalmente la porta della camera della strega ed urlò a gran voce: “Eccomi! Sono qui per il voto sacro del caffè!”.

La porta si aprì lentamente, senza fare il minimo rumore. Il maggiordomo entrò un po’ intimorito, un po’ innervosito da tutta questa situazione. La stanza era debolmente illuminata da una candela e la sagoma della strega, vestita di nero, si stagliava di fianco al tavolino dov’era appoggiata la boccia di vetro. Solo che ora sul tavolino c’erano solo due piccole tazze di porcellana ed una zuccheriera.

La spugna si avvicinò sempre più intimorita.

La strega gli parlò: “Allora, non dirmi che ce l’hai fatta?”

Il maggiordomo allora si inorgoglì e si avvicinò tutto impettito al tavolino, con un enorme sforzo si tirò su e… si strizzò! Riuscì a riempire le tazzine con il liquido ormai freddo, ma ancora col caratteristico aroma.

La strega fece una risatina di compiacimento ed improvvisamente sul suo viso comparve un inaspettato sorriso. Agitò delicatamente le dita sopra le tazzine, che cominciarono a fumare, e vi versò un po’ di zucchero. Il maggiordomo era talmente frastornato che non si accorse di essere seduto in poltrona… di nuovo col suo corpo.

Era confuso: “Ma, ma, perché tutto questo?”

“Che domande! Sei il mio mortale nemico e come tale non avresti mai dovuto tentare di mettere piede di soppiatto nella mia stanza. Ma sai come si dice no? A Natale sono tutti più buoni. Quindi beviti il tuo caffè e andiamo dagli altri, che la cena sta terminando e stanno per cominciare i festeggiamenti per la mezzanotte”.

Difatti dal salone stavano giungendo voci sempre più goliardiche ed il bardo aveva cominciato la sua esibizione.

I due bevvero con estrema soddisfazione quella rara bevanda, non volendo ammettere a se stessi che il lich si sarebbe in qualche modo vendicato, ma in fondo speravano che la sua vecchiaia gli avrebbe impedito di capire l’andamento degli avvenimenti.

Si alzarono quindi dalle poltrone e si diressero soddisfatti verso il salone delle feste. Tutti stavano esprimendo la propria gioia per il Natale ormai prossimo e quasi nessuno fece caso ai nuovi arrivati, neanche il lich, che continuava a guardare furioso verso le cucine.

La festa si svolse nel migliore dei modi ed allo scoccare della mezzanotte il bardo smise di suonare e, rivolto a tutti gli astanti, parlò con la sua voce melodiosa:

“Madamigelle e cavalieri qui riuniti, è con grandissima gioia che vi annuncio che è Natale! Sia per tutti voi una giornata di felicità e di serenità! Vi auguro che ogni vostra speranza possa prendere forma e diventare realtà, per poter vivere ogni giorno col sorriso e per regalarlo alle persone che vi sono vicine. Ed ora, bando alla ciance, è ora di aprire i regali!!”.

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E' normale che alcuni dei personaggi vi sfuggano, visto che molti sono nati da dialoghi personali o addirittura da piccole battute in chat. Mi scuso ancora per tutte le persone che non ho potuto nominare, ma mi sono ritrovata la sera del 23 a mezzanotte che ancora dovevo finire! :mrgreen:

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