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Valdemar - BG per Vampiri (VtM)


Lothavier

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(Il bg del mio personaggio in un pbf che è finito dopo una pagina, ambientato nel 1990, quando c'è stato il casino col Sabbat a Milano)

Era notte. Pioveva. La strada e la piazza erano deserte, e per lui era meglio così. Da mesi stava pedinando Carlos Helguera, un piccolo trafficante d’armi che sembrava volersi mettere a fare sul serio, e ora ce l’aveva a pochi metri, dentro quel capannone.

Xavier von Ralich era italiano, ma discendeva da una nobile e ricca famiglia bavarese padrona di diverse banche, cosa che gli aveva permesso di vivere un’infanzia serena e agiata, a parte dei particolari che gli altri avrebbero definito quantomeno “strani”, ma che per lui erano invece del tutto normali.

Nonostante la ricchezza, o forse proprio a causa di quella, o chissà per cos’altro, Xavier aveva deciso di non permettere al denaro di controllarlo come sembrava fare col resto dei von Ralich, e così a diciassette anni era partito volontario per il servizio di leva. Ora, a ventotto, era uno dei migliori della sua stazione di Polizia, all’Eur, un grande quartiere a sud di Roma.

Adesso però non si trovava nella sua città natale, ma nella lontana Milano, a pochi chilometri dallo stadio Meazza, dentro la sua Fiat Uno nera, in attesa. La musica era bassa, il tema di Batman era al suo culmine, poco prima della fine. Aveva visto quel film appena uscito solo tre sere prima, e ora si sentiva un po’ così, un cavaliere oscuro a caccia dei criminali.

Carlos uscì, Xavier controllò la sua pistola e, non appena il criminale fu alla distanza minima, scattò fuori dall’auto e gliela puntò contro.

«Fermo! Alza le mani, Carlos!»

L’uomo sembrò sorpreso e alzò istintivamente le mani, ma poi cominciò a correre verso l’uscita del parcheggio, inseguito repentinamente dal poliziotto.

«Fermo, Hulguera! Non costringermi a spararti!»

«¡Tu es loco, hijo de puta!»

Xavier udì distintamente le parole, e per sua fortuna erano praticamente le uniche di spagnolo che conoscesse. Le sue gambe cominciarono a macinare metri su metri, finché raggiunse Carlos e riuscì a placcarlo contro un’auto parcheggiata.

«Sei in arresto, Carlos», disse trionfante immobilizzandolo e tirando fuori le manette. «Hai fatto male ad andare da solo alla consegna. A proposito, non sai che non si scherza sulle mamme?»

Xavier lo ammanettò e gli diede un paio di destri, per rimarcare il concetto. Lo condusse rudemente verso la macchina, e nel tragitto il trafficante tentò di scappare un paio di volte, beccandosi ogni volta qualche calcio o pugno.

«¡Policia… Violenta!»

«Sì, come nei film!»

Mentre attraversavano l’ultima strada buia, un’Alfa sfrecciò davanti a loro e un uomo armato, affacciandosi dal finestrino, cominciò a sparare urlando qualcosa in spagnolo. Xavier aveva la pistola già in mano e sparò tre volte quasi alla cieca, riuscendo però a colpire di striscio il suo attentatore, mentre Carlos, approfittando di quel diversivo, raccolse una bottiglia di vetro da vicino a un cassonetto e la spaccò in testa a Xavier. Tentò di fuggire verso i suoi compagni, ma il poliziotto gli sparò un colpo dietro la schiena e lo uccise, lottando per non svenire.

Un’altra auto arrivò in senso opposto, un’auto di lusso – non che Xavier se ne potesse accorgere – che rischiò un brutto frontale con l’Alfa.

Xavier perse del tutto i sensi, e non vide i tre gangster che scendevano, imitati dal nuovo arrivato, e non vide nemmeno mentre i loro colli venivano girati senza fatica, né ovviamente si accorse di essere sollevato di peso e buttato dentro la Mercedes.

*****

Xavier si risvegliò la mattina dopo in una stanza debolmente illuminata e senza finestre, con un uomo assonnato che lo vegliava. Lo riconobbe subito.

«Zio!»

Il parente gli sorrise e lo salutò, spiegandogli cos’era successo e di come fosse stato fortunato che lui fosse passato di là proprio in quel momento.

«E che ci facevi là, tu?»

«Ho parlato al tuo commissario, sai che siamo amici oltre che ex-colleghi, e allora sai com’è…»

«Sì, ho capito… Beh, grazie, ti devo la vita, zio.»

Till von Ralich scrollò le spalle, come se non avesse fatto niente di speciale.

«Ora però dovrai tornare a Roma, qui non è sicuro per te, adesso.»

«Sto bene, posso muovermi, posso partire anche subito.»

«Bravo, prima è, meglio è.»

Xavier uscì dalla villetta fuori città nel primo pomeriggio, con un gran mal di testa, diretto all’aeroporto.

Tornato a casa, il commissario Brassi non fu troppo contento della morte di Carlos, ma capì che anche il suo protetto aveva rischiato molto. Gli concesse qualche giorno di riposo, mettendo altri a seguire la pista spagnola che portava fino a Malaga.

Poche sere dopo, il 29 ottobre, Xavier si trovava a casa sua, un appartamento piccolo ed essenziale, quando qualcuno suonò il suo campanello.

Aperta la porta, fu salutato dal calcio di un fucile che quasi gli ruppe il naso, gentile omaggio di quattro individui molto dispiaciuti per la brutta fine fatta da Helguera.

Xavier si difese come poté, riuscendo anche a stenderne un paio a suon di pugni, sedie e posacenere vari, ma ancora una volta apparve il caro zio a salvare il salvabile facendo fuoco contro i gangster.

Non ci fu tempo di dire nulla, perché Till si avventò contro suo nipote e affondo canini che nessuno aveva mai visto così lunghi e aguzzi. Svuotato del fluido vitale, il vampiro si tagliò il polso e versò qualche goccia di sangue nella bocca del ragazzo morente.

Nella frenesia e nella confusione, spinto dall’istinto di sopravvivenza, Xavier bevve il sangue dello zio ponendo fine alla sua vita mortale.

«Mi sei costato molto, caro nipote», gli sussurrò nelle orecchie ormai morte, «Carlos era un mio buon amico e speravo di farlo partecipare alla nostra simpatica guerra millenaria. Ma tu sei stato più forte, quindi immagino che debba accontentarmi di te.»

Xavier perse i sensi. O forse, semplicemente, morì.

*****

Le settimane successive furono molto confuse per l’ormai ex poliziotto. La sua famiglia era sempre stata con le mani in pasta nell’occulto, antenati streghe, stregoni, vampiri, alchimisti. Non aveva mai creduto nel paranormale, benché i riti officiati dalla sua famiglia avessero sempre rappresentato una normalità per lui.

Ora si rendeva conto che anche la sua nuova condizione era normale, come le voci nella sua testa e gli insegnamenti del suo Sire, l’odiato zio, come il modo in cui ormai percepiva le ombre, come l’opprimente e paranoica sensazione che non stesse disponendo personalmente della propria vita.

Aveva perso completamente la sua identità, ricordava a frammenti il suo passato, non riconosceva in se stesso un von Ralich, ma solo un individuo solitario con la notte, le ombre e le voci come sue uniche compagne, il sangue suo unico amore.

A parte la sua famiglia, permise solo a un paio di persone di conoscere il nuovo Valdemar che aveva fatto la sua comparsa nel mondo.

Per il resto dell’umanità, lui non esisteva.

Era un Malkavian, e la sua missione personale la conosceva fin troppo bene.

2 Commenti


Commento consigliato

Allora, prima le critiche! :-p

La narrazione in sé è semplice, lineare, il che non è affatto un difetto, ma può far scadere un po' la storia nel banale. E' anche vero che questo non è un racconto a tutti gli effetti, ma un bg, per cui ci può anche stare. In fondo si sa, io pecco sempre di "eccessiva ricercatezza", rischiando di appesantire troppo la narrazione, per cui forse è meglio peccare di semplicità. ;-)

Invece, passando sul lato complimenti, devo dire che mi piace molto l'atmosfera ricreata e che è abbastanza originale lo spunto iniziale, ovvero del ragazzo di nobile famiglia (e non ce ne sono poi tanti al giorno d'oggi) che prende una via "comune", ovvero il servizio di leva e l'entrata in polizia (forse mi fa un particolare effetto per motivi personali, ma in fondo ogni lettore ci mette del suo nel percepire le emozioni che un racconto trasmette).

Ora però è doveroso un piccolo saggio sui Malkavian! :mrgreen:

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