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I triboli


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TRIBOLI. I TREMENDI CHIODI A QUATTRO PUNTE DEI ROMANI
Di Giuseppe Cascarino
I triboli (tribuli) erano degli ostacoli metallici a forma tetraedrica, in genere di piccole dimensioni, costituiti da una specie di chiodo metallico a quattro punte, disposte in modo che una si trovasse sempre rivolta verso l'alto, mentre le altre tre rimanevano posizionate saldamente a terra. 
L’effetto sui piedi di chi lo avesse inavvertitamente calpestato è facilmente intuibile, e il vantaggio principale di questa formidabile arma difensiva, impiegata largamente anche in epoca moderna, era quello di poter essere fabbricata facilmente e in gran numero, e di essere posizionata rapidamente nei punti di passaggio del nemico.
Erano già noti nel mondo greco (Filone di Bisanzio, A 70) anche per essere stati usati nella guerra del Peloponneso (Polieno, Strat., I, 39) e dai Persiani nella battaglia di Gaugamela (Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, IV, 13, 36).
I triboli sono citati come murices ferrei da Valerio Massimo (III, 7, 2) a proposito di Scipione Emiliano, che si rifiutò di usarli in un assedio perché considerati armi poco onorevoli. Vegezio (III, 24) ne parla come espediente per neutralizzare i carri falcati: “…il tribolo è un ordigno costituito da quattro paletti legati tra loro in modo tale che comunque lo si lanci, resta in terra sempre appoggiato su tre piedi, con il quarto rivolto pericolosamente verso l’alto…”.
Secondo lo Strategikon (XII, II-22), opportunamente impiegati, i triboli avevano una funzione tattica di grande utilità nei momenti più delicati di una campagna: “…l’uso dei triboli è fondamentale. 
Se infatti il terreno si rivela roccioso ed è difficile da scavare, o se è tardi per farlo, triboli adeguatamente sparpagliati in giro ottengono, per un esercito che si accampa, lo stesso obiettivo di un fossato…”. 
Una caratteristica molto interessante dei triboli era costituita dal fatto che potevano essere legati insieme in gran numero con delle corde leggere, in modo da poter essere facilmente lanciati tutti insieme sul terreno da difendere e altrettanto rapidamente recuperati dopo l’uso (IV, 3). 
Ne fa accenno anche Procopio nelle sue Guerre Gotiche (III, XXIV, 16), lasciando intuire che si trattasse di un’arma difensiva utilizzata piuttosto spesso dall’esercito romano d’oriente. 
Per contrastarli era peraltro possibile utilizzare protezioni metalliche per i cavalli (denominate ipposoleae) e calzature dalla suola molto spessa per i fanti (Polieno, Strat., I, 39), ma la loro possibile presenza, specialmente di notte o in condizioni di scarsa visibilità, induceva comunque fanti e cavalieri nemici a muoversi con molta prudenza e circospezione durante un attacco, rallentando in ogni caso le loro operazioni e facendo il gioco dei difensori.
Il loro uso dai contesti terrestri si espanse anche agli scenari delle battaglie navali: nel X secolo d.C. l’imperatore d’oriente Leone VI (Tactica, XIX, 61) suggerisce il lancio sulle navi nemiche di triboli di ferro inseriti in sfere di legno a cui è stato dato fuoco, in modo da ostacolare lo spegnimento degli incendi appiccati alle navi nemiche.
Giuseppe Cascarino
Autore e ricostruttore storico - Presidente Associazione Culturale Decima Legio

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